| | Umorismo1908 | | | | Umorismo1920 |
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1 | | PARTE SECONDA | | 1 | | PARTE SECONDA |
2 | | Essenza, caratteri e materia dell'umorismo | | 2 | | Essenza, caratteri e materia dell'umorismo |
3 | | I | | 3 | | I |
4 | | Che cosa è l'umorismo? | | 4 | | Che cosa è l'umorismo? |
5 | | Se volessimo tener conto di tutte le risposte che si son date a questa domanda, di tutte le definizioni che autori e critici han tentato, potremmo riempire parecchie e parecchie pagine, e probabilmente alla fine, confusi tra tanti pareri e dispareri, non riusciremmo ad altro che a ripetere la domanda: - Ma, in somma, che cos'è l'umorismo? | | 5 | | Se volessimo tener conto di tutte le risposte che si son date a questa domanda, di tutte le definizioni che autori e critici han tentato, potremmo riempire parecchie e parecchie pagine, e probabilmente alla fine, confusi tra tanti pareri e dispareri, non riusciremmo ad altro che a ripetere la domanda: - Ma, in somma, che cos'è l'umorismo? |
6 | | Abbiamo già detto che tutti coloro, i quali, o di proposito o per incidenza, ne han parlato, in una cosa sola si accordano, nel dichiarare che è difficilissimo dire che cosa sia veramente, perché esso ha infinite varietà e tante caratteristiche che, a volerlo descrivere in generale, si rischia sempre di dimenticarne qualcuna. | | 6 | | Abbiamo già detto che tutti coloro, i quali, o di proposito o per incidenza, ne han parlato, in una cosa sola si accordano, nel dichiarare che è difficilissimo dire che cosa sia veramente, perché esso ha infinite varietà e tante caratteristiche che, a volerlo descrivere in generale, si rischia sempre di dimenticarne qualcuna. |
7 | | Questo è vero; ma è vero altresì che da un pezzo ormai avrebbe dovuto capirsi che partire da queste caratteristiche non è la via migliore per arrivare a intendere la vera essenza dell'umorismo, poiché sempre avviene che una se ne assuma per fondamentale, quella che si è riscontrata comune a parecchie opere o a parecchi scrittori studiati con predilezione; di modo che tante definizioni si vengono infine ad avere dell'umorismo, quante sono le caratteristiche riscontrate, e tutte naturalmente hanno una parte di vero, e nessuna è la vera. | | 7 | | Questo è vero; ma è vero altresì che da un pezzo ormai avrebbe dovuto capirsi che partire da queste caratteristiche non è la via migliore per arrivare a intendere la vera essenza dell'umorismo, poiché sempre avviene che una se ne assuma per fondamentale, quella che si è riscontrata comune a parecchie opere o a parecchi scrittori studiati con predilezione; di modo che tante definizioni si vengono infine ad avere dell'umorismo, quante sono le caratteristiche riscontrate, e tutte naturalmente hanno una parte di vero, e nessuna è la vera. |
8 | | Certamente, dalla somma di tutte queste varie caratteristiche e delle conseguenti definizioni si può arrivare a comprendere, così, in generale, che cosa sia l'umorismo; ma se ne avrà sempre una conoscenza sommaria ed esteriore, appunto perché fondata su queste sommarie ed esteriori determinazioni incomplete. | | 8 | | Certamente, dalla somma di tutte queste varie caratteristiche e delle conseguenti definizioni si può arrivare a comprendere, così, in generale, che cosa sia l'umorismo; ma se ne avrà sempre una conoscenza sommaria ed esteriore, appunto perché fondata su queste sommarie ed esteriori determinazioni. |
9 | | La caratteristica, ad esempio, di quella tale peculiar bonarietà o benevola indulgenza che scoprono alcuni nell'umorismo, già definito dal Richter «malinconia d'un animo superiore che giunge a divertirsi finanche di ciò che lo rattrista»,49 quel «tranquillo, giocondo e riflesso sguardo su le cose», quel «modo d'accogliere gli spettacoli divertenti, che sembra, nella sua moderazione, soddisfare il senso del ridicolo e domandar perdono di ciò che v'è di poco delicato in tal compiacimento», quella tale «espansione degli spiriti dall'interno all'esterno incontrata e ritardata dalla corrente contraria d'una specie di benevolenza pensosa», di cui parla il Sully nel suo Essai sur le rire,50 non si trovano in tutti gli umoristi. Alcuni di questi tratti, che al critico francese, e non a lui soltanto, pajono principali dell'umorismo, si troveranno in alcuni, in altri no; e in certuni anzi si troverà il contrario, come ad esempio nello Swift, che è malinconico nel senso originario della parola, cioè pieno di fiele; e del resto noi vedremo un po' più innanzi, parlando del don Abbondio del Manzoni, a che cosa in fondo si riduca quella peculiar bonarietà o simpatica indulgenza. | | 9 | | La caratteristica, ad esempio, di quella tale peculiar bonarietà o benevola indulgenza che scoprono alcuni nell'umorismo, già definito dal Richter «malinconia d'un animo superiore che giunge a divertirsi finanche di ciò che lo rattrista»,49 quel «tranquillo, giocondo e riflesso sguardo su le cose», quel «modo d'accogliere gli spettacoli divertenti, che sembra, nella sua moderazione, soddisfare il senso del ridicolo e domandar perdono di ciò che v'è di poco delicato in tal compiacimento», quella tale «espansione degli spiriti dall'interno all'esterno incontrata e ritardata dalla corrente contraria d'una specie di benevolenza pensosa», di cui parla il Sully nel suo Essai sur le rire,50 non si trovano in tutti gli umoristi. Alcuni di questi tratti, che al critico francese, e non a lui soltanto, pajono principali dell'umorismo, si troveranno in alcuni, in altri no; e in certuni anzi si troverà il contrario, come ad esempio nello Swift, che è malinconico nel senso originario della parola, cioè pieno di fiele; e del resto noi vedremo un po' più innanzi, parlando del don Abbondio del Manzoni, a che cosa in fondo si riduca quella peculiar bonarietà o simpatica indulgenza. |
10 | | Al contrario, quella «acre disposizione a scoprire ed esprimere il ridicolo del serio e il serio del ridicolo umano», di cui parla il Bonghi, calzerà allo Swift e ad umoristi al pari di lui beffardi e mordaci; non calzerà ad altri; né del resto, come osserva il Lipps, opponendosi alla teoria del Lazzarus, che considera anch'esso l'umorismo soltanto come una disposizione d'animo, questo modo di considerarlo è completo. Né completo sarà quello del Hegel che lo dice «attitudine speciale d'intelletto e di animo onde l'artista si pone lui stesso al posto delle cose», definizione che, a non porsi bene a guardare da quel solo lato da cui l'Hegel lo guarda, ha tutta l'aria d'un rebus. | | 10 | | Al contrario, quella «acre disposizione a scoprire ed esprimere il ridicolo del serio e il serio del ridicolo umano», di cui parla il Bonghi, calzerà allo Swift e a umoristi al pari di lui beffardi e mordaci; non calzerà ad altri; né del resto, come osserva il Lipps, opponendosi alla teoria del Lazzarus, che considera anch'esso l'umorismo soltanto come una disposizione d'animo, questo modo di considerarlo è compiuto. Né compiuto sarà quello del Hegel che lo dice «attitudine speciale d'intelletto e di animo onde l'artista si pone lui stesso al posto delle cose», definizione che, a non porsi bene a guardare da quel solo lato da cui l'Hegel lo guarda, ha tutta l'aria d'un rebus. |
11 | | Caratteristiche più comuni, e però più generalmente osservate, sono la «contradizione» fondamentale, a cui si suol dare per causa principale il disaccordo che il sentimento e la meditazione scoprono o fra la vita reale e l'ideale umano o fra le nostre aspirazioni e le nostre debolezze e miserie, e per principale effetto quella tal perplessità tra il pianto e il riso; poi lo scetticismo, di cui si colora ogni osservazione, ogni pittura umoristica, e in fine il suo procedere minuziosamente e anche maliziosamente analitico. | | 11 | | Caratteristiche più comuni, e però più generalmente osservate, sono la «contradizione» fondamentale, a cui si suol dare per causa principale il disaccordo che il sentimento e la meditazione scoprono o fra la vita reale e l'ideale umano o fra le nostre aspirazioni e le nostre debolezze e miserie, e per principale effetto quella tal perplessità tra il pianto e il riso; poi lo scetticismo, di cui si colora ogni osservazione, ogni pittura umoristica, e in fine il suo procedere minuziosamente e anche maliziosamente analitico. |
12 | | Dalla somma, ripeto, di tutte queste caratteristiche e conseguenti definizioni si può arrivare a comprendere, così, in generale, che cosa sia l'umorismo, ma nessuno negherà che non ne risulti una conoscenza troppo sommaria. Che se accanto ad alcune determinazioni affatto incomplete, come abbiamo veduto, altre ve ne sono indubbiamente più comuni, l'intima ragione di esse non è poi veduta affatto con precisione né spiegata. | | 12 | | Dalla somma, ripeto, di tutte queste caratteristiche e conseguenti definizioni si può arrivare a comprendere, così, in generale, che cosa sia l'umorismo, ma nessuno negherà che non ne risulti una conoscenza troppo sommaria. Che se accanto ad alcune determinazioni affatto incompiute, come abbiamo veduto, altre ve ne sono indubbiamente più comuni, l'intima ragione di esse non è poi veduta affatto con precisione né spiegata. |
13 | | Rinunzieremo noi a vederla con precisione e a spiegarla, accettando l'opinione di Benedetto Croce che nel «Journal of Comparative Literature» (fasc. III, 1903) dichiarò indefinibile l'umorismo come tutti gli stati psicologici, e nel libro dell'Estetica lo annoverò tra i tanti concetti dell'estetica del simpatico? «L'indagine dei filosofi - egli dice - si è a lungo travagliata intorno a questi fatti, e specialmente intorno ad alcuni di essi, come, in prima linea, il comico, e poi il sublime, il tragico, l'umoristico e il grazioso. Ma bisogna evitar l'errore di considerarli come sentimenti speciali, note del sentimento, ammettendo così delle distinzioni e classi di sentimenti, laddove il sentimento organico per sé stesso non può dar luogo a classi; e bisogna chiarire in che senso possano dirsi fatti misti. Essi dan luogo a concetti complessi, ossia di complessi di fatti, nei quali entrano sentimenti organici di piacere e dispiacere (o anche sentimenti spirituali-organici), e date circostanze esterne che forniscono a quei sentimenti meramente organici o spirituali-organici un determinato contenuto. Il modo di definizione di questi concetti è il genetico: Posto l'organismo nella situazione a, sopravvenendo la circostanza b, si ha il fatto c. Questo e simili processi non hanno col fatto estetico nessun contatto: salvo quello generale che tutti essi, in quanto costituiscono la materia o la realtà, possono essere rappresentati dall'arte; e l'altro, accidentale, che in questi processi entrino talvolta dei fatti estetici, come nel caso dell'impressione di sublime che può produrre l'opera di un artista titano, di un Dante o di uno Shakespeare, o di quella comica del conato di un imbrattatele o di un imbrattacarte. Anche in questi casi il processo è estrinseco al fatto estetico: al quale non si lega se non il sentimento del piacere e dispiacere, del valore e disvalore estetico, del bello e del brutto». | | 13 | | Rinunzieremo noi a vederla con precisione e a spiegarla, accettando l'opinione di Benedetto Croce che nel «Journal of Comparative Literature» (fasc. III, 1903) dichiarò indefinibile l'umorismo come tutti gli stati psicologici, e nel libro dell'Estetica lo annoverò tra i tanti concetti dell'estetica del simpatico? «L'indagine dei filosofi - egli dice - si è a lungo travagliata intorno a questi fatti, e specialmente intorno ad alcuni di essi, come, in prima linea, il comico, e poi il sublime, il tragico, l'umoristico e il grazioso. Ma bisogna evitar l'errore di considerarli come sentimenti speciali, note del sentimento, ammettendo così delle distinzioni e classi di sentimenti, laddove il sentimento organico per sé stesso non può dar luogo a classi; e bisogna chiarire in che senso possano dirsi fatti misti. Essi dan luogo a concetti complessi, ossia di complessi di fatti, nei quali entrano sentimenti organici di piacere e dispiacere (o anche sentimenti spirituali-organici), e date circostanze esterne che forniscono a quei sentimenti meramente organici o spirituali-organici un determinato contenuto. Il modo di definizione di questi concetti è il genetico: Posto l'organismo nella situazione a, sopravvenendo la circostanza b, si ha il fatto c. Questo e simili processi non hanno col fatto estetico nessun contatto: salvo quello generale che tutti essi, in quanto costituiscono la materia o la realtà, possono essere rappresentati dall'arte; e l'altro, accidentale, che in questi processi entrino talvolta dei fatti estetici, come nel caso dell'impressione di sublime che può produrre l'opera di un artista titano, di un Dante o di uno Shakespeare, o di quella comica del conato di un imbrattatele o di un imbrattacarte. Anche in questi casi il processo è estrinseco al fatto estetico: al quale non si lega se non il sentimento del piacere e dispiacere, del valore e disvalore estetico, del bello e del brutto». |
14 | | Innanzi tutto, perché sono indefinibili gli stati psicologici? E se l'umorismo è un processo o un fatto che dà luogo a concetti complessi, ossia di complessi di fatti, come diventa poi esso un concetto? Concetto sarà quello a cui l'umorismo dà luogo, non l'umorismo. Certamente se per fatto estetico deve intendersi quel che intende il Croce, tutto diviene estrinseco ad esso, non che questo processo. Ma noi abbiamo dimostrato altrove e anche nel corso di questo lavoro, che il fatto estetico non è né può essere quel che il Croce intende. E, del resto, che significa la concessione che «questo e simili processi non hanno col fatto estetico nessun contatto, salvo quello generale che tutti essi, in quanto costituiscono la materia o la realtà , possono essere rappresentati dall'arte»? L'arte può rappresentare questo processo che dà luogo al concetto di umorismo. Ora, come potrò io, critico, rendermi conto di questa rappresentazione artistica, se non mi rendo conto del processo da cui risulta? E in che consisterebbe allora la critica estetica? «Se un'opera d'arte, - osserva il Cesareo nel suo saggio su La critica estetica appunto, - ha da provocare uno stato di animo, appar manifesto che tanto più pieno sarà l'effetto finale, quanto più intense e concordi vi coopereranno tutte le singole determinazioni. Anche in estetica la somma è in ragion delle poste. L'esame di tutte a una a una le particolari espressioni ci darà la misura dell'espressione totale. Or come la perfetta riproduzione d'uno stato d'animo, in cui per l'appunto consiste la bellezza estetica, è un fatto emozionale che può risultare soltanto dalla somma d'alcune rappresentazioni sentimentali, così l'analisi psicologica d'un'opera di poesia è il necessario fondamento di qualsiasi valutazione estetica». | | 14 | | Innanzi tutto, perché sono indefinibili gli stati psicologici? Saranno forse indefinibili per un filosofo, ma l'artista, in fondo, non fa altro che definire e rappresentare stati psicologici. E poi se l'umorismo è un processo o un fatto che dà luogo a concetti complessi, ossia di complessi di fatti, come diventa poi esso un concetto? Concetto sarà quello a cui l'umorismo dà luogo, non l'umorismo. Certamente se per fatto estetico deve intendersi quel che intende il Croce, tutto diviene estrinseco ad esso, non che questo processo. Ma noi abbiamo dimostrato altrove e anche nel corso di questo lavoro, che il fatto estetico non è né può essere quel che il Croce intende. E, del resto, che significa la concessione che «questo e simili processi non hanno col fatto estetico nessun contatto, salvo quello generale che tutti essi, in quanto costituiscono la materia o la realtà possono essere rappresentati dall'arte»? L'arte può rappresentare questo processo che dà luogo al concetto di umorismo. Ora, come potrò io, critico, rendermi conto di questa rappresentazione artistica, se non mi rendo conto del processo da cui risulta? E in che consisterebbe allora la critica estetica? «Se un'opera d'arte, - osserva il Cesareo nel suo saggio su La critica estetica appunto, - ha da provocare uno stato d'animo, appar manifesto che tanto più pieno sarà l'effetto finale, quanto più intense e concordi vi coopereranno tutte le singole determinazioni. Anche in estetica la somma è in ragion delle poste. L'esame di tutte a una a una le particolari espressioni ci darà la misura dell'espressione totale. Or come la perfetta riproduzione d'uno stato d'animo, in cui per l'appunto consiste la bellezza estetica, è un fatto emozionale che può risultare soltanto dalla somma d'alcune rappresentazioni sentimentali, così l'analisi psicologica d'un'opera di poesia è il necessario fondamento di qualsiasi valutazione estetica». |
