| | 1909 Rassegna contemporanea I.6 | | | | 1913 Treves I.6 | | | | 1931 Mondadori I.6 |
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1 | | CAPITOLO SESTO | | 1 | | CAPITOLO SESTO | | 1 | | CAPITOLO SESTO |
2 | | I | | 2 | | In guardia | | 2 | | |
3 | | Né inviti agli elettori stampati a caratteri cubitali su carta d'ogni colore, né alcuna animazione insolita per le vie della vecchia città. Eppure il giorno fissato per le elezioni politiche era imminente. Ma il tedio da gran tempo aveva soffiato in bocca alla ciarlataneria, e questa aveva perduto la voce. La scala per dar l'assalto ai muri alle cantonate delle vie le si era imporrita rotto il pentolino de la colla. S'era camuffata decorosamente da prete la ciarlataneria a Girgenti, Raccolta, guardinga, a collo torto, andava per via, nascondendo tra le pieghe del tabarro il mazzocchio della grancassa cangiata in aspersorio. I cittadini, sotto a quel travestimento, la riconoscevano bene: la lasciavano andare e fare; la rispettavano anche; oh, perché essa non seccava nemmeno con troppe prediche e poi prestava sotto mano – a usura vero ma prestava –; pubblicamente, con molti carati del Salvo e con altri di socii minori, aveva aperto una banca popolare cattolica – all'interesse consentito dalla chiesa . I pubblici uffici, la Prefettura, l'Intendenza delle Finanze, le Scuole governative, i Tribunali, davano ancora un po' di movimento, ma quasi meccanico, alla città: altrove ormai urgeva la vita. e l'industria, il commercio, la vera attività in somma, s'eran da un pezzo trasferiti a Porto Empedocle giallo di zolfo, bianco di marna, polverulento e romoroso, in poco tempo divenuto uno de' piú affollati e affaccendati emporii dell'isola. . A Girgenti, solo i Tribunali e i Circoli d'Assise davan da fare veramente, aperti com'erano tutto l'anno. poiché il carcere di Santo Vito rigurgitava sempre di detenuti, i quali talvolta dovevano aspettare due o tre anni per essere giudicati. Meno male che l'innocenza, nel maggior numero dei casi, di questo forzato indugio non aveva a patire. La città era piuttosto tranquilla; ma nelle campagne e nei paesi della provincia i reati di sangue, scoperti o per mandato, per risse improvvise o per vendette meditate, e le grassazioni e l'abigeato e i sequestri di persona e i ricatti eran continui e innumerevoli, frutto della miseria, della selvaggia ignoranza, dell'asprezza delle fatiche che abbrutivano, delle vaste solitudini arse, brulle e mal guardate. Là, in piazza Sant'Anna, ov'erano i Tribunali, nel centro della città innanzi al palazzo della Camera di Commercio e al Casino dei Nobili e al Caffè s'affollavano i clienti di tutta la provincia, gente tozza e rude, cotta dal sole, gesticolando in mille guise vivacemente espressive: proprietarii di campagne e di zolfare in lite coi gabellotti o coi magazzinieri di Porto Empedocle, e sensali e affaristi e avvocati ; s'affollavano storditi i paesani zotici di Grotte o di Favara, di Racalmuto o di Raffadali , solfarai e contadini, la maggior parte, dalle facce terrigne e arsicce, , vestiti dei grevi abiti di festa di panno turchino, con berrette di strana foggia: a cono, di velluto; a calza, di cotone; o padovane; con pesanti scarponi imbullettati; con cerchietti o catenaccetti d'oro a gli orecchi; venuti per testimoniare o per assistere i parenti carcerati. e avevan seco le loro donne, madri e mogli e figlie e sorelle, , avvolte nelle brevi mantelline di panno, bianche o nere, col fazzoletto dai vivaci colori in capo, annodato sotto il mento, alcune coi lobi degli orecchi strappati dal peso dei massicci orecchini a cerchio, a pendagli e a lagrimoni; altre vestite di nero e con gli occhi e le guance bruciati dal pianto, parenti di qualche assassinato. Fra queste donne quand'eran sole, s'aggirava guardinga qualche vecchia mezzana a tentar le piú giovani e le più appariscenti che avvampavano per l'onta e che pur non di meno talvolta cedevano ed eran condotte, oppresse d angoscia e tremanti, a fare abbandono del proprio corpo, , per non ritornare al paese a mani vuote, per comprare ai figliuoli lontani, orfani, un pajo di scarpe, un vestituccio. (– Occasioni! Una poverella bisognava che n'approfittasse. Nessuno avrebbe saputo... Presto, presto... Peccato, sí, ma Dio leggeva in cuore...). I molti sfaccendati della città andavano intanto su e giú su e giù sempre d'un passo, cascanti di noja, per la strada maestra la Via Atenea l'unica piana del paese, , ma angusta e tortuosa. dal Largo di San Giuseppe a Porta, di Ponte; alcuni, si spingevano fino al viale della Passeggiata, , sotto, gli alberi di pepe , donde si , scopriva tutta la vasta campagna degradante al mare lontano; pochi, più oltre, fino alle Cavette: andavano a tre a quattro, ma taciturni spesso, assorti '. in pensieri vani , e tristi. Pareva che tutti sentissero gravarsi addosso il fato dell'antichissima città decaduta | | 3 | | Né inviti agli elettori stampati a caratteri cubitali su carta d'ogni colore, né alcuna animazione insolita per le vie tortuose della vecchia città. Eppure il giorno fissato per le elezioni politiche era imminente. Ma il tedio da gran tempo aveva soffiato in bocca alla ciarlataneria, e questa aveva perduto la voce. La scala per dar l'assalto ai muri alle cantonate le si era imporrita rotto il pentolino della colla. S'era camuffata decorosamente da prete la ciarlataneria , e raccolta, guardinga, a collo torto, andava per via, nascondendo tra le pieghe del tabarro il mazzocchio della grancassa cangiato in aspersorio. I cittadini, sotto a quel travestimento, la riconoscevano bene: la lasciavano andare e fare; la rispettavano anche; oh, perché non seccava nemmeno con troppe prediche; prestava denaro poi, sottomano – a usura, ma ne prestava –; pubblicamente, con molti carati del Salvo e con altri di socii minori, aveva aperto una banca popolare cattolica – all'interesse consentito da santa madre chiesa. I pubblici uffici, prefettura, intendenza delle finanze, scuole governative, tribunali, davano ancora un po' di movimento, ma quasi meccanico, alla città: altrove ormai urgeva la vita. L'industria, il commercio, la vera attività in somma, s'era da un pezzo trasferita a Porto Empedocle giallo di zolfo, bianco di marna, polverulento e romoroso, in poco tempo divenuto uno de' piú affollati e affaccendati emporii dell'isola. Ma anche là, la sovrabbondanza dello zolfo per le condizioni mal proprie con cui si svolgeva l'industria, l'ignoranza degli usi a cui quel minerale era destinato e dei profitti che se ne potevano ricavare, il difetto di grossi capitali, il bisogno o l'avidità di un pronto guadagno, eran cagione che quella ricchezza del suolo, che avrebbe dovuto esser ricchezza degli abitanti, se n'andasse giorno per giorno ingojata dalle stive dei vapori mercantili inglesi, americani, tedeschi e francesi, lasciando tutti coloro che vivevano di quell'industria e di quel commercio con le ossa rotte dalla fatica, la tasca vuota e gli animi inveleniti dalla guerra insidiosa e feroce, con cui si eran conteso il misero prezzo o lo scotto o il nolo della merce da loro stessi rinvilita. A Girgenti, solo i tribunali e i circoli d'Assise davan da fare veramente, aperti com'erano tutto l'anno. Su al Culmo delle Forche il carcere di Santo Vito rigurgitava sempre di detenuti, che talvolta dovevano aspettare tre o quattro anni per essere giudicati. E meno male che l'innocenza, nel maggior numero dei casi, di questo forzato indugio non aveva a patire. La città era piuttosto tranquilla; ma nelle campagne e nei paesi della provincia i reati di sangue, aperti o per mandato, per risse improvvise o per vendette meditate, e le grassazioni e l'abigeato e i sequestri di persona e i ricatti eran continui e innumerevoli, frutto della miseria, della selvaggia ignoranza, dell'asprezza delle fatiche che abbrutivano, delle vaste solitudini arse, brulle e mal guardate. Là, in piazza Sant'Anna, ov'erano i tribunali, nel centro della città, s'affollavano i clienti di tutta la provincia, gente tozza e rude, cotta dal sole, gesticolante in mille guise vivacemente espressive: proprietarii di campagne e di zolfare in lite con gli affittuarii o coi magazzinieri di Porto Empedocle, e sensali e affaristi e avvocati e galoppini; s'affollavano storditi i paesani zotici di Grotte o di Favara, di Racalmato o di Raffadali o di Montaperto, solfarai e contadini, la maggior parte, dalle facce terrigne e arsicce, dagli occhi lupigni, vestiti dei grevi abiti di festa di panno turchino, con berrette di strana foggia: a cono, di velluto; a calza, di cotone; o padovane; con cerchietti o catenaccetti d'oro agli orecchi; venuti per testimoniare o per assistere i parenti carcerati. Parlavano tutti con cupi suoni gutturali o con aperte e protratte interjezioni. Il lastricato della strada schizzava faville al cupo fracasso dei loro scarponi imbullettati, di cuojo grezzo, erti, massicci e scivolosi. E avevan seco le loro donne, madri e mogli e figlie e sorelle, dagli occhi spauriti o lampeggianti d'un'ansietà torbida e schiva, vestite di baracane, avvolte nelle brevi mantelline di panno, bianche o nere, col fazzoletto dai vivaci colori in capo, annodato sotto il mento, alcune coi lobi degli orecchi strappati dal peso degli orecchini a cerchio, a pendagli, a lagrimoni; altre vestite di nero e con gli occhi e le guance bruciati dal pianto, parenti di qualche assassinato. Fra queste, quand'eran sole, s'aggirava occhiuta e obliqua qualche vecchia mezzana a tentar le piú giovani e appariscenti che avvampavano per l'onta e che pur non di meno talvolta cedevano ed eran condotte, oppresse d angoscia e tremanti, a fare abbandono del proprio corpo, senz'alcun loro piacere, per non ritornare al paese a mani vuote, per comperare ai figliuoli lontani, orfani, un pajo di scarpette, una vesticciuola. (– Occasioni! Una poverella bisognava che ne profittasse. Nessuno avrebbe saputo... Presto, presto... Peccato, sí, ma Dio leggeva in cuore...). I molti sfaccendati della città andavano intanto su e giú su e giù sempre d'un passo, cascanti di noja, con l'automatismo dei dementi, su e giú per la strada maestra, l'unica piana del paese, dal bel nome greco, Via Atenea, ma angusta come le altre e tortuosa. Via Atenea, Rupe Atenea, Empedocle... – nomi: luce di nomi, che rendeva piú triste la miseria e la bruttezza delle cose e dei luoghi. L'Akragas dei Greci, l'Agrigentum dei Romani, eran finiti nella Kerkent dei Musulmani, e il marchio degli Arabi era rimasto indelebile negli animi e nei costumi della gente. Accidia taciturna, diffidenza ombrosa e gelosia. Dal bosco della Civita, cuore della scomparsa città vetusta, saliva un tempo al colle, ove siede misera la nuova, una lunga fila di altissimi e austeri cipressi, quasi a segnar la via della morte. Pochi ormai ne restavano; uno, il piú alto e il piú fosco, si levava ancora sotto l'unico viale della città, detto della Passeggiata, la sola cosa bella che la città avesse, aperto com'era alla vista magnifica di tutta la vastissima piaggia, , svariata di poggi e, di valli e, di piani, e del mare in fondo, nella sterminata curva dell'orizzonte. Quel cipresso, stagliandosi nero e maestoso dopo il fiammeggiare dei meravigliosi tramonti su la piaggia che s'ombrava tutta di notturno azzurro, pareva riassumesse in sé la tristezza infinita del silenzio che spirava dai luoghi, sonori un tempo di tanta vita. Era qua, ora, il regno della morte. Dominata, in vetta al colle, dall'antica cattedrale normanna, dedicata a San Gerlando, dal Vescovado e dal Seminario, Girgenti era la città dei preti e delle campane a morto. Dalla mattina alla sera, le trenta chiese si rimandavano con lunghi e lenti rintocchi il pianto o l'invito alla preghiera, diffondendo per tutto un'orrida tetraggine. Non passava giorno che non si vedessero per via in processione funebre le orfanelle grige del Boccone del povero: squallide, curve, tutte occhi nei visini appassiti, col velo in capo, la medaglia sul petto, e un cero in mano. Tutti, per poca mancia, potevano averne l'accompagnamento; e nulla era piú triste che la vista di quella fanciullezza oppressa dallo spettro della morte, seguito cosí ogni giorno, a passo a passo, con un cero in mano, dalla fiamma vana nella luce del sole. | | 3 | | Né inviti agli elettori stampati a caratteri cubitali su carta d'ogni colore, né alcuna animazione insolita per le vie tortuose della vecchia città. Eppure il giorno fissato per le elezioni politiche era imminente. Ma il tedio da gran tempo aveva soffiato in bocca alla ciarlataneria, e questa aveva perduto la voce. La scala per dar l'assalto ai muri le si era imporrita e rotto il pentolino della colla. S'era camuffata decorosamente da prete la ciarlataneria a Girgenti, e raccolta, guardinga, a collo torto, andava per via, nascondendo tra le pieghe del tabarro il mazzocchio della grancassa cangiato in aspersorio. I cittadini, sotto a quel travestimento, la riconoscevano bene: la lasciavano andare e fare; la rispettavano anche; oh, perché non seccava nemmeno con troppe prediche; prestava denaro poi, sottomano – a usura, ma ne prestava –; pubblicamente, con molti carati del Salvo e con altri di socii minori, aveva aperto una banca popolare cattolica – all'interesse consentito da santa madre Chiesa. I pubblici ufficii, prefettura, intendenza delle finanze, scuole governative, tribunali, davano ancora un po' di movimento, ma quasi meccanico, alla città: altrove ormai urgeva la vita. L'industria, il commercio, la vera attività insomma, s'era da un pezzo trasferita a Porto Empedocle giallo di zolfo, bianco di marna, polverulento e romoroso, in poco tempo divenuto uno de' piú affollati e affaccendati emporii dell'isola. Ma anche là, la sovrabbondanza dello zolfo per le condizioni mal proprie con cui si svolgeva l'industria, l'ignoranza degli usi a cui quel minerale era destinato e dei profitti che se ne potevano ricavare, il difetto di grossi capitali, il bisogno o l'avidità di un pronto guadagno, eran cagione che quella ricchezza del suolo, che avrebbe dovuto esser ricchezza degli abitanti, se n'andasse giorno per giorno ingojata dalle stive dei vapori mercantili inglesi, americani, tedeschi e francesi, lasciando tutti coloro che vivevano di quell'industria e di quel commercio con le ossa rotte dalla fatica, la tasca vuota e gli animi inveleniti dalla guerra insidiosa e feroce, con cui si eran conteso il misero prezzo o lo scotto o il nolo della merce da loro stessi rinvilita. A Girgenti, solo i tribunali e i circoli d'Assise davano da fare veramente, aperti com'erano tutto l'anno. Su al Culmo delle Forche il carcere di San Vito rigurgitava sempre di detenuti, che talvolta dovevano aspettare tre o quattro anni per essere giudicati. E meno male che l'innocenza, nel maggior numero dei casi, di questo forzato indugio non aveva a patire. La città era piuttosto tranquilla; ma nelle campagne e nei paesi della provincia i reati di sangue, aperti o per mandato, per risse improvvise o per vendette meditate, e le grassazioni e l'abigeato e i sequestri di persona e i ricatti erano continui e innumerevoli, frutto della miseria, della selvaggia ignoranza, dell'asprezza delle fatiche che abbrutivano, delle vaste solitudini arse, brulle e mal guardate. In piazza Sant'Anna, ov'erano i tribunali, nel centro della città, s'affollavano i clienti di tutta la provincia, gente tozza e rude, cotta dal sole, gesticolante in mille guise vivacemente espressive: proprietarii di campagne e di zolfare in lite con gli affittuarii o coi magazzinieri di Porto Empedocle, e sensali e affaristi e avvocati e galoppini; s'affollavano storditi i paesani zotici di Grotte o di Favara, di Racalmuto o di Raffadali o di Montaperto, solfarai e contadini, la maggior parte, dalle facce terrigne e arsicce, dagli occhi lupigni, vestiti dei grevi abiti di festa di panno turchino, con berrette di strana foggia: a cono, di velluto; a calza, di cotone; o padovane; con cerchietti o catenaccetti d'oro agli orecchi; venuti per testimoniare o per assistere i parenti carcerati. Parlavano tutti con cupi suoni gutturali o con aperte protratte interjezioni. Il lastricato della strada schizzava faville al cupo fracasso dei loro scarponi imbullettati, di cuojo grezzo, erti, massicci e scivolosi. E avevan seco le loro donne, madri e mogli e figlie e sorelle, dagli occhi spauriti o lampeggianti d'un'ansietà torbida e schiva, vestite di baracane, avvolte nelle brevi mantelline di panno, bianche o nere, col fazzoletto dai vivaci colori in capo, annodato sotto il mento, alcune coi lobi degli orecchi strappati dal peso degli orecchini a cerchio, a pendagli, a lagrimoni; altre vestite di nero e con gli occhi e le guance bruciati dal pianto, parenti di qualche assassinato. Fra queste, quand'eran sole, s'aggirava occhiuta e obliqua qualche vecchia mezzana a tentar le piú giovani e appariscenti che avvampavano per l'onta e che pur non di meno talvolta cedevano ed eran condotte, oppresse di angoscia e tremanti, a fare abbandono del proprio corpo, senz'alcun loro piacere, per non ritornare al paese a mani vuote, per comperare ai figliuoli lontani, orfani, un pajo di scarpette, una vesticciuola. (– Occasioni! Una poverella bisognava che ne profittasse. Nessuno avrebbe saputo... Presto, presto... Peccato, sí, ma Dio leggeva in cuore...). I molti sfaccendati della città andavano intanto su e giú, sempre d'un passo, cascanti di noja, con l'automatismo dei dementi, su e giú per la strada maestra, l'unica piana del paese, dal bel nome greco, Via Atenéa, ma angusta come le altre e tortuosa. Via Atenea, Rupe Atenea, Empedocle... – nomi: luce di nomi, che rendeva piú triste la miseria e la bruttezza delle cose e dei luoghi. L'Akragas dei Greci, l'Agrigentum dei Romani, eran finiti nella Kerkent dei Musulmani, e il marchio degli Arabi era rimasto indelebile negli animi e nei costumi della gente. Accidia taciturna, diffidenza ombrosa e gelosia. Dal bosco della Civita, cuore della scomparsa città vetusta, saliva un tempo al colle, su cui siede misera la nuova, una lunga fila di altissimi e austeri cipressi, quasi a segnar la via della morte. Pochi ormai ne restavano; uno, il piú alto e il piú fosco, si levava ancora sotto l'unico viale della città, detto della Passeggiata, la sola cosa bella che la città avesse, aperto com'era alla vista magnifica di tutta la piaggia, sotto, svariata di poggi , di valli , di piani, e del mare in fondo, nella sterminata curva dell'orizzonte. Quel cipresso, stagliandosi nero e maestoso dopo il fiammeggiare dei meravigliosi tramonti su la piaggia che s'ombrava tutta di notturno azzurro, pareva riassumesse in sé la tristezza infinita del silenzio che spirava dai luoghi, sonori un tempo di tanta vita. Era qua, ora, il regno della morte. Dominata, in vetta al colle, dall'antica cattedrale normanna, dedicata a San Gerlando, dal Vescovado e dal Seminario, Girgenti era la città dei preti e delle campane a morto. Dalla mattina alla sera, le trenta chiese si rimandavano con lunghi e lenti rintocchi il pianto e l'invito alla preghiera, diffondendo per tutto un'angosciosa oppressione. Non passava giorno che non si vedessero per via in processione funebre le orfanelle grige del Boccone del povero: squallide, curve, tutte occhi nei visini appassiti, col velo in capo, la medaglina sul petto, e un cero in mano. Tutti, per poca mancia, potevano averne l'accompagnamento; e nulla era piú triste che la vista di quella fanciullezza oppressa dallo spettro della morte, seguito cosí ogni giorno, a passo a passo, con un cero in mano, dalla fiamma vana nella luce del sole. |