15 | | Vediamo dunque, senz'altro, qual'è | | 15 | | Parlando di questo mio saggio sulla sua rivista «La Critica» (vol. VII, a. 1909, pagg. 219-223), il Croce, a proposito dello studio del Baldensperger Les définitions de l'humour (in Études d'histoire littéraire, Paris, Hachette, 1907), si compiace di dire che il Baldensperger ricorda anche le ricerche del Cazamian, edite nella «Revue Germanique» del 1906: Pourquoi nous ne pouvons définir l'humour, in cui l'autore, seguace del Bergson, sostiene che l'umorismo sfugge alla scienza, perché gli elementi caratteristici e costanti di esso sono in piccolo numero e soprattutto negativi, laddove gli elementi variabili sono in numero indeterminato. Per cui, il compito della critica è di studiare il contenuto e il tono di ogni umore e, cioè, la personalità di ciascun umorista. |
| | | | 16 | | «- Il n'y a pas d'humour, il n'y a que des humoristes», dice il signor Baldensperger. |
| | il processo da | | 17 | | E il Croce s'affretta a concludere: |
| | | | 18 | | «- La questione è così esaurita». |
| | cui risulta quella particolar rappresentazione che si suol chiamare umoristica | | 19 | | Esaurita? Torniamo e torneremo sempre a domandare come mai, se l'umorismo non c'è, né si sa, né si può dire che cosa sia, ci sieno poi scrittori, di cui si possa sapere e dire che sono umoristi. In base a che cosa si saprà e si potrà dire? |
| | ; | | 20 | | L'umorismo non c'è; ci sono scrittori umoristi. Il comico non c'è; ci sono scrittori comici. |
| | se questa ha peculiari caratteri che | | 21 | | Benissimo! E se un tale, sbagliando, afferma che un tale scrittore umorista è un comico, come farò io a chiarirgli lo sbaglio, a dimostrargli che è un umorista e non un comico? |
| | la distinguono, e da che derivano: se vi è un particolar | | 22 | | Il Croce pone innanzi la pregiudiziale metodica circa la possibilità di definire un concetto. Io gli pongo innanzi questo caso, e gli domando come potrebbe egli dimostrare, per esempio, all'Arcoleo, il quale afferma che il personaggio di don Abbondio è comico, che invece no, quel personaggio è umoristico, se non avesse ben chiaro in mente che cosa sia e che debba intendersi per umorismo. |
| | modo di considerare il mondo, che costituisce appunto la materia | | 23 | | Ma egli dice, in fondo, di non muover guerra alle definizioni, e che anzi il suo modo di rifiutarle tutte, filosoficamente, è l'accettarle tutte, empiricamente. Anche la mia; che del resto non è, né vuol essere una definizione, ma piuttosto la spiegazione di quell'intimo processo che avviene, e che non può non avvenire, in tutti quegli scrittori che si dicono umoristi. |
| | e la ragione dell'umorismo. | | 24 | | L'Estetica del Croce è così astratta e negativa, che applicarla alla critica non è assolutamente possibile, se non a patto di negarla di continuo, com'egli stesso fa, accettando questi così detti concetti empirici che, cacciati dalla porta, gli rientrano dalla finestra. Ah, una bella soddisfazione, la filosofia! |
16 | | II | | 25 | | II |
17 | | Ordinariamente, - ho già detto altrove,51 e qui m'è forza ripetere - l'opera d'arte è creata dal libero movimento della vita interiore che organa le idee e le imagini in una forma armoniosa, di cui tutti gli elementi han corrispondenza tra loro e con l'idea-madre che le coordina. La riflessione, durante la concezione, come durante l'esecuzione dell'opera d'arte, non resta certamente inattiva: assiste al nascere e al crescere dell'opera, ne segue le fasi progressive e ne gode, raccosta i varii elementi, li coordina, li compara. La coscienza non rischiara tutto lo spirito; segnatamente per l'artista, essa non è un lume distinto dal pensiero, che permetta alla volontà di attingere in lei come in un tesoro d'immagini e d'idee. La coscienza, in somma, non è una potenza creatrice; ma lo specchio interiore in cui il pensiero si rimira; si può dire anzi ch'essa sia il pensiero che vede sé stesso, assistendo a quello che esso fa spontaneamente. E, d'ordinario, nell'artista, nel momento della concezione, la riflessione si nasconde, resta, per così dire, invisibile: è, quasi, per l'artista una forma del sentimento. Man mano che l'opera si fa, essa la critica, non freddamente, come farebbe un giudice spassionato, analizzandola; ma d'un tratto, mercè l'impressione che ne riceve. | | 26 | | Vediamo dunque, senz'altro, qual è il processo da cui risulta quella particolar rappresentazione che si suol chiamare umoristica; se questa ha peculiari caratteri che la distinguono, e da che derivano: se vi è un particolar modo di considerare il mondo, che costituisce appunto la materia e la ragione dell'umorismo. Ordinariamente, - ho già detto altrove,51 e qui m'è forza ripetere - l'opera d'arte è creata dal libero movimento della vita interiore che organa le idee e le imagini in una forma armoniosa, di cui tutti gli elementi han corrispondenza tra loro e con l'idea-madre che le coordina. La riflessione, durante la concezione, come durante l'esecuzione dell'opera d'arte, non resta certamente inattiva: assiste al nascere e al crescere dell'opera, ne segue le fasi progressive e ne gode, raccosta i varii elementi, li coordina, li compara. La coscienza non rischiara tutto lo spirito; segnatamente per l'artista, essa non è un lume distinto dal pensiero, che permetta alla volontà di attingere in lei come in un tesoro d'immagini e d'idee. La coscienza, in somma, non è una potenza creatrice; ma lo specchio interiore in cui il pensiero si rimira; si può dire anzi ch'essa sia il pensiero che vede sé stesso, assistendo a quello che esso fa spontaneamente. E, d'ordinario, nell'artista, nel momento della concezione, la riflessione si nasconde, resta, per così dire, invisibile: è, quasi, per l'artista una forma del sentimento. Man mano che l'opera si fa, essa la critica, non freddamente, come farebbe un giudice spassionato, analizzandola; ma d'un tratto, mercè l'impressione che ne riceve. |
18 | | Questo, ordinariamente. Vediamo adesso se, per la natural disposizione d'animo di quegli scrittori che si chiamano umoristi e per il particolar modo che essi hanno di intuire e di considerar gli uomini e la vita, questo stesso procedimento avviene nella concezione delle loro opere; se cioè la riflessione vi tenga la parte che abbiamo or ora descritto, o non vi assuma piuttosto una speciale attività. Ebbene, | | 27 | | Questo, ordinariamente. Vediamo adesso se, per la natural disposizione d'animo di quegli scrittori che si chiamano umoristi e per il particolar modo che essi hanno di intuire e di considerar gli uomini e la vita, questo stesso procedimento avviene nella concezione delle loro opere; se cioè la riflessione vi tenga la parte che abbiamo or ora descritto, o non vi assuma piuttosto una speciale attività. |
| | nella concezione di ogni opera umoristica, la riflessione non si nasconde, non resta invisibile, non resta cioè quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi, da giudice; lo analizza, spassionandosene; ne scompone l'imagine; da questa analisi però, da questa scomposizione, un altro sentimento sorge o spira: quello che potrebbe chiamarsi, e che io difatti chiamo | | 28 | | Ebbene, noi vedremo che nella concezione di ogni opera umoristica, la riflessione non si nasconde, non resta invisibile, non resta cioè quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi ; lo analizza, spassionandosene; ne scompone l'imagine; da questa analisi però, da questa scomposizione, un altro sentimento sorge o spira: quello che potrebbe chiamarsi, e che io difatti chiamo il sentimento del contrario. |
| | il sentimento del contrario | | 29 | | Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s'inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovine di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico. |
| | . | | 30 | | «- Signore, signore! oh! signore, forse, come gli altri, voi stimate ridicolo tutto questo; forse vi annojo raccontandovi questi stupidi e miserabili particolari della mia vita domestica; ma per me non è ridicolo, perché io sento tutto ciò». Così grida Marmeladoff nell'osteria, in Delitto e castigo del Dostojevski, a Raskolnikoff tra le risate degli avventori ubriachi. E questo grido è appunto la protesta dolorosa ed esasperata d'un personaggio umoristico contro chi, di fronte a lui, si ferma a un primo avvertimento superficiale e non riesce a vederne altro che la comicità. |
19 | | Ecco subito un esempio, che per la sua lampante chiarezza, si potrebbe dir tipico. Un poeta, il Giusti, entra un giorno nella chiesa di Sant'Ambrogio a Milano, e vi trova un pieno di soldati, | | 31 | | Ed ecco qui un terzo esempio, che per la sua lampante chiarezza, si potrebbe dir tipico. Un poeta, il Giusti, entra un giorno nella chiesa di Sant'Ambrogio a Milano, e vi trova un pieno di soldati, |
20 | | Di que' soldati settentrionali, | | 32 | | Di que' soldati settentrionali, |
21 | | Come sarebbe boemi e croati, | | 33 | | Come sarebbe boemi e croati, |
22 | | Messi qui nella vigna a far da pali. | | 34 | | Messi qui nella vigna a far da pali. |
23 | | Il suo primo sentimento è d'odio: quei soldatacci ispidi e duri son lì a ricordargli la patria schiava. Ma ecco levarsi nel tempio il suono dell'organo: poi quel cantico tedesco lento lento, | | 35 | | Il suo primo sentimento è d'odio: quei soldatacci ispidi e duri son lì a ricordargli la patria schiava. Ma ecco levarsi nel tempio il suono dell'organo: poi quel cantico tedesco lento lento, |
24 | | D'un suono grave, flebile, solenne | | 36 | | D'un suono grave, flebile, solenne |
25 | | che è preghiera e pare lamento. Ebbene, questo suono determina a un tratto una disposizione insolita nel poeta, avvezzo a usare il flagello della satira politica e civile: determina in lui la disposizione propriamente umoristica: cioè, lo dispone a quella particolar riflessione che, spassionandosi del primo sentimento, dell'odio suscitato dalla vista di quei soldati, genera appunto il sentimento del contrario. Il poeta ha sentito nell'inno | | 37 | | che è preghiera e pare lamento. Ebbene, questo suono determina a un tratto una disposizione insolita nel poeta, avvezzo a usare il flagello della satira politica e civile: determina in lui la disposizione propriamente umoristica: cioè, lo dispone a quella particolar riflessione che, spassionandosi del primo sentimento, dell'odio suscitato dalla vista di quei soldati, genera appunto il sentimento del contrario. Il poeta ha sentito nell'inno |
26 | | La dolcezza amara | | 38 | | La dolcezza amara |
27 | | Dei canti uditi da fanciullo: il core | | 39 | | Dei canti uditi da fanciullo: il core |
28 | | Che da voce domestica gl'impara, | | 40 | | Che da voce domestica gl'impara, |
29 | | Ce li ripete i giorni del dolore. | | 41 | | Ce li ripete i giorni del dolore. |
30 | | Un pensier mesto della madre cara, | | 42 | | Un pensier mesto della madre cara, |
31 | | Un desiderio di pace e d'amore, | | 43 | | Un desiderio di pace e d'amore, |
32 | | Uno sgomento di lontano esilio. | | 44 | | Uno sgomento di lontano esilio. |
33 | | E riflette che quei soldati, strappati ai loro tetti da un re pauroso, | | 45 | | E riflette che quei soldati, strappati ai loro tetti da un re pauroso, |
34 | | A dura vita, a dura disciplina | | 46 | | A dura vita, a dura disciplina |
35 | | Muti, derisi, solitari stanno, | | 47 | | Muti, derisi, solitari stanno, |
36 | | Strumenti ciechi d'occhiuta rapina | | 48 | | Strumenti ciechi d'occhiuta rapina |
37 | | Che lor non tocca e che forse non sanno. | | 49 | | Che lor non tocca e che forse non sanno. |
38 | | Ed ecco il contrario dell'odio di prima: | | 50 | | Ed ecco il contrario dell'odio di prima: |
39 | | Povera gente! lontana da' suoi | | 51 | | Povera gente! lontana da' suoi |
40 | | In un paese qui che le vuol male. | | 52 | | In un paese qui che le vuol male. |
41 | | Il poeta è costretto a fuggir dalla chiesa perché | | 53 | | Il poeta è costretto a fuggir dalla chiesa perché |
42 | | Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale, | | 54 | | Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale, |
43 | | Colla su' brava mazza di nocciuolo | | 55 | | Colla su' brava mazza di nocciuolo |
44 | | Duro e piantato lì come un piuolo. | | 56 | | Duro e piantato lì come un piuolo. |
45 | | Notando questo, avvertendo cioè questo sentimento del contrario che nasce da una speciale attività della riflessione, io non esco affatto dal campo della critica estetica e psicologica. L'analisi psicologica di questa poesia è il necessario fondamento della valutazione estetica di essa. Io non posso intenderne la bellezza, se non intendo il processo psicologico da cui risulta la perfetta riproduzione di quello stato d'animo che il poeta voleva suscitare, nella quale consiste appunto la bellezza estetica. | | 57 | | Notando questo, avvertendo cioè questo sentimento del contrario che nasce da una speciale attività della riflessione, io non esco affatto dal campo della critica estetica e psicologica. L'analisi psicologica di questa poesia è il necessario fondamento della valutazione estetica di essa. Io non posso intenderne la bellezza, se non intendo il processo psicologico da cui risulta la perfetta riproduzione di quello stato d'animo che il poeta voleva suscitare, nella quale consiste appunto la bellezza estetica. |
46 | | Vediamo ora un esempio più complesso, nel quale la speciale attività della riflessione non si scopra così a prima giunta; prendiamo un libro di cui abbiamo già discorso: il Don Quijote del Cervantes. Vogliamo giudicarne il valore estetico. Che faremo? Dopo la prima lettura e la prima impressione che ne avremo ricevuto, terremo conto anche qui dello stato d'animo che l'autore ha voluto suscitare. Qual'è questo stato d'animo? Noi vorremmo ridere di tutto quanto c'è di comico nella rappresentazione di questo povero alienato che maschera della sua follia sé stesso e gli altri e tutte le cose; vorremmo ridere, ma il riso non ci viene alle labbra schietto e facile; sentiamo che qualcosa ce lo turba e ce l'ostacola: è un senso di commiserazione, di pena e anche d'ammirazione, sì, perché se le eroiche avventure di questo povero hidalgo sono ridicolissime, pur non v'ha dubbio che egli nella sua ridicolaggine è veramente eroico. Noi abbiamo una rappresentazione comica, ma spira da questa un sentimento che ci impedisce di ridere o ci turba il riso della comicità rappresentata; ce lo rende amaro. Attraverso il comico stesso, abbiamo anche qui il sentimento del contrario. L'autore l'ha destato in noi perché s'è destato in lui, e noi ne abbiamo già veduto le ragioni. Ebbene, perché non si scopre qui la speciale attività della riflessione? Ma perché essa - frutto della tristissima esperienza della vita, esperienza che ha determinato la disposizione umoristica nel poeta - si era già esercitata sul sentimento di lui, su quel sentimento che lo aveva armato cavaliere della fede a Lepanto. Spassionandosi di questo sentimento e ponendovisi contro, da giudice, nella oscura carcere della Mancha, ed analizzandolo con amara freddezza, la riflessione aveva già destato nel poeta il sentimento del contrario, e frutto di esso è appunto il Don Quijote: è questo sentimento del contrario oggettivato. Il poeta non ha rappresentato la causa del processo - come il Giusti nella sua poesia - ne ha rappresentato soltanto l'effetto, e però il sentimento del contrario spira attraverso la comicità della rappresentazione; questa comicità è frutto del sentimento del contrario generato nel poeta dalla speciale attività della riflessione sul primo sentimento tenuto nascosto. | | 58 | | Vediamo ora un esempio più complesso, nel quale la speciale attività della riflessione non si scopra così a prima giunta; prendiamo un libro di cui abbiamo già discorso: il Don Quijote del Cervantes. Vogliamo giudicarne il valore estetico. Che faremo? Dopo la prima lettura e la prima impressione che ne avremo ricevuto, terremo conto anche qui dello stato d'animo che l'autore ha voluto suscitare. Qual'è questo stato d'animo? Noi vorremmo ridere di tutto quanto c'è di comico nella rappresentazione di questo povero alienato che maschera della sua follia sé stesso e gli altri e tutte le cose; vorremmo ridere, ma il riso non ci viene alle labbra schietto e facile; sentiamo che qualcosa ce lo turba e ce l'ostacola; è un senso di commiserazione, di pena e anche d'ammirazione, sì, perché se le eroiche avventure di questo povero hidalgo sono ridicolissime, pur non v'ha dubbio che egli nella sua ridicolaggine è veramente eroico. Noi abbiamo una rappresentazione comica, ma spira da questa un sentimento che ci impedisce di ridere o ci turba il riso della comicità rappresentata; ce lo rende amaro. Attraverso il comico stesso, abbiamo anche qui il sentimento del contrario. L'autore l'ha destato in noi perché s'è destato in lui, e noi ne abbiamo già veduto le ragioni. Ebbene, perché non si scopre qui la speciale attività della riflessione? Ma perché essa - frutto della tristissima esperienza della vita, esperienza che ha determinato la disposizione umoristica nel poeta - si era già esercitata sul sentimento di lui, su quel sentimento che lo aveva armato cavaliere della fede a Lepanto. Spassionandosi di questo sentimento e ponendovisi contro, da giudice, nella oscura carcere della Mancha, ed analizzandolo con amara freddezza, la riflessione aveva già destato nel poeta il sentimento del contrario, e frutto di esso è appunto il Don Quijote: è questo sentimento del contrario oggettivato. Il poeta non ha rappresentato la causa del processo - come il Giusti nella sua poesia - ne ha rappresentato soltanto l'effetto, e però il sentimento del contrario spira attraverso la comicità della rappresentazione; questa comicità è frutto del sentimento del contrario generato nel poeta dalla speciale attività della riflessione sul primo sentimento tenuto nascosto. |
47 | | Ora, che bisogno ho io d'assegnare un qualsiasi valore etico a questo sentimento del contrario, come fa Theodor Lipps nel suo libro Komik und Humor? | | 59 | | Ora, che bisogno ho io d'assegnare un qualsiasi valore etico a questo sentimento del contrario, come fa Theodor Lipps nel suo libro Komik und Humor? |
48 | | Cioè - intendiamoci bene - al Lipps veramente non si affaccia mai questo sentimento del contrario. Egli, da un canto, non vede che una specie di meccanismo così del comico come dell'umore: quello stesso che il Croce nella sua Estetica cita come un esempio di spiegazione accettabile di siffatti «concetti»: «Posto l'organismo nella situazione a, sopravvenendo la circostanza b, si ha il fatto c». E, dall'altro canto, s'impaccia di continuo di valori etici, poiché per lui ogni godimento artistico ed estetico in genere è godimento di qualcosa che ha valore etico: non già come elemento di un complesso, ma come oggetto dell'intuizione estetica. E tira continuamente in ballo il valore etico della personalità umana, e parla di positivo umano e di negazione di esso. Egli dice: «Dass durch die Negation, die am positiv Menschlichen geschieht, dies positiv Menschliche uns näher gebracht, in seinem Wert offenbarer und fühlbarer gemacht wird, darin besteht, wie wir sahen, das allgemeinste Wesen der Tragik. Ebendarin besteht auch das allgemeinste Wesen des Humors. Nur dass hier die Negation anderer Art ist als dort, nämlich komische Negation. Ich sagte vom Naivkomischen, dass es auf dem Wege liege von der Komik zum Humor. Dies heisst nicht: die naive Komik ist Humor. Vielmehr ist auch hier die Komik als solche das Gegenteil des Humors. Die naive Komik entsteht, indem das vom Standpunkte der naiven Persönlichkeit aus Berechtigte, Gute, Kluge, von unserem Standpunkte aus im gegenteiligen Lichte erscheint. Der Humor entsteht umgekehrt, indem jenes relativ Berechtigte, Gute, Kluge aus dem Prozess der komischen Vernichtung wiederum emportaucht, und nun erst recht in seinem Werte einleuchtet und genossen wird». E poco più oltre: «Der eigentliche Grund und Kern des Humors ist überall und jederzeit das relativ Gute, Schöne, Vernünftige, das auch da sich findet, wo es nach unseren gewöhnlichen Begriffen nicht vorhanden, ja geflissentlich negiert erscheint». Dice anche: «In der Komik nicht nur das Komische in nichts zergeht, sondern auch wir in gewisser Weise, mit unserer Erwartung, unserem Glauben an eine Erhabenheit oder Grösse, den Regeln oder Gewohnheiten unseres Denkens u.s.w. "zu nichte" werden. Über dieses eigene Zunichtewerden erhebt sich der Humor. Dieser Humor, der Humor, den wir angesichts des Komischen haben, besteht schliesslich ebenso wie derjenige, den der Träger des bewusst humoristischen Geschehens hat, in der Geistesfreiheit, der Gewissheit des eigenen Selbst und des Vernünftigen, Guten und Erhabenen in der Welt, die bei aller objektiven und eigenen Nichtigkeit bestehen bleibt, oder eben darin zur Geltung kommt». Ma è poi costretto a riconoscere egli stesso che «nicht jeder Humor diese höchste Stufe erreicht» e che vi ha «neben dem versöhnten, einen entzweiten Humor». | | 60 | | Cioè - intendiamoci bene - al Lipps veramente non si affaccia mai questo sentimento del contrario. Egli, da un canto, non vede che una specie di meccanismo così del comico come dell'umore: quello stesso che il Croce nella sua Estetica cita come un esempio di spiegazione accettabile di siffatti «concetti»: «Posto l'organismo nella situazione a, sopravvenendo la circostanza b, si ha il fatto c». E, dall'altro canto, s'impaccia di continuo di valori etici, poiché per lui ogni godimento artistico ed estetico in genere è godimento di qualcosa che ha valore etico: non già come elemento di un complesso, ma come oggetto dell'intuizione estetica. E tira continuamente in ballo il valore etico della personalità umana, e parla di positivo umano e di negazione di esso. Egli dice: «Dass durch die Negation, die am positiv Menschlichen geschieht, dies positiv Menschliche uns näher gebracht, in seinem Wert offenbarer und fühlbarer gemacht wird, darin besteht, wie wir sahen, das allgemeinste Wesen der Tragik. Ebendarin besteht auch das allgemeinste Wesen des Humors. Nur dass hier die Negation anderer Art ist als dort, nämlich komische Negation. Ich sagte vom Naivkomischen, dass es auf dem Wege liege von der Komik zum Humor. Dies heisst nicht: die naive Komik ist Humor. Vielmehr ist auch hier die Komik als solche das Gegenteil des Humors. Die naive Komik entsteht, indem das vom Standpunkte der naiven Persönlichkeit aus Berechtigte, Gute, Kluge, von unserem Standpunkte aus im gegenteiligen Lichte erscheint. Der Humor entsteht umgekehrt, indem jenes relativ Berechtigte, Gute, Kluge aus dem Prozess der komischen Vernichtung wiederum emportaucht, und nun erst recht in seinem Werte einleuchtet und genossen wird». E poco più oltre: «Der eigentliche Grund und Kern des Humors ist überall und jederzeit das relativ Gute, Schöne, Vernünftige, das auch da sich findet, wo es nach unseren gewöhnlichen Begriffen nicht vorhanden, ja geflissentlich negiert erscheint». Dice anche: «In der Komik nicht nur das Komische in nichts zergeht, sondern auch wir in gewisser Weise, mit unserer Erwartung, unserem Glauben an eine Erhabenheit oder Grösse, den Regeln oder Gewohnheiten unseres Denkens u.s.w. "zu nichte" werden. Über dieses eigene Zunichtewerden erhebt sich der Humor. Dieser Humor, der Humor, den wir angesichts des Komischen haben, besteht schliesslich ebenso wie derjenige, den der Träger des bewusst humoristischen Geschehens hat, in der Geistesfreiheit, der Gewissheit des eigenen Selbst und des Vernünftigen, Guten und Erhabenen in der Welt, die bei aller objektiven und eigenen Nichtigkeit bestehen bleibt, oder eben darin zur Geltung kommt». Ma è poi costretto a riconoscere egli stesso che «nicht jeder Humor diese höchste Stufe erreicht» e che vi ha «neben dem versöhnten, einen entzweiten Humor». |
49 | | Ma che bisogno ho io, ripeto, di dare un qualsiasi valore etico a quello che ho chiamato il sentimento del contrario, o di determinarlo a priori in alcun modo? Esso si determinerà da sé, volta per volta, secondo la personalità del poeta o l'oggetto della rappresentazione. Che importa a me, critico estetico, di sapere in chi o dove stia la ragion relativa e il giusto e il bene? Io non voglio né debbo uscire dal campo della fantasia pura. Io mi pongo dinanzi qualunque rappresentazione artistica, e mi propongo soltanto di giudicarne il valore estetico. Per questo giudizio, ho bisogno innanzi tutto di sapere lo stato d'animo che quella rappresentazione artistica vuol suscitare: lo saprò dall'impressione che ne ho ricevuto. Questo stato d'animo, ogni qual volta mi trovo innanzi a una rappresentazione veramente umoristica, è di perplessità: io mi sento come tenuto tra due: vorrei ridere, rido, ma il riso mi è turbato e ostacolato da qualcosa che spira dalla rappresentazione stessa. Ne cerco la ragione. Per trovarla, non ho affatto bisogno di sciogliere l'espressione fantastica in un rapporto etico, di tirare in ballo il valore etico della personalità umana e via dicendo. | | 61 | | Ma che bisogno ho io, ripeto, di dare un qualsiasi valore etico a quello che ho chiamato il sentimento del contrario, o di determinarlo a priori in alcun modo? Esso si determinerà da sé, volta per volta, secondo la personalità del poeta o l'oggetto della rappresentazione. Che importa a me, critico estetico, di sapere in chi o dove stia la ragion relativa e il giusto e il bene? Io non voglio né debbo uscire dal campo della fantasia pura. Io mi pongo dinanzi qualunque rappresentazione artistica, e mi propongo soltanto di giudicarne il valore estetico. Per questo giudizio, ho bisogno innanzi tutto di sapere lo stato d'animo che quella rappresentazione artistica vuol suscitare: lo saprò dall'impressione che ne ho ricevuto. Questo stato d'animo, ogni qual volta mi trovo innanzi a una rappresentazione veramente umoristica, è di perplessità: io mi sento come tenuto tra due: vorrei ridere, rido, ma il riso mi è turbato e ostacolato da qualcosa che spira dalla rappresentazione stessa. Ne cerco la ragione. Per trovarla, non ho affatto bisogno di sciogliere l'espressione fantastica in un rapporto etico, di tirare in ballo il valore etico della personalità umana e via dicendo. |
50 | | Trovo questo sentimento del contrario, qualunque esso sia, che spira in tanti modi dalla rappresentazione stessa, costantemente in tutte le rappresentazioni che soglio chiamare umoristiche. Perché limitarne eticamente la causa, oppure astrattamente, attribuendola, ad esempio, al disaccordo che il sentimento e la meditazione scoprono fra la vita reale e l'ideale umano o fra le nostre aspirazioni e le nostre debolezze e miserie? Nascerà anche da questo, come da tantissime altre cause indeterminabili a priori. A noi preme soltanto accertare che questo sentimento del contrario nasce, e che nasce da una speciale attività che assume nella concezione di siffatte opere d'arte la riflessione. | | 62 | | Trovo questo sentimento del contrario, qualunque esso sia, che spira in tanti modi dalla rappresentazione stessa, costantemente in tutte le rappresentazioni che soglio chiamare umoristiche. Perché limitarne eticamente la causa, oppure astrattamente, attribuendola, ad esempio, al disaccordo che il sentimento e la meditazione scoprono fra la vita reale e l'ideale umano o fra le nostre aspirazioni e le nostre debolezze e miserie? Nascerà anche da questo, come da tantissime altre cause indeterminabili a priori. A noi preme soltanto accertare che questo sentimento del contrario nasce, e che nasce da una speciale attività che assume nella concezione di siffatte opere d'arte la riflessione. |
51 | | III | | 63 | | III |
52 | | Teniamoci a questo; seguiamo questa attività speciale della riflessione, e vediamo se essa non ci spiega ad una ad una tutte le varie caratteristiche, che si possono riscontrare in ogni opera umoristica. | | 64 | | Teniamoci a questo; seguiamo questa attività speciale della riflessione, e vediamo se essa non ci spiega a una a una tutte le varie caratteristiche, che si possono riscontrare in ogni opera umoristica. |
53 | | Abbiamo detto che, ordinariamente, nella concezione d'un'opera d'arte, la riflessione è quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira. Volendo seguitar quest'imagine, si potrebbe dire che, nella concezione umoristica, la riflessione è, sì, come uno specchio, ma d'acqua diaccia, in cui la fiamma del sentimento non si rimira soltanto, ma si tuffa e si smorza: il friggere dell'acqua è il riso che suscita l'umorista; il vapore che n'esala è la fantasia spesso un po' fumosa dell'opera umoristica. | | 65 | | Abbiamo detto che, ordinariamente, nella concezione d'un'opera d'arte, la riflessione è quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira. Volendo seguitar quest'imagine, si potrebbe dire che, nella concezione umoristica, la riflessione è, sì, come uno specchio, ma d'acqua diaccia, in cui la fiamma del sentimento non si rimira soltanto, ma si tuffa e si smorza: il friggere dell'acqua è il riso che suscita l'umorista; il vapore che n'esala è la fantasia spesso un po' fumosa dell'opera umoristica. |
54 | | «- A questo mondo c'è giustizia finalmente!» grida Renzo, il promesso sposo, appassionato e rivoltato. | | 66 | | «- A questo mondo c'è giustizia finalmente!» grida Renzo, il promesso sposo, appassionato e rivoltato. |
55 | | «- Tant'è vero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica», comenta il Manzoni. | | 67 | | «- Tant'è vero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica», commenta il Manzoni. |
56 | | Ecco la fiamma là del sentimento, che si tuffa qua e si smorza nell'acqua diaccia della riflessione. | | 68 | | Ecco la fiamma là del sentimento, che si tuffa qua e si smorza nell'acqua diaccia della riflessione |
57 | | Esteticamente e psicologicamente, l'umorismo può considerarsi come un fenomeno di sdoppiamento nell'atto della concezione: erma bifronte, che ride per una faccia del pianto della faccia opposta. | | | | . |
58 | | La riflessione, assumendo quella sua speciale attività, viene a turbare, a interrompere il movimento spontaneo che organa le idee e le immagini in una forma armoniosa. È stato tante volte notato che le opere umoristiche sono scomposte, interrotte, intramezzate di continue digressioni. Anche in un'opera così armonica nel suo complesso come I promessi sposi, è stato notato qualche difetto di composizione, una soverchia minuzia qua e là e il frequente interrompersi della rappresentazione o per richiami al famoso Anonimo o per l'arguta intrusione dell'autore stesso. Questo, che ai critici nostri è sembrato un eccesso per un verso, un difetto per l'altro, è poi la caratteristica più evidente di tutti i libri umoristici. Basta citare il Tristram Shandy dello Sterne, che è tutto quanto un viluppo di variazioni e digressioni, non ostante che l'autobiografo si proponga di narrar tutto ab ovo, punto per punto, e cominci dall'alvo di sua madre e dalla pendola che il signor Shandy padre soleva puntualmente caricare. | | 69 | | La riflessione, assumendo quella sua speciale attività, viene a turbare, a interrompere il movimento spontaneo che organa le idee e le immagini in una forma armoniosa. È stato tante volte notato che le opere umoristiche sono scomposte, interrotte, intramezzate di continue digressioni. Anche in un'opera così armonica nel suo complesso come I promessi sposi, è stato notato qualche difetto di composizione, una soverchia minuzia qua e là e il frequente interrompersi della rappresentazione o per richiami al famoso Anonimo o per l'arguta intrusione dell'autore stesso. Questo, che ai critici nostri è sembrato un eccesso per un verso, un difetto per l'altro, è poi la caratteristica più evidente di tutti i libri umoristici. Basta citare il Tristram Shandy dello Sterne, che è tutto quanto un viluppo di variazioni e digressioni, non ostante che l'autobiografo si proponga di narrar tutto ab ovo, punto per punto, e cominci dall'alvo di sua madre e dalla pendola che il signor Shandy padre soleva puntualmente caricare. |