| | ? E una certa nobiltà era veramente rimasta in quegli animi silenziosi; fiaccati intristiti dal tempo senza vicende, da tante miserie senza riparo. | | 4 | | Chi poteva curarsi, in tale animo, delle elezioni politiche ? E poi, perché? Nessuno aveva fiducia nelle istituzioni, né mai l'aveva avuta. La corruzione era sopportata come un male cronico, irrimediabile; ed era considerato ingenuo o matto, impostore o ambizioso, chiunque si levasse a | | 4 | | Chi poteva curarsi, in tale animo, delle elezioni politiche imminenti? E poi, perché? Nessuno aveva fiducia nelle istituzioni, né mai l'aveva avuta. La corruzione era sopportata come un male cronico, irrimediabile; e considerato ingenuo o matto, impostore o ambizioso, chiunque si levasse a |
4 | | Più . | | | | gridar contro ad essa. | | | | gridarle contro . |
5 | | che delle elezioni politiche, si parlava del duello del candidato Ignazio Capolino con Guido Verònica. | | 5 | | In quei giorni, piú che delle imminenti elezioni politiche, gli sfaccendati parlavano del duello del candidato Ignazio Capolino con Guido Verònica. | | 5 | | In quei giorni, piú che delle imminenti elezioni politiche, gli sfaccendati parlavano del duello del candidato Ignazio Capolino con Guido Verònica. |
6 | | Per l'intromissione violenta di Roberto Auriti, la questione cavalleresca s'era complicata. Guido Verònica aveva accettato subito la sfida del Capolino; aveva chiesto però qualche giorno di tempo per provvedersi di padrini. Ed era arrivato da Palermo il deputato Corrado Selmi, con un altro signore, che si diceva famoso spadaccino. Roberto Auriti, intanto, non potendo battersi col Préola e non volendo che altri vendicasse della turpe offesa la memoria del padre, aveva preteso di battersi lui per primo col Capolino. I padrini di questo, il Verònica stesso, s erano opposti a tale pretesa. A nome del Capolino quelli avevano lealmente dichiarato di deplorar l'articolo del Préola, pubblicato di furto nel giornale Empedocle Squalificato cosí dai suoi stessi partigiani il vero autore dell'offesa, per altro riconosciuto indegno di scendere sul terreno e ormai cacciato via da Girgenti, l'Auriti non aveva piú da domandare altra soddisfazione; e un solo duello doveva aver luogo, perché l'affare si terminasse lodevolmente il duello tra il Verònica e il Capolino, per l'aggressione da questo patita su la pubblica via. Troppo giusto! | | 6 | | Per l'intromissione violenta di Roberto Auriti, la questione cavalleresca s'era complicata. Guido Verònica aveva accettato subito la sfida del Capolino; aveva chiesto però qualche giorno di tempo per provvedersi di padrini. Ed era arrivato da Palermo il deputato Corrado Selmi, con un altro signore, che si diceva famoso spadaccino. Roberto Auriti, intanto, non potendo battersi col Préola e non volendo che altri vendicasse della turpe offesa la memoria del padre, aveva preteso di battersi lui per primo col Capolino. I padrini di questo, il Verònica stesso, si erano opposti a tale pretesa. A nome del Capolino quelli avevano lealmente dichiarato di deplorar l'articolo del Préola, pubblicato di furto nel giornale. Squalificato cosí da suoi stessi partigiani il vero autore dell'offesa, per altro riconosciuto indegno di scendere sul terreno e ormai cacciato via da Girgenti, l'Auriti non aveva piú da domandare altra soddisfazione; e un solo duello doveva aver luogo, perché l'affare si terminasse lodevolmente il duello tra il Verònica e il Capolino, per l'aggressione da questo patita sulla pubblica via. Troppo giusto! | | 6 | | Per l'intromissione violenta di Roberto Auriti, la questione cavalleresca s'era complicata. Guido Verònica aveva accettato subito la sfida del Capolino; aveva chiesto però qualche giorno di tempo per provvedersi di padrini. Ed era arrivato da Palermo il deputato Corrado Selmi, con un altro signore, che si diceva famoso spadaccino. Roberto Auriti, intanto, non potendo battersi col Préola e non volendo che altri vendicasse della turpe offesa la memoria del padre, aveva preteso di battersi lui per primo col Capolino. I padrini di questo, il Verònica stesso, si erano opposti a tale pretesa. A nome del Capolino quelli avevano lealmente dichiarato di deplorar l'articolo del Préola, pubblicato di furto nel giornale. Squalificato cosí dai suoi stessi partigiani il vero autore dell'offesa, per altro riconosciuto indegno di scendere sul terreno e ormai cacciato via da Girgenti, l'Auriti non aveva piú da domandare altra soddisfazione; e un solo duello doveva aver luogo, perché l'affare si terminasse lodevolmente: tra il Verònica e il Capolino, per l'aggressione da questo patita sulla pubblica via. Troppo giusto! |
7 | | La vertenza tanto dibattuta aveva appassionato vivamente la cittadinanza, tra la quale d'improvviso s'eran scoperti tanti calorosi dilettanti di cavalleria; e la passione sopra tutto s'era accesa per l'intervento d'un uomo cosí noto come il Selmi e per le arie spagnolesche e provocanti dell'altro testimonio del Verònica, spadaccino. | | 7 | | La vertenza tanto dibattuta aveva appassionato vivamente la cittadinanza, tra la quale d'improvviso s'erano scoperti tanti calorosi dilettanti di cavalleria; e la passione sopra tutto s'era accesa per l'intervento d'un uomo cosí noto come il Selmi e per le arie spagnolesche e provocanti dell'altro testimonio del Verònica, spadaccino. | | 7 | | La vertenza tanto dibattuta aveva appassionato vivamente la cittadinanza, tra la quale d'improvviso s'erano scoperti tanti calorosi dilettanti di cavalleria; e la passione sopra tutto s'era accesa per l'intervento d'un uomo cosí noto come il Selmi e per le arie spagnolesche e provocanti dell'altro testimonio del Verònica, spadaccino. |
8 | | Ma, dal canto suo, il campione paesano, Ignazio Capolino, s'era affidato anche lui in buone mani: a Tano D'Ambrosio, s'era affidato, che la spada in pugno senza repitare!) sapeva tenerla e non si sarebbe lasciato imporre né dal prestigio di Corrado Selmi né dalla spocchia di quell'altro messere. E lui solo, ohè! perché l'altro testimonio di Capolino faceva ridere: Niní De Vincentis, figurarsi! | | 8 | | Ma, dal canto suo, il campione paesano, Ignazio Capolino, s'era affidato anche lui in buone mani: a un certo D'Ambrosio, lontano parente della moglie, che sapeva tener bene la spada in pugno e non si sarebbe lasciato imporre né dal prestigio di Corrado Selmi né dalla spocchia di quell'altro messere. E lui solo, ohè! perché l'altro testimonio di Capolino faceva ridere: Niní De Vincentis, figurarsi! | | 8 | | Ma, dal canto suo, il campione paesano, Ignazio Capolino, s'era affidato anche lui in buone mani: a un certo D'Ambrosio, lontano parente della moglie, che sapeva tener bene la spada in pugno e non si sarebbe lasciato imporre né dal prestigio di Corrado Selmi né dalla spocchia di quell'altro messere. E lui solo, ohè! perché l'altro testimonio di Capolino faceva ridere: Niní De Vincentis, figurarsi! |
9 | | Povero Niní, vi era stato tirato proprio pei capelli! Sciabole, sangue – lui che era una damigella, un S Luigi col giglio in mano. Sarebbe svenuto certamente, assistendo allo scontro! Che idea, quel Capolino, andare a scegliere proprio Niní, come se non ci fossero stati altri piú adatti in paese! Ma forse lo aveva scelto il D'Ambrosio, apposta, per una bravata, . | | 9 | | Povero Niní, vi era stato tirato proprio pei capelli! Sciabole, sangue – lui che era una damigella, un San Luigi col giglio in mano. Sarebbe svenuto certamente, assistendo allo scontro! Che idea, quel Capolino, andare a scegliere proprio Niní, come se non ci fossero stati altri piú adatti in paese! Ma forse lo aveva scelto il D'Ambrosio, apposta, per una bravata, . | | 9 | | Povero Niní, vi era stato tirato proprio pei capelli! Sciabole, sangue – lui che era una damigella, un San Luigi col giglio in mano. Sarebbe svenuto certamente, assistendo allo scontro! Che idea, quel Capolino, andare a scegliere proprio Niní, come se non ci fossero stati altri piú adatti in paese! Ma forse lo aveva scelto il D'Ambrosio, apposta, per una bravata, per rispondere ironicamente alla chiamata dello spadaccino dalla parte avversaria. |