59 | | Ma se questa caratteristica è stata notata, non se ne son vedute chiaramente le ragioni. Questa scompostezza, queste digressioni, queste variazioni non derivano già dal bizzarro arbitrio o dal capriccio degli scrittori, ma sono appunto necessaria e inovviabile conseguenza del turbamento e delle interruzioni del movimento organatore delle immagini per opera della riflessione attiva, la quale suscita un'associazione per contrarii: le imagini cioè, anziché associate per similazione o per contiguità, si presentano in contrasto: ogni immagine, ogni gruppo d'immagini desta e richiama le contrarie, che naturalmente dividono lo spirito, il quale, irrequieto, s'ostina a trovare o a stabilir tra loro le relazioni più impensate. | | 70 | | Ma se questa caratteristica è stata notata, non se ne son vedute chiaramente le ragioni. Questa scompostezza, queste digressioni, queste variazioni non derivano già dal bizzarro arbitrio o dal capriccio degli scrittori, ma sono appunto necessaria e inovviabile conseguenza del turbamento e delle interruzioni del movimento organatore delle immagini per opera della riflessione attiva, la quale suscita un'associazione per contrarii: le immagini cioè, anziché associate per similazione o per contiguità, si presentano in contrasto: ogni immagine, ogni gruppo d'immagini desta e richiama le contrarie, che naturalmente dividono lo spirito, il quale, irrequieto, s'ostina a trovare o a stabilir tra loro le relazioni più impensate. |
60 | | Ogni vero umorista non è soltanto poeta, è anche critico, ma - si badi - un critico sui generis, un critico fantastico: e dico fantastico non solamente nel senso di bizzarro o di capriccioso, ma anche nel senso estetico della parola, quantunque possa sembrare a prima giunta una contraddizione in termini. Ma è proprio così; e però ho sempre parlato di una speciale attività della riflessione. | | 71 | | Ogni vero umorista non è soltanto poeta, è anche critico, ma - si badi - un critico sui generis, un critico fantastico: e dico fantastico non solamente nel senso di bizzarro o di capriccioso, ma anche nel senso estetico della parola, quantunque possa sembrare a prima giunta una contraddizione in termini. Ma è proprio così; e però ho sempre parlato di una speciale attività della riflessione. |
61 | | Questo apparirà chiaro quando si pensi che se, indubbiamente, una innata o ereditata malinconia, le tristi vicende, un'amara esperienza della vita, o anche un pessimismo o uno scetticismo acquisito con lo studio e con la considerazione su le sorti dell'umana esistenza, sul destino degli uomini, ecc. possono determinare quella particolar disposizione d'animo che si suol chiamare umoristica, questa disposizione poi, da sola, non basta a creare un'opera d'arte. Essa non è altro che il terreno preparato: l'opera d'arte è il germe che cadrà in questo terreno, e sorgerà, e si svilupperà nutrendosi dell'umore di esso, togliendo cioè da esso condizione e qualità. Ma la nascita e lo sviluppo di questa pianta debbono essere spontanei. Apposta il germe non cade se non nel terreno preparato a riceverlo, ove meglio cioè può germogliare. La creazione dell'arte è spontanea: non è composizione esteriore, per addizione d'elementi di cui si siano studiati i rapporti: di membra sparse non si compone un corpo vivo, innestando, combinando. Un'opera d'arte, in somma, è, in quanto è "ingenua"; non può essere il risultato della riflessione cosciente. | | 72 | | Questo apparirà chiaro quando si pensi che se, indubbiamente, una innata o ereditata malinconia, le tristi vicende, un'amara esperienza della vita, o anche un pessimismo o uno scetticismo acquisito con lo studio e con la considerazione su le sorti dell'umana esistenza, sul destino degli uomini, ecc. possono determinare quella particolar disposizione d'animo che si suol chiamare umoristica, questa disposizione poi, da sola, non basta a creare un'opera d'arte. Essa non è altro che il terreno preparato: l'opera d'arte è il germe che cadrà in questo terreno, e sorgerà, e si svilupperà nutrendosi dell'umore di esso, togliendo cioè da esso condizione e qualità. Ma la nascita e lo sviluppo di questa pianta debbono essere spontanei. Apposta il germe non cade se non nel terreno preparato a riceverlo, ove meglio cioè può germogliare. La creazione dell'arte è spontanea: non è composizione esteriore, per addizione d'elementi di cui si siano studiati i rapporti: di membra sparse non si compone un corpo vivo, innestando, combinando. Un'opera d'arte, in somma, è, in quanto è "ingenua"; non può essere il risultato della riflessione cosciente. |
62 | | La riflessione, dunque, di cui io parlo, non è un'opposizione del cosciente verso lo spontaneo; è una specie di projezione della stessa attività fantastica: nasce dal fantasma, come l'ombra dal corpo; ha tutti i caratteri della "ingenuità" o natività spontanea; è nel germe stesso della creazione, e spira in fatti da essa ciò che ho chiamato il sentimento del contrario. | | 73 | | La riflessione, dunque, di cui io parlo, non è un'opposizione del cosciente verso lo spontaneo; è una specie di projezione della stessa attività fantastica: nasce dal fantasma, come l'ombra dal corpo; ha tutti i caratteri della "ingenuità" o natività spontanea; è nel germe stesso della creazione, e spira in fatti da essa ciò che ho chiamato il sentimento del contrario. |
63 | | Ben per questo ho soggiunto che l'umorismo potrebbe dirsi un fenomeno di sdoppiamento nell'atto della concezione. La concezione dell'opera d'arte non è altro, in fondo, che una forma dell'organamento delle immagini. L'idea dell'artista non è un'idea astratta; è un sentimento, che divien centro della vita interiore, si impadronisce dello spirito, l'agita e, agitandolo, tende a crearsi un corpo d'immagini. Quando un sentimento scuote violentemente lo spirito, d'ordinario, si svegliano tutte le idee, tutte le immagini che son con esso in accordo: qui, invece, per la riflessione inserta nel germe del sentimento, come un vischio maligno, si sveglian le idee e le immagini in contrasto. È la condizione, è la qualità che prende il germe, cadendo nel terreno che abbiamo più su descritto: gli s'inserisce il vischio della riflessione; e la pianta sorge e si veste d'un verde estraneo e pur con essa connaturato | | 74 | | Ben per questo ho soggiunto che l'umorismo potrebbe dirsi un fenomeno di sdoppiamento nell'atto della concezione. La concezione dell'opera d'arte non è altro, in fondo, che una forma dell'organamento delle immagini. L'idea dell'artista non è un'idea astratta; è un sentimento, che divien centro della vita interiore, si impadronisce dello spirito, l'agita e, agitandolo, tende a crearsi un corpo d'immagini. Quando un sentimento scuote violentemente lo spirito, d'ordinario, si svegliano tutte le idee, tutte le immagini che son con esso in accordo: qui, invece, per la riflessione inserta nel germe del sentimento, come un vischio maligno, si sveglian le idee e le immagini in contrasto. È la condizione, è la qualità che prende il germe, cadendo nel terreno che abbiamo più su descritto: gli s'inserisce il vischio della riflessione; e la pianta sorge e si veste d'un verde estraneo e pur con essa connaturato. |
| | | | 75 | | A questo punto si fa avanti il Croce con tutta la forza della sua logica raccolta in un cosicché, per inferire da quanto ho detto più su, ch'io contrappongo arte e umorismo. E si domanda: «Vuol egli dire che l'umorismo non è arte, o che esso è più che arte? E, in questo caso, che cosa è mai? Riflessione su l'arte, e cioè critica d'arte? Riflessione sulla vita, e cioè filosofia della vita? O una forma sui generis dello spirito, che i filosofi, finora, non hanno conosciuta? Il P., se l'ha scoperta lui, avrebbe dovuto, a ogni modo, dimostrarla, assegnarle un posto, dedurla e farne intendere la connessione con le altre forme dello spirito. Il che non ha fatto, limitandosi ad affermare che l'umorismo è l'opposto dell'arte». |
| | | | 76 | | Io mi guardo attorno sbalordito. Ma dove, ma quando mai ho affermato questo? Qui sta tra due: o io non so scrivere, o il Croce non sa leggere. Come c'entra la riflessione sull'arte che è critica d'arte, e la riflessione sulla vita che è filosofia della vita? Io ho detto che ordinariamente, in generale, nella concezione d'un'opera d'arte, cioè mentre uno scrittore la concepisce, la riflessione ha un ufficio che ho cercato di determinare, per poi venire a determinare quale speciale attività essa assuma, non già sull'opera d'arte, ma in quella speciale opera d'arte che si chiama umoristica. Ebbene, perciò l'umorismo non è arte, o è più che arte? Chi lo dice? Lo dice lui, il Croce, perché vuol dirlo, non perché io non mi sia espresso chiaramente, dimostrando che è arte con questo particolar carattere, e chiarendo da che cosa le provenga, cioè da questa speciale attività della riflessione, la quale scompone l'immagine creata da un primo sentimento per far sorgere da questa scomposizione e presentarne un altro contrario, come appunto s'è veduto dagli esempii recati e da tutti gli altri che avrei potuto recare, esaminando a una a una le più celebrate opere umoristiche. |
| | | | 77 | | Non vorrei ammettere un'ipotesi quanto mai ingiuriosa per il Croce, che cioè egli creda che un'opera d'arte si componga come un qualunque pasticcio con tanto d'uova, tanto di farina, tanto di questo o di quell'altro ingrediente, che si potrebbe anche mettere o lasciar fuori. Ma purtroppo mi vedo costretto da lui stesso ad ammettere una siffatta ipotesi, quand'egli «per farmi toccare con mano che l'umorismo come arte non si può distinguere dalla restante arte» pone questi due casi circa alla riflessione, di cui io - secondo lui - vorrei fare carattere distintivo dell'arte umoristica, quasi che fosse lo stesso dire così, in generale, la riflessione e parlare com'io faccio, d'una speciale attività della riflessione, più come processo intimo, immancabile nell'atto della concezione o della creazione di tali opere, che come carattere distintivo che per forza debba mostrarsi. Ma lasciamo andare. Pone, dicevo, questi due casi: che cioè, la riflessione «o entra come componente nella materia dell'opera d'arte e, in questo caso, tra l'umorismo e la commedia (o la tragedia o la lirica, e via dicendo), non vi ha differenza alcuna, giacché in tutte le opere d'arte entra, o può entrare, il pensiero e la riflessione; ovvero rimane estrinseca all'opera d'arte, e allora si avrà critica e non mai arte, e neppure arte umoristica». |
| | | | 78 | | È chiaro. Il pasticcio! Recipe: tanto di fantasia, tanto di sentimento, tanto di riflessione; impasta e avrai una qualunque opera d'arte, perché nella composizione di una qualunque opera d'arte possono entrare tutti quegli ingredienti, e anche altri. |
| | | | 79 | | Ma domando io: come c'entra questo pasticcio, questa composizione d'elementi come materia dell'opera d'arte, qualunque e comunque sia, con quello che io ho detto più su e che ho fatto vedere, punto per punto, parlando per esempio del Sant'Ambrogio del Giusti, quando ho mostrato come la riflessione, inserendosi come un vischio nel primo sentimento del poeta, che è d'odio verso quei soldatacci stranieri, generò a poco a poco il contrario del sentimento di prima? E forse perché questa riflessione, sempre vigile e specchiante in ogni artista durante la creazione, non segue qua il primo sentimento, ma a un certo punto gli s'oppone, diventa perciò estrinseca all'opera d'arte, diventa perciò critica? Io parlo d'una attività intrinseca della riflessione, e non della riflessione come materia componente dell'opera d'arte. È chiaro! E non è credibile che il Croce non l'intenda. Non vuole intenderlo. E ne è prova quel suo voler far credere che siano imprecise le mie distinzioni e che io le ripeta e le modifichi e le temperi di continuo e che, quando altro non sappia, ricorra alle immagini; mentre invece negli esempii ch'egli cita di queste mie pretese ripetizioni e modificazioni e soccorrevoli immagini, sfido chiunque a scoprire il minimo disaccordo, la minima modificazione, il minimo temperamento della prima asserzione, e non piuttosto una più chiara spiegazione, una più precisa immagine; sfido chiunque a riconoscere con lui il mio imbarazzo, poiché i concetti, a suo dire, mi si sformano tra mano quando li prendo per porgerli altrui. |
| | | | 80 | | Tutto questo è veramente pietoso. Ma tanto può sul Croce ciò che una volta egli s'è lasciato dire: che cioè dell'umorismo non si debba, né si possa parlare. |
| | . | | 81 | | Andiamo avanti. |
64 | | IV | | 82 | | IV |
65 | | Per spiegarci la ragione del contrasto tra la riflessione e il sentimento, dobbiamo penetrar nel terreno in cui il germe cade, voglio dire nello spirito dello scrittore umorista. Che se la disposizione umoristica per sé sola non basta, perché ci vuole il germe della creazione, questo germe poi si nutre dell'umore che trova. Lo stesso Lipps che vede tre modi d'essere dell'umore, cioè: | | 83 | | Per spiegarci la ragione del contrasto tra la riflessione e il sentimento, dobbiamo penetrar nel terreno in cui il germe cade, voglio dire nello spirito dello scrittore umorista. Che se la disposizione umoristica per sé sola non basta, perché ci vuole il germe della creazione, questo germe poi si nutre dell'umore che trova. Lo stesso Lipps che vede tre modi d'essere dell'umore, cioè: |
66 | | a) l'umore, come disposizione, o modo di considerar le cose; | | 84 | | a) l'umore, come disposizione, o modo di considerar le cose; |
67 | | b) l'umore, come rappresentazione; | | 85 | | b) l'umore, come rappresentazione; |
68 | | c) l'umore obiettivo; | | 86 | | c) l'umore obiettivo; |
69 | | conclude poi che in verità l'umore è soltanto in chi lo ha: soggettivismo e oggettivismo non sono altro che un diverso atteggiamento dello spirito nell'atto della rappresentazione. La rappresentazione cioè dell'umore, che è sempre in chi lo ha, può essere atteggiata in due modi: subiettivamente od obiettivamente. | | 87 | | conclude poi che in verità l'umore è soltanto in chi lo ha: soggettivismo e oggettivismo non sono altro che un diverso atteggiamento dello spirito nell'atto della rappresentazione. La rappresentazione cioè dell'umore, che è sempre in chi lo ha, può essere atteggiata in due modi: subiettivamente od obiettivamente. |
70 | | Quei tre modi d'essere si presentano al Lipps perché egli limita e determina eticamente la ragione dell'umorismo, il quale è per lui, come abbiamo già veduto, elevazione nel comico attraverso il comico stesso. Sappiamo che cosa egli intenda per elevazione. Io, secondo lui, ho umore, quando: «Ich selbst bin der Erhabene, der sich Behauptende, der Träger des Vernünftigen oder Sittlichen. Als dieser Erhabene oder im Lichte dieses Erhabenen betrachte ich die Welt. Ich finde in ihr Komisches und gehe betrachtend in die Komik ein. Ich gewinne aber schliesslich mich selbst, oder das Erhabene in mir, erhöht, befestigt, gesteigert wieder». | | 88 | | Quei tre modi d'essere si presentano al Lipps perché egli limita e determina eticamente la ragione dell'umorismo, il quale è per lui, come abbiamo già veduto, superamento del comico attraverso il comico stesso. Sappiamo che cosa egli intenda per superamento. Io, secondo lui, ho umore, quando: «Ich selbst bin der Erhabene, der sich Behauptende, der Träger des Vernünftigen oder Sittlichen. Als dieser Erhabene oder im Lichte dieses Erhabenen betrachte ich die Welt. Ich finde in ihr Komisches und gehe betrachtend in die Komik ein. Ich gewinne aber schliesslich mich selbst, oder das Erhabene in mir, erhöht, befestigt, gesteigert wieder». |
71 | | Ora questa per noi è una considerazione assolutamente estranea, prima di tutto, e poi anche unilaterale. Togliendo alla formula il valore etico, l'umorismo poi con essa riman considerato, se mai nel suo effetto, non nella causa. | | 89 | | Ora questa per noi è una considerazione assolutamente estranea, prima di tutto, e poi anche unilaterale. Togliendo alla formula il valore etico, l'umorismo poi con essa riman considerato, se mai , nel suo effetto, non nella causa. |
72 | | Per noi tanto il comico quanto il suo contrario sono nella disposizione d'animo stessa ed insiti nel processo che ne risulta. Nella sua anormalità, non può esser che amaramente comica la condizione d'un uomo che si trova ad esser sempre quasi fuori di chiave, ad essere a un tempo violino e contrabbasso; d'un uomo a cui un pensiero non può nascere, che subito non gliene nasca un altro opposto, contrario; a cui per una ragione ch'egli abbia di dir sì, subito un'altra e due e tre non ne sorgano che lo costringono a dir no; e tra il sì e il no lo tengan sospeso, perplesso, per tutta la vita; d'un uomo che non può abbandonarsi a un sentimento, senza avvertir subito qualcosa dentro che gli fa una smorfia e lo turba e lo sconcerta e lo indispettisce. | | 90 | | Per noi tanto il comico quanto il suo contrario sono nella disposizione d'animo stessa ed insiti nel processo che ne risulta. Nella sua anormalità, non può esser che amaramente comica la condizione d'un uomo che si trova ad esser sempre quasi fuori di chiave, ad essere a un tempo violino e contrabbasso; d'un uomo a cui un pensiero non può nascere, che subito non gliene nasca un altro opposto, contrario; a cui per una ragione ch'egli abbia di dir sì, subito un'altra e due e tre non ne sorgano che lo costringono a dir no; e tra il sì e il no lo tengan sospeso, perplesso, per tutta la vita; d'un uomo che non può abbandonarsi a un sentimento, senza avvertir subito qualcosa dentro che gli fa una smorfia e lo turba e lo sconcerta e lo indispettisce. |
73 | | Questo stesso contrasto, che è nella disposizione d'animo, si scorge nelle cose e passa nella rappresentazione. | | 91 | | Questo stesso contrasto, che è nella disposizione dell'animo, si scorge nelle cose e passa nella rappresentazione. |
74 | | È una speciale fisionomia psichica, a cui è assolutamente arbitrario attribuire una causa determinante; può esser frutto d'una esperienza amara della vita e degli uomini, d'una esperienza che se, da un canto, non permette più al sentimento ingenuo di metter le ali e di levarsi come un'allodola perché lanci un trillo nel sole, senza ch'essa la trattenga per la coda nell'atto di spiccare il volo; dall'altro induce a riflettere che la tristizia degli uomini si deve spesso alla tristezza della vita, ai mali di cui essa è piena e che non tutti sanno o possono sopportare; induce a riflettere che la vita, non avendo fatalmente per la ragione umana un fine chiaro e determinato, bisogna che, per non brancolar nel vuoto, ne abbia uno particolare, fittizio, illusorio, per ciascun uomo, o basso o alto; poco importa, giacché non è, né può essere il fine vero, che tutti cercano affannosamente e nessuno trova, forse perché non esiste. Quel che importa è che si dia importanza a qualche cosa, e sia pur vana: varrà quanto un'altra stimata seria, perché in fondo né l'una né l'altra daranno soddisfazione: tanto è vero che durerà sempre ardentissima la sete di sapere, non si estinguerà mai la facoltà di desiderare, e non è detto pur troppo che nel progresso consista la felicità degli uomini. | | 92 | | È una speciale fisionomia psichica, a cui è assolutamente arbitrario attribuire una causa determinante; può esser frutto d'una esperienza amara della vita e degli uomini, d'una esperienza che se, da un canto, non permette più al sentimento ingenuo di metter le ali e di levarsi come un'allodola perché lanci un trillo nel sole, senza ch'essa la trattenga per la coda nell'atto di spiccare il volo; dall'altro induce a riflettere che la tristizia degli uomini si deve spesso alla tristezza della vita, ai mali di cui essa è piena e che non tutti sanno o possono sopportare; induce a riflettere che la vita, non avendo fatalmente per la ragione umana un fine chiaro e determinato, bisogna che, per non brancolar nel vuoto, ne abbia uno particolare, fittizio, illusorio, per ciascun uomo, o basso o alto; poco importa, giacché non è, né può essere il fine vero, che tutti cercano affannosamente e nessuno trova, forse perché non esiste. Quel che importa è che si dia importanza a qualche cosa, e sia pur vana: varrà quanto un'altra stimata seria, perché in fondo né l'una né l'altra daranno soddisfazione: tanto è vero che durerà sempre ardentissima la sete di sapere, non si estinguerà mai la facoltà di desiderare, e non è detto pur troppo che nel progresso consista la felicità degli uomini. |
75 | | Tutte le finzioni dell'anima, tutte le creazioni del sentimento vedremo esser materia dell'umorismo, vedremo cioè la riflessione diventar come un demonietto che smonta il congegno d'ogni immagine, d'ogni fantasma messo su dal sentimento; smontarlo per veder com'è fatto; scaricarne la molla, e tutto il congegno striderne, convulso. Può darsi che questo faccia talvolta con quella simpatica indulgenza di cui parlan coloro che vedono soltanto un umorismo bonario. Ma non c'è da fidarsene, perché se la disposizione umoristica ha talvolta questo di particolare, cioè questa indulgenza, questo compatimento o anche questa pietà, bisogna pensare che esse son frutto della riflessione che si è esercitata sul sentimento opposto; sono un sentimento del contrario nato dalla riflessione su quei casi, su quei sentimenti, su quegli uomini, che provocano nello stesso tempo lo sdegno, il dispetto, l'irrisione dell'umorista, il quale è tanto sincero in questo dispetto, in questa irrisione, in questo sdegno, quanto in quell'indulgenza, in quel compatimento, in quella pietà. Se così non fosse, si avrebbe non più l'umorismo vero e proprio, ma l'ironia, che deriva - come abbiamo veduto - da una contradizione soltanto formale, da un infingimento retorico, affatto contrario alla natura dello schietto umorismo. | | 93 | | Tutte le finzioni dell'anima, tutte le creazioni del sentimento vedremo esser materia dell'umorismo, vedremo cioè la riflessione diventar come un demonietto che smonta il congegno d'ogni immagine, d'ogni fantasma messo su dal sentimento; smontarlo per veder com'è fatto; scaricarne la molla, e tutto il congegno striderne, convulso. Può darsi che questo faccia talvolta con quella simpatica indulgenza di cui parlan coloro che vedono soltanto un umorismo bonario. Ma non c'è da fidarsene, perché se la disposizione umoristica ha talvolta questo di particolare, cioè questa indulgenza, questo compatimento o anche questa pietà, bisogna pensare che esse son frutto della riflessione che si è esercitata sul sentimento opposto; sono un sentimento del contrario nato dalla riflessione su quei casi, su quei sentimenti, su quegli uomini, che provocano nello stesso tempo lo sdegno, il dispetto, l'irrisione dell'umorista, il quale è tanto sincero in questo dispetto, in questa irrisione, in questo sdegno, quanto in quell'indulgenza, in quel compatimento, in quella pietà. Se così non fosse, si avrebbe non più l'umorismo vero e proprio, ma l'ironia, che deriva - come abbiamo veduto - da una contraddizione soltanto verbale, da un infingimento retorico, affatto contrario alla natura dello schietto umorismo. |
76 | | Ogni sentimento, ogni pensiero, ogni moto che sorga nell'umorista si sdoppia subito nel suo contrario: ogni sì in un no, che viene in fine ad assumere lo stesso valore del sì. Magari può fingere talvolta l'umorista di tenere soltanto da una parte: dentro intanto gli parla l'altro sentimento che pare non abbia il coraggio di rivelarsi in prima; gli parla e comincia a muovere ora una timida scusa, ora un'attenuante, che smorzano il calore del primo sentimento, ora un'arguta riflessione che ne smonta la serietà e induce a ridere. | | 94 | | Ogni sentimento, ogni pensiero, ogni moto che sorga nell'umorista si sdoppia subito nel suo contrario: ogni sì in un no, che viene in fine ad assumere lo stesso valore del sì. Magari può fingere talvolta l'umorista di tenere soltanto da una parte: dentro intanto gli parla l'altro sentimento che pare non abbia il coraggio di rivelarsi in prima; gli parla e comincia a muovere ora una timida scusa, ora un'attenuante, che smorzano il calore del primo sentimento, ora un'arguta riflessione che ne smonta la serietà e induce a ridere. |
77 | | Così avviene che noi dovremmo tutti provar disprezzo e indignazione per don Abbondio, per esempio, e stimar ridicolissimo e spesso un matto da legare don Quijote; eppure siamo indotti al compatimento, finanche alla simpatia per quello, e ad ammirare con infinita tenerezza le ridicolaggini di questo, nobilitate da un ideale così alto e puro. | | 95 | | Così avviene che noi dovremmo tutti provar disprezzo e indignazione per don Abbondio, per esempio, e stimar ridicolissimo e spesso un matto da legare don Quijote; eppure siamo indotti al compatimento, finanche alla simpatia per quello, e ad ammirare con infinita tenerezza le ridicolaggini di questo, nobilitate da un ideale così alto e puro. |
78 | | Dove sta il sentimento del poeta? Nel disprezzo o nel compatimento per don Abbondio? Il Manzoni ha un ideale astratto, nobilissimo della missione del sacerdote su la terra, e incarna questo ideale in Federigo Borromeo. Ma ecco la riflessione, frutto della disposizione umoristica, suggerire al poeta che questo ideale astratto soltanto per una rarissima eccezione può incarnarsi, e che le debolezze umane sono pur tante. Se il Manzoni avesse ascoltato solamente la voce di quell'ideale astratto, avrebbe rappresentato don Abbondio in modo che tutti avrebbero dovuto provar per lui odio e disprezzo, ma egli ascolta entro di sé anche la voce delle debolezze umane. Per la naturale disposizione dello spirito, per l'esperienza della vita, che gliel'ha determinata, il Manzoni non può non sdoppiare in germe la concezione di quell'idealità religiosa, sacerdotale: e tra le due fiamme accese di fra Cristoforo e del cardinal Federigo vede, terra terra, guardinga e mogia, allungarsi l'ombra di don Abbondio. E si compiace a un certo punto di porre a fronte, in contrasto, il sentimento attivo, positivo, e la riflessione negativa; la fiaccola accesa del sentimento e l'acqua diaccia della riflessione; la predicazione alata, astratta, dell'altruismo, per veder come si smorzi nelle ragioni pedestri e concrete dell'egoismo. | | 96 | | Dove sta il sentimento del poeta? Nel disprezzo o nel compatimento per don Abbondio? Il Manzoni ha un ideale astratto, nobilissimo della missione del sacerdote su la terra, e incarna questo ideale in Federigo Borromeo. Ma ecco la riflessione, frutto della disposizione umoristica, suggerire al poeta che questo ideale astratto soltanto per una rarissima eccezione può incarnarsi, e che le debolezze umane sono pur tante. Se il Manzoni avesse ascoltato solamente la voce di quell'ideale astratto, avrebbe rappresentato don Abbondio in modo che tutti avrebbero dovuto provar per lui odio e disprezzo, ma egli ascolta entro di sé anche la voce delle debolezze umane. Per la naturale disposizione dello spirito, per l'esperienza della vita, che gliel'ha determinata, il Manzoni non può non sdoppiare in germe la concezione di quell'idealità religiosa, sacerdotale: e tra le due fiamme accese di fra Cristoforo e del cardinal Federigo vede, terra terra, guardinga e mogia, allungarsi l'ombra di don Abbondio. E si compiace a un certo punto di porre a fronte, in contrasto, il sentimento attivo, positivo, e la riflessione negativa; la fiaccola accesa del sentimento e l'acqua diaccia della riflessione; la predicazione alata, astratta, dell'altruismo, per veder come si smorzi nelle ragioni pedestri e concrete dell'egoismo. |
79 | | Federigo Borromeo domanda a don Abbondio: «- E quando vi siete presentato alla Chiesa per addossarvi codesto ministero, v'ha essa fatto sicurtà della vita? V'ha detto che i doveri annessi al ministero fossero liberi da ogni ostacolo, immuni da ogni pericolo? O v'ha detto forse che dove cominciasse il pericolo, ivi cesserebbe il dovere? O non v'ha espressamente detto il contrario? Non v'ha avvertito che vi mandava come un agnello tra i lupi? Non sapevate voi che c'eran de' violenti, a cui potrebbe dispiacere ciò che vi sarebbe comandato? Quello da Cui abbiam la dottrina e l'esempio, ad imitazione di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamo pastori, venendo in terra a esercitarne l'ufizio, mise forse per condizione d'aver salva la vita? E per salvarla, per conservarla, dico, qualche giorno di più su la terra, a spese della carità e del dovere, c'era bisogno dell'unzione santa, della imposizion delle mani, della grazia del sacerdozio? Basta il mondo a dar questa virtù, a insegnar questa dottrina. Che dico? oh vergogna! il mondo stesso la rifiuta: il mondo fa anch'esso le sue leggi, che prescrivono il male come il bene; ha il suo vangelo anch'esso, un vangelo di superbia e d'odio; e non vuol che si dica che l'amore della vita sia una ragione per trasgredirne i comandamenti. Non lo vuole ed è ubbidito! E noi! noi figli e annunziatori della promessa! Che sarebbe la Chiesa se codesto vostro linguaggio fosse quello di tutti i vostri fratelli? Dove sarebbe, se fosse comparsa nel mondo con codeste dottrine?» | | 97 | | Federigo Borromeo domanda a don Abbondio: «- E quando vi siete presentato alla Chiesa per addossarvi codesto ministero, v'ha essa fatto sicurtà della vita? V'ha detto che i doveri annessi al ministero fossero liberi da ogni ostacolo, immuni da ogni pericolo? O v'ha detto forse che dove cominciasse il pericolo, ivi cesserebbe il dovere? O non v'ha espressamente detto il contrario? Non v'ha avvertito che vi mandava come un agnello tra i lupi? Non sapevate voi che c'eran de' violenti, a cui potrebbe dispiacere ciò che vi sarebbe comandato? Quello da Cui abbiam la dottrina e l'esempio, ad imitazione di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamo pastori, venendo in terra a esercitarne l'ufizio, mise forse per condizione d'aver salva la vita? E per salvarla, per conservarla, dico, qualche giorno di più su la terra, a spese della carità e del dovere, c'era bisogno dell'unzione santa, della imposizion delle mani, della grazia del sacerdozio? Basta il mondo a dar questa virtù, a insegnar questa dottrina. Che dico, oh vergogna! il mondo stesso la rifiuta: il mondo fa anch'esso le sue leggi, che prescrivono il male come il bene; ha il suo vangelo anch'esso, un vangelo di superbia e d'odio; e non vuol che si dica che l'amore della vita sia una ragione per trasgredirne i comandamenti. Non lo vuole ed è ubbidito! E noi! noi figli e annunziatori della promessa! Che sarebbe la Chiesa se codesto vostro linguaggio fosse quello di tutti i vostri fratelli? Dove sarebbe, se fosse comparsa nel mondo con codeste dottrine?» |
80 | | Don Abbondio ascolta questa lunga e animosa predica a capo basso. Il Manzoni dice che lo spirito di lui «si trovava tra quegli argomenti come un pulcino negli artigli del falco, che lo tengono sollevato in una regione sconosciuta, in un'aria che non ha mai respirata». Il paragone è bello, quantunque a qualcuno l'idea di rapacità e di fierezza che è nel falco sia sembrata poco conveniente al cardinal Federigo. L'errore, secondo me, non è tanto nella maggiore o minor convenienza del paragone, quanto nel paragone stesso, per amore del quale il Manzoni, volendo rifar la favoletta d'Esiodo, s'è forse lasciato andare a dir quello che non doveva. Si trovava don Abbondio veramente sollevato in una regione sconosciuta tra quegli argomenti del cardinal Borromeo? Ma il paragone dell'agnello tra i lupi si legge nel vangelo di Luca, dove Cristo dice appunto a gli apostoli: «Ecco, io mando voi come agnelli tra i lupi». E chi sa quante volte dunque don Abbondio lo aveva letto; come in altri libri chi sa quante volte aveva letto quegli ammonimenti austeri, quelle considerazioni elevate. E diciamo di più: forse lo stesso don Abbondio, in astratto, parlando, predicando della missione del sacerdote, avrebbe detto su per giù le stesse cose. Tanto vero che, in astratto, egli le intende benissimo: | | 98 | | Don Abbondio ascolta questa lunga e animosa predica a capo basso. Il Manzoni dice che lo spirito di lui «si trovava tra quegli argomenti come un pulcino negli artigli del falco, che lo tengono sollevato in una regione sconosciuta, in un'aria che non ha mai respirata». Il paragone è bello, quantunque a qualcuno l'idea di rapacità e di fierezza che è nel falco sia sembrata poco conveniente al cardinal Federigo. L'errore, secondo me, non è tanto nella maggiore o minor convenienza del paragone, quanto nel paragone stesso, per amore del quale il Manzoni, volendo rifar la favoletta d'Esiodo, s'è forse lasciato andare a dir quello che non doveva. Si trovava don Abbondio veramente sollevato in una regione sconosciuta tra quegli argomenti del cardinal Borromeo? Ma il paragone dell'agnello tra i lupi si legge nel vangelo di Luca, dove Cristo dice appunto a gli apostoli: «Ecco, io mando voi come agnelli tra i lupi». E chi sa quante volte dunque don Abbondio lo aveva letto; come in altri libri chi sa quante volte aveva letto quegli ammonimenti austeri; quelle considerazioni elevate. E diciamo di più: forse lo stesso don Abbondio, in astratto, parlando, predicando della missione del sacerdote, avrebbe detto su per giù le stesse cose. Tanto vero che, in astratto, egli le intende benissimo: |