10 | | Niní ignorava ancora il rifiuto reciso opposto dal Salvo alla domanda di nozze che – costretto dal fratello Vincente – gli aveva fatto rivolgere da Monsignor Montoro. Il Capolino lo aveva forzato ad accettar quell'ufficio per lui terribile di secondo testimonio al duello, dandogli a intendere che il Salvo lo avrebbe molto gradito. Perbacco, doveva si o no sfatare una buona volta la fama di pudica, feminea timidezza che s'era fatta in paese? Uomo! uomo! bisognava che si dimostrasse uomo! Del resto, pancia e presenza: non si voleva altro da lui. Che pancia? Dove aveva la pancia Niní? Fino e diritto come un bastoncino... Via, era un modo di dire, pancia e presenza. Composto, elegantissimo come un vero zerbinotto di Parigi, avrebbe fatto una splendida figura. | | 10 | | Niní ignorava ancora il rifiuto reciso opposto dal Salvo alla domanda di nozze che – costretto dal fratello Vincente – gli aveva fatto rivolgere da Monsignor Montoro. Il Capolino lo aveva forzato ad accettar quell'ufficio per lui terribile di secondo testimonio al duello, dandogli a intendere che il Salvo lo avrebbe molto gradito. Perbacco, doveva sí o no sfatare una buona volta la fama di pudica, feminea timidezza che s'era fatta in paese? Uomo! uomo! bisognava che si dimostrasse uomo! Del resto, pancia e presenza: non si voleva altro da lui. Che pancia? Dove aveva la pancia Niní? Fino e diritto come un bastoncino... Via, era un modo di dire, pancia e presenza. Composto, elegantissimo come un vero zerbinotto di Parigi, avrebbe fatto una splendida figura. | | 10 | | Niní ignorava ancora il rifiuto reciso opposto dal Salvo alla domanda di matrimonio che – costretto dal fratello Vincente – gli aveva fatto rivolgere da monsignor Montoro. Il Capolino lo aveva forzato ad accettar quell'ufficio per lui terribile di secondo testimonio al duello, dandogli a intendere che il Salvo lo avrebbe molto gradito. Perbacco, doveva sí o no sfatare una buona volta la fama di verginale timidezza che s'era fatta in paese? Uomo! uomo! bisognava che si dimostrasse uomo! Del resto, pancia e presenza: non si voleva altro da lui. Che pancia? Dove aveva la pancia Niní? Fino e diritto come un bastoncino... Via, era un modo di dire, pancia e presenza. Composto, elegantissimo come un vero zerbinotto di Parigi, avrebbe fatto una splendida figura. |
11 | | Tutti e quattro i padrini si'erano recati nella mattinata a la villa del Principe di Laurentano, a Colimbetra, dove il duello avrebbe avuto luogo, per scegliere il terreno. Nessuno li si sarebbe attentato di disturbare lo scontro. Il Principe, la mattina seguente, si sarebbe recato a Valsanía per la presentazione con la sposa, com'era già convenuto; subito dopo la partenza del Principe, si sarebbe fatto il duello. | | 11 | | Tutti e quattro i padrini si'erano recati nella mattinata a la villa del Principe di Laurentano, a Colimbètra, dove il duello avrebbe avuto luogo, per i concerti opportuni e la scelta del terreno. Nessuno lí si sarebbe attentato di disturbare lo scontro. Il Principe, la mattina seguente, si sarebbe recato a Valsanía per la presentazione con la sposa, com'era già convenuto; subito dopo la partenza del Principe, si sarebbe fatto il duello. | | 11 | | Tutti e quattro i padrini s'erano recati nella mattinata alla villa del principe di Laurentano, a Colimbètra, dove il duello avrebbe avuto luogo, per i concerti opportuni e la scelta del terreno. Nessuno lí si sarebbe attentato a disturbare lo scontro. Il principe, la mattina seguente, si sarebbe recato a Valsanía per la presentazione con la sposa, com'era già convenuto; subito dopo la partenza del principe, si sarebbe fatto il duello. |
12 | | Gli sfaccendati peripatetici assistettero dal viale della Passeggiata al ritorno in carrozza dei quattro padrini da Colimbetra. | | 12 | | Gli sfaccendati peripatetici assistettero dal viale della Passeggiata al ritorno in carrozza dei quattro padrini da Colimbètra. | | 12 | | Gli sfaccendati peripatetici assistettero dal viale della Passeggiata al ritorno in carrozza dei quattro padrini da Colimbètra. |
13 | | Ignazio Capolino, intanto, aspettava i suoi, passeggiando coi maggiorenti del partito innanzi al Circolo Empedocleo su l'ampia terrazza marmorea, di fronte alla chiesa di S. Giuseppe. | | 13 | | Ignazio Capolino, intanto, aspettava i suoi, passeggiando coi maggiorenti del partito su l'ampia terrazza marmorea, innanzi al Circolo che, come tant'altre cose, aveva anch'esso nome da Empedocle. | | 13 | | Ignazio Capolino, intanto, aspettava i suoi, passeggiando coi maggiorenti del partito su l'ampia terrazza marmorea, davanti al Circolo che, come tant'altre cose, aveva anch'esso nome da Empedocle. |
14 | | Quel duello, proprio alla vigilia delle elezioni, gli aveva fatto un gran giuoco, gli aveva accresciuto importanza e simpatia. Egli mostrava di non curarsene punto, e quella sprezzatura per nulla ostentata destava ammirazione e compiacimento negli amici che gli passeggiavano accanto. sicuri, e orgogliosi, perché lo sapevano espertissimo di scherma. Raccontava loro le festose accoglienze ricevute il giorno avanti a Favara dai futuri elettori Avrebbe voluto recarsi quel giorno a Siculiana, dove tant'altri amici lo attendevano impazienti; ma il D'Ambrosio, suo padrone, suo tiranno in quel momento, gliel'aveva assolutamente proibito, per paura che si strapazzasse troppo. | | 14 | | Quel duello, proprio alla vigilia delle elezioni, gli aveva accresciuto importanza e simpatia. Egli mostrava di non curarsene affatto, e questa noncuranza per nulla ostentata destava ammirazione e compiacimento negli amici che gli passeggiavano accanto. Aveva già intrapreso il giro elettorale, e ora descriveva le festose accoglienze ricevute il giorno avanti nel vicino borgo di Favara. Avrebbe voluto recarsi quel giorno stesso nell'altro borgo di Siculiana, dove gli elettori lo attendevano impazienti; ma il D'Ambrosio, suo padrone, suo tiranno in quel momento, gliel'aveva assolutamente proibito, per paura che si strapazzasse troppo. | | 14 | | Quel duello, proprio alla vigilia delle elezioni, gli aveva accresciuto importanza e simpatia. Mostrava di non curarsene affatto, e questa noncuranza per nulla ostentata destava ammirazione e compiacimento negli amici che gli passeggiavano accanto. Aveva già intrapreso il giro elettorale, e ora descriveva le festose accoglienze ricevute il giorno avanti nel vicino borgo di Favara. Avrebbe voluto recarsi quel giorno stesso nell'altro borgo di Siculiana, dove gli elettori lo attendevano impazienti; ma il D'Ambrosio, suo padrone, suo tiranno in quel momento, gliel'aveva assolutamente proibito, per paura che si strapazzasse troppo. |
15 | | Gli dispiaceva per gli amici di Siculiana, ecco. Gli avevano preparato anch'essi una gran festa. La vittoria era sicura, non ostanti le minacce e le prepotenze del Governo e gli ordini del Prefetto e le persecuzioni della polizia. Roberto Auriti , sí e no avrebbe ottenuto una maggioranza di pochi voti soltanto a Comitini, dove Pompeo Agrò contava molti amici. | | 15 | | Gli dispiaceva per gli amici di Siculiana, ecco. Gli avevano preparato anch'essi una gran festa. La vittoria era sicura, non ostanti le minacce e le prepotenze del Governo e gli ordini del Prefetto e le persecuzioni della polizia. Roberto Auriti avrebbe avuto, sí e no, una maggioranza di pochi voti soltanto nel borgo di Comitini, dove Pompeo Agrò contava molti amici. | | 15 | | Gli dispiaceva per gli amici di Siculiana, ecco. Gli avevano preparato anch'essi una gran festa. La vittoria era sicura, non ostanti le minacce e le prepotenze del governo e gli ordini del prefetto e le persecuzioni della polizia. Roberto Auriti avrebbe avuto, sí e no, una maggioranza di pochi voti soltanto nel borgo di Comitini, dove Pompeo Agrò contava molti amici. |
16 | | ; , . | | 16 | | Capolino dava queste notizie con sincero rammarico per il suo avversario, e sinceramente questo rammarico era condiviso da quanti lo ascoltavano. Perché si sapeva che l'Auriti non aveva mai cavato alcun profitto dai principii liberali, per cui da giovine aveva combattuto, né dalla fedeltà che sempre aveva serbato ad essi e che; certamente non per cavarne profitto adesso era venuto a chiedere il suffragio de suoi concittadini, ma quasi per un dovere impostogli, o forse per l'ingenua illusione che potesse bastargli a chiederlo il rispetto che si doveva alla sua onestà. Nessuno gli negava questo rispetto, e tutti si sentivano anche disposti a rendergli qualche onore consentaneo ai suoi meriti. Quello della deputazione, no, via: non era, né poteva essere per lui; e la prova piú evidente era appunto nell'ingenuità di quella sua illusione. | | 16 | | Capolino dava queste notizie con sincero rammarico per il suo avversario, e sinceramente questo rammarico era condiviso da quanti lo ascoltavano. Perché si sapeva che l'Auriti non aveva mai cavato alcun profitto dai principii liberali, per cui da giovine aveva combattuto, né dalla fedeltà che sempre aveva serbato ad essi ; certamente non per cavarne profitto adesso era venuto a chiedere il suffragio dei suoi concittadini, bensí quasi per un dovere impostogli, o forse per l'ingenua illusione che potesse bastargli a chiederlo il rispetto che si doveva alla sua onestà. Nessuno gli negava questo rispetto, e tutti si sentivano anche disposti a rendergli qualche onore consentaneo ai suoi meriti. Quello della deputazione, no, via: non era, né poteva essere per lui; e la prova piú evidente era appunto nell'ingenuità di quella sua illusione. |
17 | | Venuti i padrini, Capolino si'appartò con essi in un angolo dell'ampio salone del Circolo. | | 17 | | Venuti i padrini, Capolino si'appartò con essi in un angolo dell'ampio salone del Circolo. | | 17 | | Venuti i padrini, Capolino s'appartò con essi in un angolo dell'ampio salone del Circolo. |