81 | | «- Monsignore illustrissimo, avrò torto, - risponde infatti; ma s'affretta a soggiungere: - Quando la vita non si deve contare, non so cosa mi dire». | | 99 | | «- Monsignore illustrissimo, avrò torto, - risponde infatti; ma s'affretta a soggiungere: - Quando la vita non si deve contare, non so cosa mi dire». |
82 | | E allorché il cardinale insiste: | | 100 | | E allorché il cardinale insiste: |
83 | | «- E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro vivere? E se non sapete questo, che cosa predicate? di che siete maestro? qual'è la buona nuova che annunziate ai poveri? Chi pretende da voi che vinciate la forza con la forza? Certo non vi sarà domandato, un giorno, se abbiate saputo fare stare a dovere i potenti; ché a questo non vi fu dato né missione, né modo. Ma vi sarà ben domandato se avrete adoperati i mezzi ch'erano in vostra mano per far ciò che v'era prescritto, anche quando avessero la temerità di proibirvelo. | | 101 | | «- E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro vivere? E se non sapete questo, che cosa predicate? di che siete maestro? qual'è la buona nuova che annunziate ai poveri? Chi pretende da voi che vinciate la forza con la forza? Certo non vi sarà domandato, un giorno, se abbiate saputo fare stare a dovere i potenti; ché a questo non vi fu dato né missione, né modo. Ma vi sarà ben domandato se avrete adoperati i mezzi ch'erano in vostra mano per far ciò che v'era prescritto, anche quando avessero la temerità di proibirvelo. |
84 | | - Anche questi santi son curiosi, - pensa don Abbondio: - in sostanza, a spremerne il sugo, gli stanno più a cuore gli amori di due giovani, che la vita d'un povero sacerdote». | | 102 | | - Anche questi santi son curiosi, - pensa don Abbondio: - in sostanza, a spremerne il sugo, gli stanno più a cuore gli amori di due giovani, che la vita d'un povero sacerdote». |
85 | | E poiché il cardinale è rimasto in atto di chi aspetti una risposta, risponde: | | 103 | | E poiché il cardinale è rimasto in atto di chi aspetti una risposta, risponde: |
86 | | «- Torno a dire, monsignore, che avrò torto io... Il coraggio, uno non se lo può dare». | | 104 | | «- Torno a dire, monsignore, che avrò torto io... Il coraggio, uno non se lo può dare». |
87 | | Il che significa appunto: - Sissignore, ragionando astrattamente, la ragione è dalla parte di Vossignoria Illustrissima; il torto sarà mio. Però Vossignoria Illustrissima parla bene, ma quelle facce le ho viste io, le ho sentite io quelle parole. | | 105 | | Il che significa appunto: - Sissignore, ragionando astrattamente, la ragione è dalla parte di Vossignoria Illustrissima; il torto sarà mio. Però Vossignoria Illustrissima parla bene, ma quelle facce le ho viste io, le ho sentite io quelle parole. |
88 | | «- Ma perché dunque, - gli domanda in fine il cardinale, - vi siete voi impegnato in un ministero che v'impone di stare in guerra con le passioni del secolo?» | | 106 | | «- Ma perché dunque, - gli domanda in fine il cardinale, - vi siete voi impegnato in un ministero che v'impone di stare in guerra con le passioni del secolo?» |
89 | | Oh, il perché noi lo sappiamo bene: il Manzoni stesso ce l'ha detto fin da principio; ce l'ha voluto dire e poteva anche farne a meno: don Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s'era accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d'essere, in quella società, come un vaso di terra cotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete. Per dir la verità, non aveva gran fatto pensato agli obblighi e ai nobili fini del ministero al quale si dedicava: procacciarsi di che vivere con qualche agio e mettersi in una classe privilegiata e forte, gli eran sembrate due ragioni più che sufficienti per una tale scelta. | | 107 | | Oh, il perché noi lo sappiamo bene: il Manzoni stesso ce l'ha detto fin da principio; ce l'ha voluto dire e poteva anche farne a meno: don Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s'era accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d'essere, in quella società, come un vaso di terra cotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete. Per dir la verità, non aveva gran fatto pensato agli obblighi e ai nobili fini del ministero al quale si dedicava: procacciarsi di che vivere con qualche agio e mettersi in una classe privilegiata e forte, gli eran sembrate due ragioni più che sufficienti per una tale scelta. |
90 | | In lotta dunque con le passioni del secolo? Ma se egli s'è fatto prete per guardarsi appunto dagli urti di quelle passioni e col suo sistema particolare di scansar tutti i contrasti! | | 108 | | In lotta dunque con le passioni del secolo? Ma se egli s'è fatto prete per guardarsi appunto dagli urti di quelle passioni e col suo sistema particolare di scansar tutti i contrasti! |
91 | | Bisogna pure ascoltare, signori miei, le ragioni del coniglio! Io immaginai una volta che alla tana della volpe, o di messer Renardo, com'essa si suol chiamare nel mondo delle favole, accorressero ad una ad una tutte le bestie per la notizia che tra loro s'era sparsa di certe controfavole che la volpe avesse in animo di comporre in risposta a tutte quelle che da tempo immemorabile gli uomini compongono, e da cui esse bestie han forse motivo di sentirsi calunniate. E tra le altre alla tana di messer Renardo veniva il coniglio a protestare contro gli uomini che lo chiamano pauroso, e diceva: «Ma ben vi so dir io, messer Renardo, che topi e lucertole e uccelli e grilli e tant'altre bestiole ho sempre messo in fuga, le quali, se voi domandaste loro che concetto abbiano di me, chi sa che cosa vi risponderebbero, non certo che io sia una bestia paurosa. Oh che forse pretenderebbero gli uomini che al loro cospetto io mi rizzassi su due piedi e movessi loro incontro per farmi prendere e uccidere? Io credo veramente, messer Renardo, che per gli uomini non debba correre alcuna differenza tra eroismo e imbecillità!» | | 109 | | Bisogna pure ascoltare, signori miei, le ragioni del coniglio! Io immaginai una volta che alla tana della volpe, o di messer Renardo, com'essa si suol chiamare nel mondo delle favole, accorressero a una a una tutte le bestie per la notizia che tra loro s'era sparsa di certe controfavole che la volpe avesse in animo di comporre in risposta a tutte quelle che da tempo immemorabile gli uomini compongono, e da cui esse bestie han forse motivo di sentirsi calunniate. E tra le altre alla tana di messer Renardo veniva il coniglio a protestare contro gli uomini che lo chiamano pauroso, e diceva: «Ma ben vi so dire per conto mio, messer Renardo, che topi e lucertole e uccelli e grilli e tant'altre bestiole ho sempre messo in fuga, le quali, se voi domandaste loro che concetto abbiano di me, chi sa che cosa vi risponderebbero, non certo che io sia una bestia paurosa. O che forse pretenderebbero gli uomini che al loro cospetto io mi rizzassi su due piedi e movessi loro incontro per farmi prendere e uccidere? Io credo veramente, messer Renardo, che per gli uomini non debba correre alcuna differenza tra eroismo e imbecillità!» |
92 | | Ora, io non nego, don Abbondio è un coniglio. Ma noi sappiamo che don Rodrigo, se minacciava, non minacciava invano, sappiamo che pur di spuntare l'impegno egli era veramente capace di tutto; sappiamo che tempi eran quelli, e possiamo benissimo immaginare che a don Abbondio, se avesse sposato Renzo e Lucia, una schioppettata non gliel'avrebbe di certo levata nessuno, e che forse Lucia, sposa soltanto di nome, sarebbe stata rapita, uscendo dalla chiesa, e Renzo anch'egli ucciso. A che giovano l'intervento, il suggerimento di fra Cristoforo? Non è rapita Lucia dal monastero di Monza? C'è la lega dei birboni, come dice Renzo. Per scioglier quella matassa ci vuol la mano di Dio; non per modo di dire, la mano di Dio propriamente. Che poteva fare un povero prete? | | 110 | | Ora, io non nego, don Abbondio è un coniglio. Ma noi sappiamo che don Rodrigo, se minacciava, non minacciava invano, sappiamo che pur di spuntare l'impegno egli era veramente capace di tutto; sappiamo che tempi eran quelli, e possiamo benissimo immaginare che a don Abbondio, se avesse sposato Renzo e Lucia, una schioppettata non gliel'avrebbe di certo levata nessuno, e che forse Lucia, sposa soltanto di nome, sarebbe stata rapita, uscendo dalla chiesa, e Renzo anch'egli ucciso. A che giovano l'intervento, il suggerimento di fra Cristoforo? Non è rapita Lucia dal monastero di Monza? C'è la lega dei birboni, come dice Renzo. Per scioglier quella matassa ci vuol la mano di Dio; non per modo di dire, la mano di Dio propriamente. Che poteva fare un povero prete? |
93 | | Pauroso, sissignori, don Abbondio; e il De Sanctis ha dettato alcune pagine meravigliose esaminando il sentimento della paura nel povero curato; ma non ha tenuto conto di questo, perbacco: che il pauroso è ridicolo, è comico, quando si crea rischi e pericoli immaginarii: ma quando un pauroso ha veramente ragione d'aver paura, quando vediamo preso, impigliato in un contrasto terribile uno che per natura e per sistema vuole scansar tutti i contrasti, anche i più lievi, e che in quel contrasto terribile per suo dovere sacrosanto dovrebbe starci, questo pauroso non è più comico soltanto. Per quella situazione non basta neanche un eroe come fra Cristoforo, che va ad affrontare il nemico nel suo stesso palazzotto! Don Abbondio non ha il coraggio del proprio dovere; ma questo dovere, dalla nequizia altrui, è reso difficilissimo, e però quel coraggio è tutt'altro che facile; per compierlo ci vorrebbe un eroe. Al posto d'un eroe troviamo don Abbondio. Noi non possiamo, se non astrattamente, sdegnarci di lui, cioè se in astratto consideriamo il ministero del sacerdote. Avremmo certamente ammirato un sacerdote eroe che, al posto di don Abbondio, non avesse tenuto conto della minaccia e del pericolo e avesse adempiuto il dovere del suo ministero. Ma non possiamo non compatire don Abbondio, che non è l'eroe che ci sarebbe voluto al suo posto, che non solo non ha il grandissimo coraggio che ci voleva; ma non ne ha né punto né poco; e il coraggio, uno non se lo può dare! | | 111 | | Pauroso, sissignori, don Abbondio; e il De Sanctis ha dettato alcune pagine meravigliose esaminando il sentimento della paura nel povero curato; ma non ha tenuto conto di questo, perbacco: che il pauroso è ridicolo, è comico, quando si crea rischi e pericoli immaginarii: ma quando un pauroso ha veramente ragione d'aver paura, quando vediamo preso, impigliato in un contrasto terribile , uno che per natura e per sistema vuole scansar tutti i contrasti, anche i più lievi, e che in quel contrasto terribile per suo dovere sacrosanto dovrebbe starci, questo pauroso non è più comico soltanto. Per quella situazione non basta neanche un eroe come fra Cristoforo, che va ad affrontare il nemico nel suo stesso palazzotto! Don Abbondio non ha il coraggio del proprio dovere; ma questo dovere, dalla nequizia altrui, è reso difficilissimo, e però quel coraggio è tutt'altro che facile; per compierlo ci vorrebbe un eroe. Al posto d'un eroe troviamo don Abbondio. Noi non possiamo, se non astrattamente, sdegnarci di lui, cioè se in astratto consideriamo il ministero del sacerdote. Avremmo certamente ammirato un sacerdote eroe che, al posto di don Abbondio, non avesse tenuto conto della minaccia e del pericolo e avesse adempiuto il dovere del suo ministero. Ma non possiamo non compatire don Abbondio, che non è l'eroe che ci sarebbe voluto al suo posto, che non solo non ha il grandissimo coraggio che ci voleva; ma non ne ha né punto né poco; e il coraggio, uno non se lo può dare! |
94 | | Un osservatore superficiale terrà conto del riso che nasce dalla comicità esteriore degli atti, dei gesti, delle frasi reticenti ecc. di don Abbondio, e lo chiamerà ridicolo senz'altro, o una figura semplicemente comica. Ma chi non si contenta di queste superficialità e sa veder più a fondo, sente che il riso qui scaturisce da ben altro, e non è soltanto quello della comicità. | | 112 | | Un osservatore superficiale terrà conto del riso che nasce dalla comicità esteriore degli atti, dei gesti, delle frasi reticenti ecc. di don Abbondio, e lo chiamerà ridicolo senz'altro, o una figura semplicemente comica. Ma chi non si contenta di queste superficialità e sa veder più a fondo, sente che il riso qui scaturisce da ben altro, e non è soltanto quello della comicità. |
95 | | Don Abbondio è quel che si trova in luogo di quello che ci sarebbe voluto. Ma il poeta non si sdegna di questa realtà che trova, perché, pur avendo, come abbiamo detto, un ideale altissimo della missione del sacerdote su la terra, ha pure in sé la riflessione che gli suggerisce che quest'ideale non si incarna se non per rarissima eccezione, e però lo obbliga a limitare quell'ideale, come osserva giustamente il De Sanctis. Ma questa limitazione dell'ideale che cos'è? è l'effetto appunto della riflessione che, esercitandosi su quest'ideale, ha suggerito al poeta il sentimento del contrario. E don Abbondio è appunto questo sentimento del contrario oggettivato e vivente; e però non è comico soltanto, ma schiettamente e profondamente umoristico. | | 113 | | Don Abbondio è quel che si trova in luogo di quello che ci sarebbe voluto. Ma il poeta non si sdegna di questa realtà che trova, perché, pur avendo, come abbiamo detto, un ideale altissimo della missione del sacerdote su la terra, ha pure in sé la riflessione che gli suggerisce che quest'ideale non si incarna se non per rarissima eccezione, e però lo obbliga a limitare quell'ideale, come osserva il De Sanctis. Ma questa limitazione dell'ideale che cos'è? è l'effetto appunto della riflessione che, esercitandosi su quest'ideale, ha suggerito al poeta il sentimento del contrario. E don Abbondio è appunto questo sentimento del contrario oggettivato e vivente; e però non è comico soltanto, ma schiettamente e profondamente umoristico. |
96 | | Bonarietà? Simpatica indulgenza? Andiamo adagio: lasciamo star codeste considerazioni, che sono in fondo estranee e superficiali, e che, a volerle approfondire, c'è il rischio che ci facciano anche qui scoprire il contrario. Vogliamo vederlo? Sì, ha compatimento il Manzoni per questo pover'uomo di don Abbondio; ma è un compatimento, signori miei, che nello stesso tempo ne fa strazio, necessariamente. Infatti, solo a patto di riderne e di far ridere di lui, egli può compatirlo e farlo compatire, commiserarlo e farlo commiserare. Ma, ridendo di lui e compatendolo nello stesso tempo, il poeta viene anche a ridere amaramente di questa povera natura umana inferma di tante debolezze; e quanto più le considerazioni pietose si stringono a proteggere il povero curato, tanto più attorno a lui s'allarga il discredito del valore umano. Il poeta, in somma, ci induce ad aver compatimento del povero curato, facendoci riconoscere che è pur umano, di tutti noi, quel che costui sente e prova, a passarci bene la mano su la coscienza. E che ne segue? Ne segue che se, per sua stessa virtù, questo particolare divien generale, se questo sentimento misto di riso o di pianto, quanto più si stringe e determina in don Abbondio, tanto più si allarga e quasi vapora in una tristezza infinita, ne segue, dicevamo, che a voler considerare da questo lato la rappresentazione del curato manzoniano, noi non sappiamo più riderne. Quella pietà, in fondo, è spietata: la simpatica indulgenza non è così bonaria come sembra a tutta prima. | | 114 | | Bonarietà? Simpatica indulgenza? Andiamo adagio: lasciamo star codeste considerazioni, che sono in fondo estranee e superficiali, e che, a volerle approfondire, c'è il rischio che ci facciano anche qui scoprire il contrario. Vogliamo vederlo? Sì, ha compatimento il Manzoni per questo pover'uomo di don Abbondio; ma è un compatimento, signori miei, che nello stesso tempo ne fa strazio, necessariamente. Infatti, solo a patto di riderne e di far ridere di lui, egli può compatirlo e farlo compatire, commiserarlo e farlo commiserare. Ma, ridendo di lui e compatendolo nello stesso tempo, il poeta viene anche a ridere amaramente di questa povera natura umana inferma di tante debolezze; e quanto più le considerazioni pietose si stringono a proteggere il povero curato, tanto più attorno a lui s'allarga il discredito del valore umano. Il poeta, in somma, ci induce ad aver compatimento del povero curato, facendoci riconoscere che è pur umano, di tutti noi, quel che costui sente e prova, a passarci bene la mano su la coscienza. E che ne segue? Ne segue che se, per sua stessa virtù, questo particolare divien generale, se questo sentimento misto di riso o di pianto, quanto più si stringe e determina in don Abbondio, tanto più si allarga e quasi vapora in una tristezza infinita, ne segue, dicevamo, che a voler considerare da questo lato la rappresentazione del curato manzoniano, noi non sappiamo più riderne. Quella pietà, in fondo, è spietata: la simpatica indulgenza non è così bonaria come sembra a tutta prima. |