18 | | . Il D'Ambrosio, alto e biondo, miope, irrequieto, dalla faccia equina insaccato ne le spalle poderose, dal torace enorme e le gambe secche secche e lunghe, parlava arruffato, ruzzolando le parole. era sguajatissimo, e tutti tolleravano le sue sguajataggini, balzane e violente perché spesso faceva ridere. Le ingiurie che diceva si spuntavano e perdevano il fiele nelle risate da cui erano accolte, cosí egli poteva ingiuriar tutti e sfognare le parole piú crude, senza che nessuno se ne sentisse offeso o ferito. | | 18 | | Niní De Vincentis pareva imbalordito, col viso chiazzato, come se gli avessero dato qua e là tanti pizzichi, e gli occhi lustri, assenti e scontrosi. Il D'Ambrosio, alto e biondo, miope, irrequieto, dalla faccia equina, le spalle in capo, il torace enorme e le gambe secche e lunghe, parlava arruffato, ruzzolando le parole. Era sguajatissimo, e tutti tolleravano le sue sguajataggini, non solo perché lo sapevano manesco, ma anche perché spesso faceva ridere. Le sue ingiurie si spuntavano e perdevano il fiele nelle risate da cui erano accolte, e cosí egli poteva ingiuriar tutti e scagliare in faccia le villanie piú crude, senza che nessuno se ne sentisse offeso o ferito. | | 18 | | Niní De Vincentis pareva imbalordito, col viso chiazzato, come se gli avessero dato qua e là tanti pizzichi, e gli occhi lustri, assenti e scontrosi. Il D'Ambrosio, alto e biondo, miope, irrequieto, dalla faccia equina, le spalle in capo, il torace enorme e le gambe secche e lunghe, parlava arruffato, ruzzolando le parole. Era sguajatissimo, e tutti tolleravano le sue sguajataggini, non solo perché lo sapevano manesco, ma anche perché spesso faceva ridere. Le sue ingiurie si spuntavano e perdevano il fiele nelle risate da cui erano accolte, e cosí egli poteva ingiuriar tutti e scagliare in faccia le villanie piú crude, senza che nessuno se ne sentisse offeso o ferito. |
19 | | – Fammi il santissimo piacere, – cominciò, – di dire a mia cugina Nicoletta che questa sera si stia quieta, . Sei vecchio, Gnazio santo diavolo lo vuoi capire? Stendi il braccio: fammi vedere se ti trema. | | 19 | | – Fammi il santissimo piacere, – cominciò, – di dire a mia cugina Nicoletta che questa sera si stia quieta, perché tu devi combattere per i santi diavoli. Voglio dire per i santi ideali. Sei vecchio, Gnazio, lo vuoi capire? Stendi il braccio: fammi vedere se ti trema. | | 19 | | – Fammi il santissimo piacere, – cominciò, – di dire a mia cugina Nicoletta che questa sera si stia quieta, perché tu devi combattere per i santi diavoli. Voglio dire per i santi ideali. Sei vecchio, Gnazio, lo vuoi capire? Stendi il braccio: fammi vedere se ti trema. |
20 | | Capolino, sorridendo, stese il braccio. | | 20 | | Capolino, sorridendo, stese il braccio. | | 20 | | Capolino, sorridendo, stese il braccio. |
21 | | – Va bene, – riprese il D'Ambrosio. – Gli daremo le palle, caro mio. Sul serio! Prima, alla pistola. Scambio di tre palle, a venticinque passi. (Raccomandazione a Niní di non turarsi gli orecchi al botto.) Poi, alla sciabola. Quanto alla sciabola, siamo a cavallo; ma per la pistola, Gnazio mio, sei vecchio, e ho paura che... Basta; Vieni con me, a casa mia. C'è il cortile. Voglio vedere come tiri. – | | 21 | | – Va bene, – riprese il D'Ambrosio. – Gli daremo le palle, caro mio. Sul serio! Prima, alla pistola. Scambio di tre palle, a venticinque passi. (Raccomandazione a Niní di non turarsi gli orecchi al botto.) Poi, alla sciabola. Quanto alla sciabola, siamo a cavallo; ma per la pistola, Gnazio mio, sei vecchio, e ho paura che... Basta; vieni con me, a casa mia. C'è il cortile. Voglio vedere come tiri. – | | 21 | | – Va bene, – riprese il D'Ambrosio. – Gli daremo le palle, caro mio. Sul serio! Prima, alla pistola. Scambio di tre palle, a venticinque passi. (Raccomandazione a Niní di non turarsi gli orecchi al botto.) Poi, alla sciabola. Quanto alla sciabola, siamo a cavallo; ma per la pistola, Gnazio mio, sei vecchio, e ho paura che... Basta; vieni con me, a casa mia. C'è il cortile. Voglio vedere come tiri. – |
22 | | Capolino tentò d'opporsi; ma non ci fu verso: dovette andare, e anche Ninì, per esercitarsi gli orecchi al botto. | | 22 | | Capolino tentò d'opporsi; ma non ci fu verso: dovette andare, e anche Ninì, per esercitarsi gli orecchi al botto. | | 22 | | Capolino tentò d'opporsi; ma non ci fu verso: dovette andare, e anche Ninì, per esercitarsi gli orecchi al botto. |
23 | | Presero per l'erta Via di Lena, dove pareva fosse un abbaruffio, un tumulto attorno a qualcuno che cantava. Niente! Erano i pescivendoli che, arrivati or ora dalla marina, scavalcati dalle mule cariche, gridavano tra la folla il pesce fresco, con lunga e gaja cantilena. I tre proseguirono per la salita sempre piú erta , finché non giunsero presso alla porta piú alta della città, a settentrione, il cui nome, arabo Bâb-er-riiah, (Porta dei Venti), era divenuto Biberia. | | 23 | | Presero per l'erta via di Lena, dove pareva fosse un abbaruffio, un tumulto attorno a qualcuno che cantava. Niente! Erano i pescivendoli che, arrivati or ora dalla marina, scavalcati dalle mule cariche, gridavano tra la folla il pesce fresco, con lunga e gaja cantilena. I tre proseguirono per la salita sempre piú erta di Bac Bac, finché non giunsero presso la porta piú alta della città, a settentrione, il cui nome, arabo anch’esso, Bâb-er-rjiah (Porta dei venti), era divenuto Biberia. | | 23 | | Presero per l'erta via di Lena, dove pareva fosse un tumulto attorno a qualcuno che cantava. Niente! Erano i pescivendoli che, arrivati or ora dalla marina, scavalcati dalle mule cariche, gridavano tra la folla il pesce fresco, con lunga e gaja cantilena. I tre proseguirono per la salita sempre piú erta di Bac Bac, finché non giunsero presso la porta piú alta della città, a settentrione, il cui nome, arabo anch’esso, Bâb-er-rijah (Porta dei venti), era divenuto Biberia. |
24 | | La casa del D'Ambrosio era lassú, E si vedeva da quell'altura il colle, su cui sta Girgenti, scoscendere in ripido pendio su la Val Sollano, tutta intersecata di polverosi stradoni. Il panorama, di fronte, era ampio profondo montuoso. A destra, si levava fosco e imminente Monte Caltafaraci; piú là, in fondo, il San Benedetto; quindi s'allargava il piano di Consòlida, e a mano a mano, sempre piú verso ponente, il pian di Clerici, di là dalla montagna di Carapezza e di Montaperto piú qua. Giú, dirimpetto, la Serra Ferlucchia, gessosa, mostrava le bocche cavernose delle zolfare e i lividi tufi arsicci dei calcheroni spenti. Infondo infondo, dai confini della provincia sorgeva maestoso e invaporato Monte Gemini, tra i piú alti della Sicilia. La grigia, arida asperità ferrigna era solo interrotta qua e là da qualche cupo carrubo. | | 24 | | Il D'Ambrosio stava lassú, in una casa antica, col baglio (vasto cortile acciottolato) e un cisternone in mezzo, insieme con la madre vecchissima, per cui aveva una devozione piú che religiosa. La povera vecchina era sorda, e viveva in continua ansia, in continui palpiti per quel suo figliuolo impetuoso. Sempre con la calza in collo, stava a guardare dai vetri d'una finestra. Vedeva il colle, su cui sta Girgenti, scoscendere in ripido pendio su la Val Sollano, tutta intersecata di polverosi stradoni. Il panorama, di fronte, era profondo e montuoso. A destra, si levava fosco e imminente Monte Caltafaraci; piú là, in fondo, il San Benedetto; quindi s'allargava il piano di Consòlida, e a mano a mano, sempre piú verso ponente, il pian di Clerici, di là dalla montagna di Carapezza e di Montaperto piú qua. Giú, dirimpetto, la Serra Ferlucchia, gessosa, mostrava le bocche cavernose delle zolfare e i lividi tufi arsicci dei calcheroni spenti. In fondo in fondo, dai confini della provincia sorgeva maestoso e invaporato Monte Gemini, tra i piú alti della Sicilia. La grigia, arida asperità ferrigna era solo interrotta qua e là da qualche cupo carubo. | | 24 | | Il D'Ambrosio stava lassú, in una casa antica, col baglio (vasto cortile acciottolato) e un cisternone in mezzo, insieme con la madre vecchissima, per cui aveva una devozione piú che religiosa. La povera vecchina era sorda, e viveva in continua ansia, in continui palpiti per quel suo figliuolo impetuoso. Sempre con la calza in collo, stava a guardare dai vetri d'una finestra. Vedeva il colle, su cui sta Girgenti, scoscendere in ripido pendío su la Val Sollano, tutta intersecata di polverosi stradoni. Il panorama, di fronte, era profondo e montuoso. A destra, si levava fosco e imminente monte Caltafaraci; piú là, in fondo, il San Benedetto; quindi s'allargava il piano di Consòlida, e a mano a mano, sempre piú verso ponente, il pian di Clerici, di là dalla montagna di Carapezza e di Montaperto piú qua. Giú, dirimpetto, la Serra Ferlucchia, gessosa, mostrava le bocche cavernose delle zolfare e i lividi tufi arsicci dei calcheroni spenti. In fondo in fondo, dai confini della provincia sorgeva maestoso e invaporato Monte Gemini, tra i piú alti della Sicilia. La grigia, arida asperità ferrigna era solo interrotta qua e là da qualche cupo carubo. |
25 | | Tano D'Ambrosio fece aspettare i due amici nel cortile della casa, vasto e acciottolato, con un cisternone in mezzo andò su e ridiscese subito con una grossa rivoltella da cavalleggere e una scatola di cartuccie; tracciò con un pezzo di carbone sul muro, presso la stalla vuota, quattro segnacci, un uomo, Guido Verònica; poi contò dal muro venticinque passi. | | 25 | | Il D'Ambrosio fece aspettare i due amici nel cortile; andò su e ridiscese subito con una grossa rivoltella da cavalleggere e una scatola di cartucce; tracciò con un pezzo di carbone sul muro, presso la stalla vuota, quattro segnacci, un uomo, Guido Verònica; poi contò dal muro venticinque passi. | | 25 | | Il D'Ambrosio fece aspettare i due amici nel cortile; andò su e ridiscese subito con una grossa rivoltella da cavalleggere e una scatola di cartucce; tracciò con un pezzo di carbone sul muro, presso la stalla vuota, quattro segnacci, un uomo, Guido Verònica; poi contò dal muro venticinque passi. |
26 | | – Qua, Gnazio! Batto tre volte le mani; alla terza, fuoco! In guardia. – | | 26 | | – Qua, Gnazio! Batto tre volte le mani; alla terza, fuoco! In guardia. – | | 26 | | – Qua, Gnazio! Batto tre volte le mani; alla terza, fuoco! In guardia. – |
27 | | Capolino si prestava a quella prova come a uno scherzo, svogliato. Tuttavia, quando si vide innanzi, sul muro, quella quintana là, che ora smorfiosamente inerte pareva aspettasse i suoi colpi ma che domani gli si sarebbe fatta incontro staccandosi da quel muro, con gambe e braccia vive, presentandogli la bocca d'un'altra pistola, Capolino, col sorriso rassegato sulle labbra, aggrottò le ciglia e tirò con impegno. | | 27 | | Capolino si prestava a quella prova come a uno scherzo, svogliato. Tuttavia, quando si vide innanzi, sul muro, quella quintana là, che ora smorfiosamente inerte pareva aspettasse i suoi colpi ma che domani gli si sarebbe fatta incontro staccandosi da quel muro, con gambe e braccia vive, presentandogli la bocca d'un'altra pistola, Capolino, col sorriso rassegato sulle labbra, aggrottò le ciglia e tirò con impegno. | | 27 | | Capolino si prestava a quella prova come a uno scherzo, svogliato. Tuttavia, quando si vide innanzi, sul muro, quella quintana là, che ora smorfiosamente inerte pareva aspettasse i suoi colpi ma che domani gli si sarebbe fatta incontro staccandosi da quel muro, con gambe e braccia vive, presentandogli la bocca d'un'altra pistola, Capolino, col sorriso rassegato sulle labbra, aggrottò le ciglia e tirò con impegno. |
28 | | Al primo colpo, diede quasi nel capo del bersaglio, due dita appena più su. | | 28 | | Il | | 28 | | Il |
29 | | – Sei un dio! – gli gridò il D'Ambrosio E non ti vogliono eleggere deputato? Tienti più basso un tantino, e lo bolli, per l'eternità! | | | | D'Ambrosio si dichiarò molto soddisfatto della prova; poi, per ridere, volle forzare Niní a tirare anche lui | | | | D'Ambrosio si dichiarò molto soddisfatto della prova; poi, per ridere, volle forzare Niní a tirare anche lui |
30 | | Troppo basso al secondo colpo; ma imbroccato all'altezza dell'anguinaglie. | | | | al bersaglio | | | | al bersaglio |
31 | | – Ahi ahi – strillò il D'Ambrosio, ripiegandosi con le due mani là, come se fosse stato colpito. – Addio, Rosinella! Me lo rovini, povero Verònica! Basta, basta, ho capito... A. Niní adesso! | | | | . Niní | | | | . Niní |
32 | | Ninì recalcitrò come un mulo. Ma il D'Ambrosio tanto disse, tanto fece, che lo costrinse a sparare; poi, subito dopo, scoppiò in una matta risata: | | | | recalcitrò come un mulo. Ma il D'Ambrosio tanto disse, tanto fece, che lo costrinse a sparare; poi, subito dopo, scoppiò in una matta risata: | | | | recalcitrò come un mulo. Ma il D'Ambrosio tanto disse, tanto fece, che lo costrinse a sparare; poi, subito dopo, scoppiò in una matta risata: |
33 | | – Parola mia d'onore, ha chiuso gli occhi, tutti e due! Un bicchier d'acqua! un bicchier d'acqua! – | | 29 | | – Parola mia d'onore, ha chiuso gli occhi, tutti e due! Un bicchier d'acqua! un bicchier d'acqua! – | | 29 | | – Parola mia d'onore, ha chiuso gli occhi, tutti e due! Un bicchier d'acqua! un bicchier d'acqua! – |
34 | | E corse a sostenerlo, come se davvero Niní stesse per svenire. Ma non insistette molto su quello scherzo. Prese a parlare con molto fervore di Corrado Selmi: | | 30 | | E corse a sostenerlo, come se davvero Niní stesse per svenire. Ma non insistette molto su quello scherzo. Prese a parlare con molto fervore di Corrado Selmi: | | 30 | | E corse a sostenerlo, come se davvero Niní stesse per svenire. Ma non insistette molto su quello scherzo. Prese a parlare con molto fervore di Corrado Selmi: |
35 | | – Simpaticone! Pare un giovanotto, sai? ed è del 4 aprile, della campana della Gancia... Dev avere per lo meno cinquant'anni... Ne dimostra trentacinque, trent'otto al piú... Geniale, spregiudicato, alla mano. Dicono che ha piú debiti che capelli. Me l'immagino! E... gallo, oh! Matto per le pollastrelle. Sua Eccellenza il ministro d'Atri pare che ne debba sapere qualche cosa... – | | 31 | | – Simpaticone! Pare un giovanotto, sai? ed è del 4 aprile, della campana della Gancia... Deve avere per lo meno cinquant'anni... Ne dimostra trentacinque, trentotto al piú... Geniale, spregiudicato, alla mano. Dicono che ha piú debiti che capelli. Me l'immagino! E... gallo, oh! Matto per le pollastrelle. Sua Eccellenza il ministro d'Atri pare ne debba sapere qualche cosa... – | | 31 | | – Simpaticone! Pare un giovanotto, sai? ed è del 4 aprile, della campana della Gancia... Deve avere per lo meno cinquant'anni... Ne dimostra trentacinque, trentotto al piú... Geniale, spregiudicato, alla mano. Dicono che ha piú debiti che capelli. Me l'immagino! E... gallo, oh! Matto per le pollastrelle. Sua Eccellenza il ministro D'Atri pare ne debba sapere qualche cosa... – |
36 | | Presi gli accordi per la mattina seguente, Capolino andò via con Niní De Vincentis. | | 32 | | Presi gli accordi per la mattina seguente, Capolino andò via con Niní De Vincentis. | | 32 | | Presi gli accordi per la mattina seguente, Capolino andò via con Niní De Vincentis. |
37 | | – Mi raccomando per Nicoletta! Prudenza alla vigilia! – gli gridò dietro il D'Ambrosio dall'usciolo del cortile, facendosi portavoce delle mani; poi, come se avesse veduto un cane arrabbiato: – Scànsati, Gnazio! scànsati! Passa là! passa là! – | | 33 | | – Mi raccomando per Nicoletta! Prudenza alla vigilia! – gli gridò dietro il D'Ambrosio dall'usciolo del cortile, facendosi portavoce delle mani; poi, come se avesse veduto un cane arrabbiato: – Scànsati, Gnazio! scànsati! Passa là! passa là! – | | 33 | | – Mi raccomando per Nicoletta! Prudenza alla vigilia! – gli gridò dietro il D'Ambrosio dall'usciolo del cortile, facendosi portavoce delle mani; poi, come se avesse veduto un cane arrabbiato: – Scànsati, Gnazio! scànsati! Passa là! passa là! – |
38 | | Capolino e Ninì De Vincentis si voltarono a guardare, ridendo, e videro alle loro spalle Nocio Pigna, Propaganda, che scendeva per la stessa via col lungo braccio penzoloni e l'altro pontato a leva sul ginocchio. Propaganda si voltò anche lui, iroso, verso il D'Ambrosio, sbarrò gli occhi lustri da matto, e levando il braccio, gli scagliò la parola, ch'era per lui il piú grave marchio d'infamia: | | 34 | | Capolino e Ninì De Vincentis si voltarono a guardare, ridendo, e videro alle loro spalle Nocio Pigna, Propaganda, che scendeva per la stessa via col lungo braccio penzoloni e l'altro pontato a leva sul ginocchio. Propaganda si voltò anche lui, iroso, verso il D'Ambrosio, sbarrò gli occhi lustri da matto, e levando il braccio, gli scagliò la parola, ch'era per lui il piú grave marchio d'infamia: | | 34 | | Capolino e Ninì De Vincentis si voltarono a guardare, ridendo, e videro alle loro spalle Nocio Pigna, Propaganda, che scendeva per la stessa via col lungo braccio penzoloni e l'altro pontato a leva sul ginocchio. Propaganda si voltò anche lui, iroso, verso il D'Ambrosio, sbarrò gli occhi lustri da matto, e levando il braccio, gli scagliò la parola, ch'era per lui il piú grave marchio d'infamia: |
39 | | – Ignorante II – | | 35 | | – Ignorante Propaganda e compagnia – | | 35 | | – Ignorante! – |
40 | | | | 36 | | | | 36 | | |
41 | | E aveva piú che mai il diritto, adesso, di bollar con questo marchio tutti i suoi nemici, borghesi e preti e titolati, Propaganda: il Fascio, a dispetto della Prefettura e del Municipio, della Polizia e del Comando militare, era riuscito finalmente a metterlo su. | | 37 | | E aveva piú che mai il diritto, adesso, di bollar con questo marchio tutti i suoi nemici, borghesi e preti e titolati, Propaganda: il Fascio, a dispetto della Prefettura e del Municipio, della Polizia e del Comando militare, era riuscito finalmente a metterlo su. | | 37 | | E aveva piú che mai il diritto, adesso, di bollar con questo marchio tutti i suoi nemici, borghesi e preti e titolati, Propaganda: il Fascio, a dispetto della Prefettura e del Municipio, della Polizia e del Comando militare, era riuscito finalmente a metterlo su. |
42 | | Sissignori, anche a Girgenti, il, Fascio, . | | 38 | | Sissignori, anche a Girgenti, nel paese dei corvi e delle campane a morto, il Fascio, . | | 38 | | Sissignori, anche a Girgenti, nel paese dei corvi e delle campane a morto, un Fascio, con tutti i sagramenti. |