97 | | Gran cosa come si vede, avere un ideale - religioso, come il Manzoni; cavalleresco, come il Cervantes - per vederselo poi ridurre dalla riflessione in don Abbondio e in don Quijote! Il Manzoni se ne consola, creando accanto al curato di villaggio fra Cristoforo e il cardinal Borromeo; ma è pur vero che, essendo egli sopra tutto umorista, la creatura sua più viva è quell'altra, quella cioè in cui il sentimento del contrario s'è incarnato. Il Cervantes non può consolarsi in alcun modo perché, nella carcere della Mancha, con don Quijote - come egli stesso dice - genera qualcuno che gli somiglia. | | 115 | | Gran cosa come si vede, avere un ideale - religioso, come il Manzoni; cavalleresco, come il Cervantes - per vederselo poi ridurre dalla riflessione in don Abbondio e in don Quijote! Il Manzoni se ne consola, creando accanto al curato di villaggio fra Cristoforo e il cardinal Borromeo; ma è pur vero che, essendo egli sopra tutto umorista, la creatura sua più viva è quell'altra, quella cioè in cui il sentimento del contrario s'è incarnato. Il Cervantes non può consolarsi in alcun modo perché, nella carcere della Mancha, con don Quijote - come egli stesso dice - genera qualcuno che gli somiglia. |
98 | | V | | 116 | | V |
99 | | È un considerar superficialmente, abbiamo detto, e da un lato solo l'umorismo, il vedere in esso un particolar contrasto tra l'ideale e la realtà. Un ideale può esserci, ripetiamo; questo dipende dalla personalità del poeta; ma se c'è, ecco, è per vedersi decomposto, limitato, rappresentato a questo modo. Certamente, come tutti gli altri elementi costitutivi dello spirito d'un poeta, esso entra e si fa sentire nell'opera umoristica, le dà un particolar carattere, un particolar sapore; ma non è condizione imprescindibile: tutt'altro! ché anzi è proprio dell'umorista, per la speciale attività che assume in lui la riflessione, generando il sentimento del contrario, il non saper più da qual parte tenere, la perplessità, lo stato irresoluto della coscienza. E quest'appunto distingue nettamente l'umorista dal comico, dall'ironico, dal satirico. Non nasce in questi altri il sentimento del contrario; se nascesse, sarebbe reso amaro, cioè non più comico, il riso provocato nel primo dall'avvertimento | | 117 | | È un considerar superficialmente, abbiamo detto, e da un lato solo l'umorismo, il vedere in esso un particolar contrasto tra l'ideale e la realtà. Un ideale può esserci, ripetiamo; questo dipende dalla personalità del poeta; ma se c'è, ecco, è per vedersi decomposto, limitato, rappresentato a questo modo. Certamente, come tutti gli altri elementi costitutivi dello spirito d'un poeta, esso entra e si fa sentire nell'opera umoristica, le dà un particolar carattere, un particolar sapore; ma non è condizione imprescindibile: tutt'altro! ché anzi è proprio dell'umorista, per la speciale attività che assume in lui la riflessione, generando il sentimento del contrario, il non saper più da qual parte tenere, la perplessità, lo stato irresoluto della coscienza. |
| | d'una qualsiasi anormalità; la contraddizione che nel secondo è soltanto verbale, tra quel che si dice e quel che si vuole sia inteso, diventerebbe effettiva, sostanziale, e dunque non più ironica; e cesserebbe lo sdegno o, comunque, l'avversione della realtà che è ragione d'ogni satira. | | 118 | | E quest'appunto distingue nettamente l'umorista dal comico, dall'ironico, dal satirico. Non nasce in questi altri il sentimento del contrario; se nascesse, sarebbe reso amaro, cioè non più comico, il riso provocato nel primo dall'avvertimento di una qualsiasi anormalità; la contraddizione che nel secondo è soltanto verbale, tra quel che si dice e quel che si vuole sia inteso, diventerebbe effettiva, sostanziale, e dunque non più ironica; e cesserebbe lo sdegno o, comunque, l'avversione della realtà che è ragione d'ogni satira. |
100 | | Non che all'umorista però piaccia la realtà! Basterebbe questo soltanto, che per poco gli piacesse, perché, esercitandosi la riflessione su questo suo piacere, glielo guastasse. | | 119 | | Non che all'umorista però piaccia la realtà! Basterebbe questo soltanto, che per poco gli piacesse, perché, esercitandosi la riflessione su questo suo piacere, glielo guastasse. |
101 | | Questa riflessione s'insinua acuta e sottile da per tutto e tutto scompone: ogni imagine del sentimento, ogni finzione ideale, ogni apparenza della realtà, ogni illusione. | | 120 | | Questa riflessione s'insinua acuta e sottile da per tutto e tutto scompone: ogni immagine del sentimento, ogni finzione ideale, ogni apparenza della realtà, ogni illusione. |
102 | | Il pensiero dell'uomo, diceva Guy de Maupassant, «tourne comme une mouche dans une bouteille». Tutti i fenomeni, o sono illusorii, o la ragione di essi ci sfugge, inesplicabile. Manca affatto alla nostra conoscenza del mondo e di noi stessi quel valore obiettivo che comunemente presumiamo di attribuirle. È una costruzione illusoria continua. | | 121 | | Il pensiero dell'uomo, diceva Guy de Maupassant, «tourne comme une mouche dans une bouteille». Tutti i fenomeni, o sono illusorii, o la ragione di essi ci sfugge, inesplicabile. Manca affatto alla nostra conoscenza del mondo e di noi stessi quel valore obiettivo che comunemente presumiamo di attribuirle. È una costruzione illusoria continua. |
103 | | Vogliamo assistere alla lotta tra l'illusione, che s'insinua anch'essa da per tutto e costruisce a suo modo; e la riflessione umoristica che scompone ad una ad una queste costruzioni? | | 122 | | Vogliamo assistere alla lotta tra l'illusione, che s'insinua anch'essa da per tutto e costruisce a suo modo; e la riflessione umoristica che scompone a una a una queste costruzioni? |
104 | | Cominciamo da quella che l'illusione fa a ciascuno di noi, dalla costruzione cioè che ciascuno per opera dell'illusione si fa di sé stesso. Ci vediamo noi nella nostra vera e schietta realtà, quali siamo, o non piuttosto quali vorremmo essere? Per uno spontaneo artificio interiore, frutto di segrete tendenze o d'incosciente imitazione, non ci crediamo noi in buona fede diversi da quel che sostanzialmente siamo? E pensiamo, operiamo, viviamo secondo questa interpretazione fittizia e pur sincera di noi stessi. | | 123 | | Cominciamo da quella che l'illusione fa a ciascuno di noi, dalla costruzione cioè che ciascuno per opera dell'illusione si fa di sé stesso. Ci vediamo noi nella nostra vera e schietta realtà, quali siamo, o non piuttosto quali vorremmo essere? Per uno spontaneo artificio interiore, frutto di segrete tendenze o d'incosciente imitazione, non ci crediamo noi in buona fede diversi da quel che sostanzialmente siamo? E pensiamo, operiamo, viviamo secondo questa interpretazione fittizia e pur sincera di noi stessi. |
105 | | Ora la riflessione, sì, può scoprire tanto al comico e al satirico quanto all'umorista questa costruzione illusoria. Ma il comico ne riderà solamente, contentandosi di svesciar questa metafora di noi stessi messa su dall'illusione spontanea; il satirico se ne sdegnerà; l'umorista, no: attraverso il ridicolo di questa scoperta vedrà il lato serio e doloroso; smonterà questa costruzione ideale, ma non per riderne solamente; e in luogo di sdegnarsene, magari, ridendo, compatirà. | | 124 | | Ora la riflessione, sì, può scoprire tanto al comico e al satirico quanto all'umorista questa costruzione illusoria. Ma il comico ne riderà solamente, contentandosi di sgonfiar questa metafora di noi stessi messa su dall'illusione spontanea; il satirico se ne sdegnerà; l'umorista, no: attraverso il ridicolo di questa scoperta vedrà il lato serio e doloroso; smonterà questa costruzione ideale, ma non per riderne solamente; e in luogo di sdegnarsene, magari, ridendo, compatirà. |
106 | | Il comico e il satirico sanno dalla riflessione quanta bava tragga dalla vita sociale il ragno dell'esperienza per comporre la ragna della mentalità in questo e in quell'individuo, e come in questa ragna resti spesso avviluppato ciò che si chiama il senso morale. Che cosa sono, in fondo, i rapporti sociali della così detta convenienza? Considerazioni di calcolo, nelle quali la moralità è quasi sempre sacrificata. L'umorista va più addentro, e ride senza sdegnarsi scoprendo come, anche ingenuamente, con la massima buona fede, per opera d'una finzione spontanea, noi siamo indotti a interpretar come vero riguardo, come vero sentimento morale, in sé, ciò che non è altro, in realtà, se non riguardo o sentimento di convenienza, cioè di calcolo. E va anche più in là, e scopre che può diventar convenzionale finanche il bisogno d'apparir peggiori di quello che si è realmente, se l'essere aggregati a un qualsiasi gruppo sociale importi che si manifestino idealità e sentimenti che sono proprii a quel gruppo, e che tuttavia a chi vi partecipa appariscono contrarii e inferiori al proprio intimo sentimento.52 | | 125 | | Il comico e il satirico sanno dalla riflessione quanta bava tragga dalla vita sociale il ragno dell'esperienza per comporre la ragna della mentalità in questo e in quell'individuo, e come in questa ragna resti spesso avviluppato ciò che si chiama il senso morale. Che cosa sono, in fondo, i rapporti sociali della così detta convenienza? Considerazioni di calcolo, nelle quali la moralità è quasi sempre sacrificata. L'umorista va più addentro, e ride senza sdegnarsi scoprendo come, anche ingenuamente, con la massima buona fede, per opera d'una finzione spontanea, noi siamo indotti a interpretar come vero riguardo, come vero sentimento morale, in sé, ciò che non è altro, in realtà, se non riguardo o sentimento di convenienza, cioè di calcolo. E va anche più in là, e scopre che può diventar convenzionale finanche il bisogno d'apparir peggiori di quello che si è realmente, se l'essere aggregati a un qualsiasi gruppo sociale importi che si manifestino idealità e sentimenti che sono proprii a quel gruppo, e che tuttavia a chi vi partecipa appariscono contrarii e inferiori al proprio intimo sentimento.52 |
107 | | La conciliazione delle tendenze stridenti, dei sentimenti ripugnanti, delle opinioni contrarie, sembra più attuabile su le basi d'una comune menzogna, che non su la esplicita e dichiarata tolleranza del dissenso e del contrasto; sembra, in somma, che la menzogna debba ritenersi più vantaggiosa della veracità, in quanto quella può unire, laddove questa divide; il che non impedisce che, mentre la menzogna è tacitamente scoperta e riconosciuta, si assuma poi a garanzia della sua efficacia associatrice la veracità stessa, facendosi apparire come sincerità l'ipocrisia. | | 126 | | La conciliazione delle tendenze stridenti, dei sentimenti ripugnanti, delle opinioni contrarie, sembra più attuabile su le basi d'una comune menzogna, che non su la esplicita e dichiarata tolleranza del dissenso e del contrasto; sembra, in somma, che la menzogna debba ritenersi più vantaggiosa della veracità, in quanto quella può unire, laddove questa divide; il che non impedisce che, mentre la menzogna è tacitamente scoperta e riconosciuta, si assuma poi a garanzia della sua efficacia associatrice la veracità stessa, facendosi apparire come sincerità l'ipocrisia. |
108 | | La ritenutezza, il riserbo, il lasciar credere più di quanto si dica o si faccia, il silenzio stesso non scompagnato dalla sapienza dei segni che lo giustifichi ( oh, indimenticabile conte zio del Consiglio segreto), 53 sono arti che si usano di frequente nella pratica della vita; e così pure il non dare occasione che si osservi ciò che si pensa, il lasciar credere che si pensi meno di quanto si pensa effettivamente, il pretendere di essere creduti differenti da ciò che in fondo si è. | | 127 | | La ritenutezza, il riserbo, il lasciar credere più di quanto si dica o si faccia, il silenzio stesso non scompagnato dalla sapienza dei segni che lo giustifichi - oh, indimenticabile conte zio del Consiglio segreto, 53 - sono arti che si usano di frequente nella pratica della vita; e così pure il non dare occasione che si osservi ciò che si pensa, il lasciar credere che si pensi meno di quanto si pensa effettivamente, il pretendere di essere creduti differenti da ciò che in fondo si è. |
109 | | Notava il Rousseau nel Émile: «Si può fare ciò che si è fatto e non si doveva fare. Poiché un interesse maggiore può far sì che si violi una promessa che si era fatta per un interesse minore, ciò che importa è che la violazione avvenga impunemente. Il mezzo a questo fine è la menzogna, che può essere di due specie, potendo riguardare il passato, onde ci si dichiara autori di ciò che in realtà non facemmo, o essendone autori dichiariamo di non essere; e potendo riguardare il futuro, come avviene quando ci facciamo promesse che si ha in animo di non mantenere. È evidente che la menzogna, nell'uno e nell'altro caso, sorge dai rapporti della convenienza, come mezzo a conservar l'altrui benevolenza e ad accaparrarsi l'altrui soccorso». | | 128 | | Notava il Rousseau nel Émile: «Si può fare ciò che si è fatto e non si doveva fare. Poiché un interesse maggiore può far sì che si violi una promessa che si era fatta per un interesse minore, ciò che importa è che la violazione avvenga impunemente. Il mezzo a questo fine è la menzogna, che può essere di due specie, potendo riguardare il passato, onde ci si dichiara autori di ciò che in realtà non facemmo, o essendone autori dichiariamo di non essere; e potendo riguardare il futuro, come avviene quando ci facciamo promesse che si ha in animo di non mantenere. È evidente che la menzogna, nell'uno e nell'altro caso, sorge dai rapporti della convenienza, come mezzo a conservar l'altrui benevolenza e ad accaparrarsi l'altrui soccorso». |
110 | | Quanto più difficile è la lotta per la vita e più è sentita in questa lotta la propria debolezza, tanto maggiore si fa poi il bisogno del reciproco inganno. La simulazione della forza, dell'onestà, della simpatia, della prudenza, in somma, d'ogni virtù, e della virtù massima della veracità, è una forma d'adattamento, un abile strumento di lotta. L'umorista coglie subito queste varie simulazioni per la lotta della vita; si diverte a smascherarle; non se n'indigna: - è così! | | 129 | | Quanto più difficile è la lotta per la vita , e più è sentita in questa lotta la propria debolezza, tanto maggiore si fa poi il bisogno del reciproco inganno. La simulazione della forza, dell'onestà, della simpatia, della prudenza, in somma, d'ogni virtù, e della virtù massima della veracità, è una forma d'adattamento, un abile strumento di lotta. L'umorista coglie subito queste varie simulazioni per la lotta della vita; si diverte a smascherarle; non se n'indigna: - è così! |