43 | | Guardava lassú, gonfio d'orgoglio con aria di protezione, quelle vecchie case del quartiere di S Michele, tane di miseria; quelle anguste viuzze storte, sudice, affossate, ; e gli occhi gli sfavillavano. Piú che con gli uomini, se la intendeva per ora con le pietre corrose e annerite di quelle casette, coi ciottoli mal connessi di quelle viuzze ; parlava con esse in cuor suo; diceva loro: «Aspettate!». Sopratutto per l'onore del paese, infatti egli aveva lottato e lottava, perché non si dicesse che Girgenti sola, quando tutta l'isola era in fermento, restava muta e come morta. Presto in quelle case, presto per quelle vie una nuova vita avrebbe tripudiato. | | 39 | | Guardava lassú, gonfio d'orgoglio con aria di protezione, quelle vecchie casupole del quartiere di San Michele, tane di miseria; quelle anguste viuzze storte, sudice, affossate, ; e gli occhi gli sfavillavano. Piú che con gli uomini, se la intendeva per ora con le pietre corrose e annerite di quelle casupole, coi ciottoli mal connessi di quelle viuzze dirupate; parlava con esse in cuor suo; diceva loro: «Bai bai!». Sopratutto per l'onore del paese, infatti egli aveva lottato e lottava, perché non si dicesse che Girgenti sola, quando tutta l'isola era in fermento, restava muta e come morta. Presto in quelle case, presto per quelle vie una nuova vita avrebbe tripudiato. | | 39 | | Guardava lassú, gonfio d'orgoglio e con aria di protezione, quelle vecchie casupole del quartiere di San Michele, tane di miseria; quelle anguste viuzze storte, sudice, affossate, piene tutte di quel tanfo che suol lasciare la spazzatura marcita; e gli occhi gli sfavillavano. Piú che con gli uomini, se la intendeva per ora con le pietre corrose e annerite di quelle casupole, coi ciottoli mal connessi di quelle viuzze fetide e dirupate; parlava con esse in cuor suo; diceva loro: «Bai bai!». Sopratutto per l'onore del paese, infatti, aveva lottato e lottava, perché non si dicesse che Girgenti sola, quando tutta l'isola era in fermento, restava muta e come morta. Presto in quelle case, presto per quelle vie una nuova vita avrebbe tripudiato. |
44 | | Era un gran dire però, che gli dovesse costar tanto il persuadere a gli uomini di fare il proprio bene; che tutti lo dovessero costringere ad affannarsi, a incalorirsi tanto per persuaderli, che si poteva quasi sospettare avere egli qualche fine segreto! | | 40 | | Era un gran dire però, che gli dovesse costar tanta fatica il persuadere a gli altri di fare il proprio bene; che tutti lo dovessero costringere ad affannarsi, a incalorirsi in quell'opera di persuasione cosí, che quasi quasi si poteva sospettare ch'egli ci avesse qualche fine segreto o qualche tornaconto! | | 40 | | Era un gran dire però, che gli dovesse costar tanta fatica il persuadere agli altri di fare il proprio bene; e che tutti lo dovessero costringere ad affannarsi, a incalorirsi in quell'opera di persuasione cosí, che quasi quasi si poteva sospettare ci avesse qualche tornaconto! |
45 | | Chi glielo faceva fare? Oh bella! Era stato messo fuori quasi , espulso dalla società, reso nella sua stessa casa superfluo. Con le buone e con le cattive gli avevano detto e dimostrato che se ne poteva pure andare; che non si aveva piú alcun bisogno di lui. Dopo averlo spremuto come un limone, avergli disonorato una figlia, «inzaccherata di fango la canizie», averlo calunniato e infamato, volevano buttarlo via? Ah, no! Queste cose al Pigna non si facevano. Non solo non era superfluo, ma anzi necessario, perdio, voleva essere: necessario, a dispetto di tutti! e presto se ne sarebbero accorti gli ignoranti che non volevano riconoscerlo. Se altri lavorava per il suo mantenimento, egli non ne approfittava che per lavorare a sua volta per gli altri; con questo per giunta, che l'ajuto dato a lui era misero, in fondo, e per meschine, infime necessità, mentre l'ajuto ch'egli dava a gli altri, l'opera ch'egli metteva, era grande e per necessità superiori. Facile, comoda, quest'opera? Ah, sí, tutta rose, di fatti! Ma scalmanarsi da mane a sera, correr di qua e di là con quelle belle gambe che Dio gli aveva date, perderci la voce, sprecarci il fiato, ognuno poteva immaginare che bel piacere dovesse essere! | | 41 | | Chi glielo faceva fare? Oh bella! Era stato messo da canto quasi, espulso dalla società, reso nella sua stessa casa superfluo. Con le buone e con le cattive gli avevano detto e dimostrato che se ne poteva pure andare; che non si aveva piú alcun bisogno di lui. Dopo averlo spremuto come un limone, avergli disonorato una figlia, «inzaccherata di fango la canizie», averlo calunniato e infamato, volevano buttarlo via? Ah, no! Queste cose al Pigna non si facevano. Non solo non era superfluo, ma anzi necessario, perdio, voleva essere: necessario, a dispetto di tutti! E presto se ne sarebbero accorti gli ignoranti che non volevano riconoscerlo. Se altri lavorava per il suo mantenimento, egli non ne profittava che per lavorare a sua volta per gli altri; con questo per giunta, che l'ajuto dato a lui era misero, in fondo, e per meschine, infime necessità, mentre l'ajuto ch'egli dava a gli altri, l'opera ch'egli metteva, era grande e per necessità superiori. Facile, comoda, quest'opera? Ah, sí, tutta rose, difatti! Ma scalmanarsi da mane a sera, correr di qua e di là con quelle belle cianche che Dio gli aveva date, perderci la voce, sprecarci il fiato, ognuno poteva immaginare che bel piacere dovesse essere! | | 41 | | Chi glielo faceva fare? Oh bella! Era stato messo da parte , espulso dalla società, reso nella sua stessa casa superfluo. Con le buone e con le cattive gli avevano detto e dimostrato che se ne poteva pure andare; che non si aveva piú alcun bisogno di lui. Dopo averlo spremuto come un limone, avergli disonorato una figlia, o, come lui diceva «inzaccherata di fango la canizie», averlo calunniato e infamato, volevano buttarlo via? Ah, no! Queste cose al Pigna non si facevano. Non solo non era superfluo, ma anzi necessario, perdio, voleva essere: necessario, a dispetto di tutti! E presto se ne sarebbero accorti gli ignoranti che non volevano riconoscerlo. Se altri lavorava per il suo mantenimento, egli non ne profittava che per lavorare a sua volta per gli altri; con questo per giunta, che l'ajuto dato a lui era misero, in fondo, e per meschine, infime necessità, mentre l'ajuto ch'egli dava a gli altri, l'opera ch'egli metteva, era grande e per necessità superiori. Facile, comoda, quest'opera? Ah, sí, tutta rose, difatti! Ma scalmanarsi da mane a sera, correr di qua e di là con quelle belle cianche che Dio gli aveva date, perderci la voce, sprecarci il fiato, ognuno poteva immaginare che bel piacere dovesse essere! |
46 | | Come una rocca assediata, che di tutto ciò che aveva dentro si fosse fatto arma e puntello per resistere a gli assalti di fuori, e dentro fosse rimasta vuota, Nocio Pigna aveva posto avanti e dietro e tutt'intorno a sé ragioni e sentimenti, tutte le sue disgrazie, com'armi di difesa contro a quelli che lavoravano accanitamente per levargli ogni credito. e più parlava e piú le sue stesse parole accrescevano la sua persuasione e la passione sua ma . a furia di ripetere sempre le medesime cose, , queste alla fine gli si'erano fissate in una forma che aveva perduto ogni efficacia; gli si'erano, per dir cosí, impostate su le labbra, come bocche di fuoco che non mandavan piú fuori se non botto, fumo e stoppaccio. Dentro, non aveva piú nulla. Era un uomo che parlava, e nient'altro. | | 42 | | Come una rocca assediata, che di tutto ciò che aveva dentro si fosse fatto arma e puntello per resistere a gli assalti di fuori, e dentro fosse rimasta vuota, Nocio Pigna aveva posto avanti e dietro e tutt'intorno a sé ragioni e sentimenti, tutte le sue disgrazie, com'armi di difesa contro a quelli che lavoravano accanitamente per levargli ogni credito. Piú parlava e piú le sue stesse parole accrescevano la sua persuasione e la passione sua. Ma a furia di ripetere sempre le medesime cose, col medesimo giro, queste alla fine gli s'erano fissate in una forma che aveva perduto ogni efficacia; gli s'erano, per dir cosí, impostate su le labbra, come bocche di fuoco che non mandavano piú fuori se non botto, fumo e stoppaccio. Dentro, non aveva piú nulla. Era un uomo che parlava, e nient'altro. | | 42 | | Come una rocca assediata, che di tutto ciò che aveva dentro si fosse fatto arma e puntello per resistere agli assalti di fuori, e dentro fosse rimasta vuota, Nocio Pigna aveva posto davanti e dietro e tutt'intorno a sé ragioni e sentimenti, tutte le sue disgrazie, com'armi di difesa contro a quelli che lavoravano accanitamente per levargli ogni credito. Piú parlava e piú le sue stesse parole accrescevano la sua persuasione e la sua passione . Ma a furia di ripetere sempre le medesime cose, col medesimo giro, queste alla fine gli s'erano fissate in una forma che aveva perduto ogni efficacia; gli s'erano, per dir cosí, impostate su le labbra, come bocche di fuoco che non mandavano piú fuori se non botto, fumo e stoppaccio. Dentro, non aveva piú nulla. Era un uomo che parlava, e nient'altro. |