111 | | E mentre il sociologo descrive la vita sociale qual'essa risulta dalle osservazioni esterne, l'umorista armato del suo arguto intuito dimostra, rivela come le apparenze siano profondamente diverse dall'essere intimo della coscienza degli associati. Eppure si mentisce psicologicamente come si mentisce socialmente. E il mentire a noi stessi, vivendo coscientemente solo la superficie del nostro essere psichico, è un effetto del mentire sociale. L'anima che riflette sé stessa è un'anima solitaria; ma non è mai tanta la solitudine interiore che non penetrino nella coscienza le suggestioni della vita comune, con gl'infingimenti e le arti trasfigurative che la caratterizzano. | | 130 | | E mentre il sociologo descrive la vita sociale qual'essa risulta dalle osservazioni esterne, l'umorista armato del suo arguto intuito dimostra, rivela come le apparenze siano profondamente diverse dall'essere intimo della coscienza degli associati. Eppure si mentisce psicologicamente come si mentisce socialmente. E il mentire a noi stessi, vivendo coscientemente solo la superficie del nostro essere psichico, è un effetto del mentire sociale. L'anima che riflette sé stessa è un'anima solitaria; ma non è mai tanta la solitudine interiore che non penetrino nella coscienza le suggestioni della vita comune, con gl'infingimenti e le arti trasfigurative che la caratterizzano. |
112 | | Vive nell'anima nostra l'anima della razza o della collettività di cui siamo parte; e la pressione dell'altrui modo di giudicare, dell'altrui modo di sentire e di operare, è risentita da noi inconsciamente: e come dominano nel mondo sociale la simulazione e la dissimulazione, tanto meno avvertite quanto più sono divenute abituali, così simuliamo e dissimuliamo con noi medesimi, sdoppiandoci e spesso anche moltiplicandoci. Risentiamo noi stessi quella vanità di parer diversi da ciò che si è, che è forma consustanziata nella vita sociale; e rifuggiamo da quell'analisi che, svelando la vanità, ecciterebbe il morso della coscienza e ci umilierebbe di fronte a noi stessi. Ma quest'analisi la fa per noi l'umorista, che si può dar pure l'ufficio di smascherare tutte le vanità, e di rappresentar la società, come fa appunto il Thackeray, quale una Vanity Fair.54 | | 131 | | Vive nell'anima nostra l'anima della razza o della collettività di cui siamo parte; e la pressione dell'altrui modo di giudicare, dell'altrui modo di sentire e di operare, è risentita da noi inconsciamente: e come dominano nel mondo sociale la simulazione e la dissimulazione, tanto meno avvertite quanto più sono divenute abituali, così simuliamo e dissimuliamo con noi medesimi, sdoppiandoci e spesso anche moltiplicandoci. Risentiamo noi stessi quella vanità di parer diversi da ciò che si è, che è forma consustanziata nella vita sociale; e rifuggiamo da quell'analisi che, svelando la vanità, ecciterebbe il morso della coscienza e ci umilierebbe di fronte a noi stessi. Ma quest'analisi la fa per noi l'umorista, che si può dar pure l'ufficio di smascherare tutte le vanità, e di rappresentar la società, come fa appunto il Thackeray, quale una Vanity Fair.54 |
113 | | E l'umorista sa bene che anche la pretesa della logicità supera spesso di gran lunga in noi la reale coerenza logica, e che se ci fingiamo logici teoreticamente, la logica dell'azione può smentire quella del pensiero, dimostrando che è una finzione il credere alla sua sincerità assoluta. L'abitudine, l'imitazione incosciente, la pigrizia mentale concorrono a crear l'equivoco. E quand'anche poi alla ragione rigorosamente logica si aderisca, poniamo, col rispetto e l'amore verso determinati ideali, è sempre sincero il riferimento che facciamo di essi alla ragione? È sempre nella ragione pura, disinteressata, la sorgente vera e unica della scelta degli ideali e della perseveranza nel coltivarli? O invece non è più conforme alla realtà il sospettare che essi siano talora giudicati non già con un criterio obiettivo e razionale, ma piuttosto a seconda di speciali impulsi affettivi e di oscure tendenze? | | 132 | | E l'umorista sa bene che anche la pretesa della logicità supera spesso di gran lunga in noi la reale coerenza logica, e che se ci fingiamo logici teoreticamente, la logica dell'azione può smentire quella del pensiero, dimostrando che è una finzione il credere alla sua sincerità assoluta. L'abitudine, l'imitazione incosciente, la pigrizia mentale concorrono a crear l'equivoco. E quand'anche poi alla ragione rigorosamente logica si aderisca, poniamo, col rispetto e l'amore verso determinati ideali, è sempre sincero il riferimento che facciamo di essi alla ragione? È sempre nella ragione pura, disinteressata, la sorgente vera e unica della scelta degli ideali e della perseveranza nel coltivarli? O invece non è più conforme alla realtà il sospettare che essi siano talora giudicati non già con un criterio obiettivo e razionale, ma piuttosto a seconda di speciali impulsi affettivi e di oscure tendenze? |
114 | | Le barriere, i limiti che noi poniamo alla nostra coscienza, sono anch'essi illusioni, sono le condizioni dell'apparire della nostra individualità relativa; ma, nella realtà, quei limiti non esistono punto. Non soltanto noi, quali ora siamo, viviamo in noi stessi, ma anche noi, quali fummo in altro tempo, viviamo tuttora e sentiamo e ragioniamo con pensieri ed affetti già da un lungo oblìo oscurati, cancellati, spenti nella nostra coscienza presente, ma che a un urto, a un tumulto improvviso nello spirito, possono ancora dar prova di vita, mostrando vivo in noi un altro essere insospettato. I limiti della nostra memoria personale e cosciente non sono limiti assoluti. Di là da quella linea vi sono memorie, vi sono percezioni e ragionamenti. Ciò che noi conosciamo di noi stessi, non è che una parte, forse una piccolissima parte di quello che noi siamo.55 E tante e tante cose, in certi momenti eccezionali, noi sorprendiamo in noi stessi, percezioni, ragionamenti, stati di coscienza, che son veramente oltre i limiti relativi della nostra esistenza normale e cosciente. Certi ideali che crediamo ormai tramontati in noi e non più capaci d'alcuna azione nel nostro pensiero, su i nostri affetti, su i nostri atti, forse persistono tuttavia, se non più nella forma intellettuale, pura, nel sostrato loro, costituito dalle tendenze affettive e pratiche. E possono essere motivi reali di azione certe tendenze da cui ci crediamo liberati, e non aver per l'opposto efficacia pratica in noi, se non illusoria, credenze nuove che riteniamo di possedere veramente, intimamente. | | 133 | | Le barriere, i limiti che noi poniamo alla nostra coscienza, sono anch'essi illusioni, sono le condizioni dell'apparire della nostra individualità relativa; ma, nella realtà, quei limiti non esistono punto. Non soltanto noi, quali ora siamo, viviamo in noi stessi, ma anche noi, quali fummo in altro tempo, viviamo tuttora e sentiamo e ragioniamo con pensieri e affetti già da un lungo oblìo oscurati, cancellati, spenti nella nostra coscienza presente, ma che a un urto, a un tumulto improvviso dello spirito, possono ancora dar prova di vita, mostrando vivo in noi un altro essere insospettato. I limiti della nostra memoria personale e cosciente non sono limiti assoluti. Di là da quella linea vi sono memorie, vi sono percezioni e ragionamenti. Ciò che noi conosciamo di noi stessi, non è che una parte, forse una piccolissima parte di quello che noi siamo.55 E tante e tante cose, in certi momenti eccezionali, noi sorprendiamo in noi stessi, percezioni, ragionamenti, stati di coscienza, che son veramente oltre i limiti relativi della nostra esistenza normale e cosciente. Certi ideali che crediamo ormai tramontati in noi e non più capaci d'alcuna azione nel nostro pensiero, su i nostri affetti, su i nostri atti, forse persistono tuttavia, se non più nella forma intellettuale, pura, nel sostrato loro, costituito dalle tendenze affettive e pratiche. E possono essere motivi reali di azione certe tendenze da cui ci crediamo liberati, e non aver per l'opposto efficacia pratica in noi, se non illusoria, credenze nuove che riteniamo di possedere veramente, intimamente. |
115 | | E appunto le varie tendenze che contrassegnano la personalità fanno pensare sul serio che non sia una l'anima individuale. Come affermarla una, difatti, - si domanda il Marchesini, - se passione e ragione, istinto e volontà, tendenze e idealità, costituiscono in certo modo altrettanti sistemi distinti e mobili, che fanno sì che l'individuo, vivendo ora l'uno ora l'altro di essi, ora qualche compromesso fra due o più orientamenti psichici, apparisca come se veramente in lui fossero più anime diverse e perfino opposte, più e opposte personalità? | | 134 | | E appunto le varie tendenze che contrassegnano la personalità fanno pensare sul serio che non sia una l'anima individuale. Come affermarla una, difatti, se passione e ragione, istinto e volontà, tendenze e idealità, costituiscono in certo modo altrettanti sistemi distinti e mobili, che fanno sì che l'individuo, vivendo ora l'uno ora l'altro di essi, ora qualche compromesso fra due o più orientamenti psichici, apparisca come se veramente in lui fossero più anime diverse e perfino opposte, più e opposte personalità? |
116 | | Non c'è uomo, osservò il Pascal, che differisca più da un altro che da sé stesso nella successione del tempo. | | 135 | | Non c'è uomo, osservò il Pascal, che differisca più da un altro che da sé stesso nella successione del tempo. |
117 | | La semplicità dell'anima contradice al concetto storico dell'anima umana. La sua vita è equilibrio mobile; è un risorgere e un assopirsi continuo di affetti, di tendenze, di idee; un fluttuare incessante fra termini contraddittorii, e un oscillare fra poli opposti, come la speranza e la paura, il vero e il falso, il bello e il brutto, il giusto e l'ingiusto e via dicendo. Se d'un tratto si disegna nell'imagine oscura dell'avvenire un luminoso disegno d'azione, o vagamente brilla il fiore del godimento, non tarda ad apparire, vindice dei diritti dell'esperienza, il pensiero del passato, non di rado cupo e triste; o interviene a infrenare la briosa fantasia il senso riottoso del presente. Questa lotta di ricordi, di speranze, di presentimenti, di percezioni, d'idealità, può raffigurarsi come una lotta d'anime fra loro, che si contrastino il dominio definitivo e pieno della personalità. | | 136 | | La semplicità dell'anima contradice al concetto storico dell'anima umana. La sua vita è equilibrio mobile; è un risorgere e un assopirsi continuo di affetti, di tendenze, di idee; un fluttuare incessante fra termini contraddittorii, e un oscillare fra poli opposti, come la speranza e la paura, il vero e il falso, il bello e il brutto, il giusto e l'ingiusto e via dicendo. Se d'un tratto si disegna nell'immagine oscura dell'avvenire un luminoso disegno d'azione, o vagamente brilla il fiore del godimento, non tarda ad apparire, vindice dei diritti dell'esperienza, il pensiero del passato, non di rado cupo e triste; o interviene a infrenare la briosa fantasia il senso riottoso del presente. Questa lotta di ricordi, di speranze, di presentimenti, di percezioni, d'idealità, può raffigurarsi come una lotta d'anime fra loro, che si contrastino il dominio definitivo e pieno della personalità. |
118 | | Ecco un alto funzionario, che si crede, ed è, poveretto, in verità, un galantuomo. Domina in lui l'anima morale. Ma un bel giorno, l'anima istintiva, che è come la bestia originaria acquattata in fondo a ciascuno di noi, spara un calcio all'anima morale, e quel galantuomo ruba. Oh, egli stesso, poveretto, egli per il primo, poco dopo, ne prova stupore, piange, domanda a sé stesso, disperato: - Come, come mai ho potuto far questo? - Ma, sissignori, ha rubato. E quell'altro là? Uomo dabbene, anzi dabbenissimo: sissignori, ha ucciso. L'idealità morale costituiva nella personalità di lui un'anima che contrastava con l'anima istintiva e pure in parte con quella affettiva o passionale; costituiva un'anima acquisita che lottava con l'anima ereditaria, la quale, lasciata per un po' libera a sé stessa, è riuscita d'improvviso al furto, al delitto. | | 137 | | Ecco un alto funzionario, che si crede, ed è, poveretto, in verità, un galantuomo. Domina in lui l'anima morale. Ma un bel giorno, l'anima istintiva, che è come la bestia originaria acquattata in fondo a ciascuno di noi, spara un calcio all'anima morale, e quel galantuomo ruba. Oh, egli stesso, poveretto, egli per il primo, poco dopo, ne prova stupore, piange, domanda a sé stesso, disperato: - Come, come mai ho potuto far questo? - Ma, sissignori, ha rubato. E quell'altro là? Uomo dabbene, anzi dabbenissimo: sissignori, ha ucciso. L'idealità morale costituiva nella personalità di lui un'anima che contrastava con l'anima istintiva e pure in parte con quella affettiva o passionale; costituiva un'anima acquisita che lottava con l'anima ereditaria, la quale, lasciata per un po' libera a sé stessa, è riuscita d'improvviso al furto, al delitto. |
119 | | La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d'arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi, perché noi già siamo forme fissate, forme che si muovono in mezzo ad altre immobili, e che però possono seguire il flusso della vita, fino a tanto che, irrigidendosi man mano, il movimento, già a poco a poco rallentato, non cessi. Le forme, in cui cerchiamo d'arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni, lo stato in cui tendiamo a stabilirci. Ma dentro di noi stessi, in ciò che noi chiamiamo anima, e che è la vita in noi, il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo, componendoci una coscienza, costruendoci una personalità. In certi momenti tempestosi, investite dal flusso, tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente; e anche quello che non scorre sotto gli argini e oltre i limiti, ma che si scopre a noi distinto e che noi abbiamo con cura incanalato nei nostri affetti, nei doveri che ci siamo imposti, nelle abitudini che ci siamo tracciate, in certi momenti di piena straripa e sconvolge tutto. | | 138 | | La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d'arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi, perché noi già siamo forme fissate, forme che si muovono in mezzo ad altre immobili, e che però possono seguire il flusso della vita, fino a tanto che, irrigidendosi man mano, il movimento, già a poco a poco rallentato, non cessi. Le forme, in cui cerchiamo d'arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni, lo stato in cui tendiamo a stabilirci. Ma dentro di noi stessi, in ciò che noi chiamiamo anima, e che è la vita in noi, il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo, componendoci una coscienza, costruendoci una personalità. In certi momenti tempestosi, investite dal flusso, tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente; e anche quello che non scorre sotto gli argini e oltre i limiti, ma che si scopre a noi distinto e che noi abbiamo con cura incanalato nei nostri affetti, nei doveri che ci siamo imposti, nelle abitudini che ci siamo tracciate, in certi momenti di piena straripa e sconvolge tutto. |
120 | | Vi sono anime irrequiete, quasi in uno stato di fusione continua, che sdegnano di rapprendersi, d'irrigidirsi in questa o in quella forma di personalità. Ma anche per quelle più quiete, che si sono adagiate in una o in un'altra forma, la fusione è sempre possibile: il flusso della vita è in tutti. | | 139 | | Vi sono anime irrequiete, quasi in uno stato di fusione continua, che sdegnano di rapprendersi, d'irrigidirsi in questa o in quella forma di personalità. Ma anche per quelle più quiete, che si sono adagiate in una o in un'altra forma, la fusione è sempre possibile: il flusso della vita è in tutti. |
121 | | E per tutti però può rappresentare talvolta una tortura, rispetto all'anima che si muove e si fonde, il nostro stesso corpo fissato per sempre in fattezze immutabili. - Oh perché proprio dobbiamo essere così, noi? - ci domandiamo talvolta allo specchio, - con questa faccia, con questo corpo? - Alziamo una mano, nell'incoscienza; e il gesto ci resta sospeso. Ci pare strano che l'abbiamo fatto noi. Ci vediamo vivere. Con quel gesto sospeso possiamo assomigliarci a una statua; a quella statua d'antico oratore, per esempio, che si vede in una nicchia, salendo per la scalinata |