47 | | Il Fascio, intanto, lo aveva messo su. Che fosse proprio tutto di lavoratori, qualcuno dubitava. Neanch'egli, Propaganda, forse avrebbe avuto il coraggio d'affermare che quegli stessi non lavoratori iscritti fossero molti per ora. Ma il forte era cominciare; e cosí, a poco a poco, si comincia. Certo, una bella retata, un'entratura solenne con qualche migliajo di socii raccolti in un solo giorno sarebbe stata possibile a Porto Empedocle , tra gli uomini di mare, i carrettieri, i mozzi delle spigonare, i giovani di magazzino, i pesatori e gli scaricatori. Ma a Porto Empedocle... Piano, per amor di Dio! non poteva piú sentirlo nominare, Nocio Pigna: la memoria della baja che gli avevano data laggiú era come una piaga sempre aperta nel cuore di lui e, a toccargliela appena appena, non avrebbe finito piú di strillare. Figli di cane, ributto d'ogni civiltà! avere il mare, signori miei, lí sempre innanzi agli occhi; che si scherza? il divino mare, l'immensità! aver posto le proprie case su la spiaggia in attesa delle navi di lontani paesi, cioè la propria vita alla mercé delle genti; e, sissignori, nessuno spirito di fratellanza umana! di tutto quel mare non sapevano veder altro che la spiaggia, anzi le immondizie soltanto della spiaggia, le loro fecce scorrenti lungo le fogne scoperte. Quel mare, ah quel mare avrebbe dovuto gonfiarsi d'ira, di sdegno, alzare un'ondata e sommergerlo, ingoiarselo, quel paese di carognoni! | | 43 | | Il Fascio, intanto, lo aveva messo su. Che fosse proprio tutto di lavoratori, qualcuno dubitava. Neanch'egli, Propaganda, forse avrebbe avuto il coraggio d'affermare che quegli stessi non lavoratori iscritti fossero molti per ora. Ma il forte era cominciare; e cosí, a poco a poco, si comincia. Certo, una bella retata, un'entratura solenne con qualche migliajo di socii raccolti in un sol giorno sarebbe stata possibile a Porto Empedocle soltanto, tra gli uomini di mare, i carrettieri, i mozzi delle spigonare, i giovani di magazzino, i pesatori e gli scaricatori. Ma a Porto Empedocle... Piano, per amor di Dio! non poteva piú sentirlo nominare, Nocio Pigna: la memoria della baja che gli avevano data laggiú era come una piaga sempre aperta nel cuore di lui e, a toccargliela appena appena, non avrebbe finito piú di strillare. Figli di cane, ributto d'ogni civiltà! avere il mare, signori miei, lí sempre innanzi agli occhi; che si scherza? il divino mare, l'immensità! aver posto le proprie case su la spiaggia in attesa delle navi di lontani paesi, cioè la propria vita alla mercé delle genti; e, sissignori, nessuno spirito di fratellanza umana! di tutto quel mare non sapevano veder altro che la spiaggia, anzi le immondizie soltanto della spiaggia, le loro fecce scorrenti lungo le fogne scoperte. Quel mare, ah quel mare avrebbe dovuto gonfiarsi d'ira, di sdegno, alzare un'ondata e sommergerlo, ingojarselo, quel paese di carognoni! | | 43 | | Il Fascio, intanto, lo aveva messo su. Che fosse proprio tutto di lavoratori, si poteva dubitare. Neanch'egli, Propaganda, forse arrebbe avuto il coraggio d'affermare che quegli stessi non lavoratori iscritti fossero molti per ora. Ma il forte era cominciare; e cosí, a poco a poco, si comincia. Certo, una bella retata, un'entratura solenne con qualche migliajo di socii raccolti in un sol giorno sarebbe stata possibile a Porto Empedocle soltanto, tra gli uomini di mare, i carrettieri, i mozzi delle spigonare, i giovani di magazzino, i pesatori e gli scaricatori. Ma a Porto Empedocle... Piano, per amor di Dio! non poteva piú sentirlo nominare, Nocio Pigna: la memoria della baja che gli avevano data laggiú era come una piaga sempre aperta nel cuore di lui e, a toccargliela appena appena, non avrebbe finito piú di strillare. Figli di cane, ributto d'ogni civiltà! avere il mare, signori miei, lí sempre davanti agli occhi; che si scherza? il mare, l'immensità! aver posto le proprie case su la spiaggia in attesa delle navi di lontani paesi, cioè la propria vita alla mercé delle genti; e, sissignori, nessuno spirito di fratellanza umana! di tutto quel mare non sapevano veder altro che la spiaggia, anzi le immondizie soltanto della spiaggia, le loro fecce scorrenti lungo le fogne scoperte. Quel mare, ah quel mare avrebbe dovuto gonfiarsi d'ira, di sdegno, alzare un'ondata e sommergerlo, ingojarselo, quel paese di carognoni! |
48 | | Qua, a Girgenti, bisognava lavorare come le formiche, Pazienza! Aveva cominciato a trattare con qualche Presidente delle maestranze locali: ma quelle due mani afferrate, simbolo delle Società di mutuo soccorso, mani tagliate, senza sangue, cioè senza colore politico, o mani col santo rosario e la rametta d'olivo di qualche circolo cattolico, stentavano a staccarsi, stentavano a tendersi fraternamente ai lavoratori d'altre arti e di'altri mestieri, come avevano fatto a Catania, a Palermo, per comporre un piú ampio circolo, l'unione di tutte le forze proletarie, il Fascio dei Fasci, in somma. Luca Lizio aveva già scritto a Roma a don Lando Laurentano (ch'era dei loro, vivaddio, principe e socialista!), perché désse lui la spinta a tutti i perplessi e i titubanti: una sola parola di lui, un cenno sarebbe bastato. Si aspettava di giorno in giorno la risposta, la quale forse tardava per il dispiacere che quel buffo matrimonio del padre doveva cagionare al giovine Principe. Intanto lui, Nocio Pigna, non perdeva tempo e non s'avviliva tra gli ostacoli. Comprendeva che sarebbe stata ingenuità far troppo assegnamento su quelle maestranze: in un paese morto come Girgenti, privo d'ogni industria, ove da anni non si fabbricavan piú case e tutto deperiva in lento e silenzioso abbandono; ove non solo non si cercavan mai svaghi costosi, ma ciascuno si sforzava di restringere i piú modesti bisogni; muratori e fabbri, sarti e calzolai dipendevan troppo dai pochi cosí detti signori; e il segreto malcontento non avrebbe trovato certo in loro il coraggio d'affermarsi apertamente, all'occasione. Domani avrebbero votato tutti per quel farabutto di Capolino, a un cenno di don Flaminio Salvo. Ma pure, entrando, iscrivendosi al partito, gli operai potevan servire d'esempio ai contadini; tirarseli dietro, ecco. Come le pecore – questi – poveretti! Pecore però, che sapevan la crudeltà delle mani rapaci che le tosavano e le mungevano; pecore che, se riuscivano ad acquistar coscienza de loro diritti, a compenetrarsi minimamente di quella famosa «virtú della loro forza», sarebbero diventati lupi in un punto. Parte di essi, intanto, dimorava sparsa nelle campagne e non saliva alla città, alta sul colle, se non le domeniche e le feste. Quelli tra loro che si chiamavano garzoni, i meno imbalorditi dalla miseria, perché riscotevano per tutto l'anno il meschino salario, temevan troppo i castaldi, o curátoli, o soprastanti, feroci aguzzini a servizio dei padroni. Restavano i braccianti a giornata, quelli che, dopo sedici ore di fatica (quando avevan la fortuna di trovar lavoro), si riducevan la sera in città con la zappa in spalla, la schiena rotta e quindici soldi in tasca, sí e no. A questi mirava Nocio Pigna; erano i piú; ma creta, creta, creta, in cui Dio non aveva soffiato, o la miseria aveva da tempo spento quel soffio; creta indurita stracotta dal sole che destava pena e stupore se, guardando, moveva gli occhi e, parlando, le labbra. | | 44 | | Qua, a Girgenti, bisognava lavorare come le formiche, pazienza! Aveva cominciato a trattare con qualche Presidente delle maestranze locali: ma quelle due mani afferrate, simbolo delle Società di mutuo soccorso, mani tagliate, senza sangue, cioè senza colore politico, o mani col santo rosario e la rametta d'olivo di qualche circolo cattolico, stentavano a staccarsi, stentavano a tendersi fraternamente ai lavoratori d'altre arti e d'altri mestieri, come avevano fatto a Catania, a Palermo, per comporre un piú ampio circolo, l'unione di tutte le forze proletarie, il Fascio dei Fasci, in somma. Luca Lizio aveva già scritto a Roma a don Lando Laurentano (ch'era dei loro, vivaddio, principe e socialista!), perché désse lui la spinta a tutti i perplessi e i titubanti: una sola parola di lui, un cenno sarebbe bastato. Si aspettava di giorno in giorno la risposta, la quale forse tardava per il dispiacere che quel buffo matrimonio del padre doveva cagionare al giovine Principe. Intanto lui, Nocio Pigna, non perdeva tempo e non s'avviliva tra gli ostacoli. Comprendeva che sarebbe stata ingenuità far troppo assegnamento su quelle maestranze: in un paese morto come Girgenti, privo d'ogni industria, ove da anni non si fabbricavan piú case e tutto deperiva in lento e silenzioso abbandono; ove non solo non si cercavan mai svaghi costosi, ma ciascuno si sforzava di restringere i piú modesti bisogni; muratori e fabbri-ferrai, sarti e calzolai dipendevan troppo dai pochi cosí detti signori; e il segreto malcontento non avrebbe trovato certo in loro il coraggio d'affermarsi apertamente, all'occasione. Domani avrebbero votato tutti per quel farabutto di Capolino, a un cenno di don Flaminio Salvo. Ma pure, entrando, iscrivendosi al Partito, gli operai potevan servire d'esempio ai contadini; tirarseli dietro, ecco. Come le pecore – questi – poveretti! Pecore però, che sapevan la crudeltà delle mani rapaci che le tosavano e le mungevano; pecore che, se riuscivano ad acquistar coscienza de loro diritti, a compenetrarsi minimamente di quella famosa «virtú della loro forza», sarebbero diventati lupi in un punto. Parte di essi, intanto, dimorava sparsa nelle campagne e non saliva alla città, alta sul colle, se non le domeniche e le feste. Quelli tra loro che si chiamavano garzoni, i meno imbalorditi dalla miseria, perché riscotevano per tutto l'anno un meschino salario, temevan troppo i castaldi, o curátoli, o soprastanti, feroci aguzzini a servizio dei padroni. Restavano i braccianti a giornata, quelli che, dopo sedici ore di fatica (quando avevan la fortuna di trovar lavoro), si riducevano la sera in città con la zappa in collo, la schiena rotta e quindici soldi in tasca, sí e no. A questi mirava Nocio Pigna; erano i piú; ma creta, creta, creta, in cui Dio non aveva soffiato, o la miseria aveva da tempo spento quel soffio; creta indurita, che destava pena e stupore se, guardando, moveva gli occhi e, parlando, le labbra. | | 44 | | Qua, a Girgenti, bisognava lavorare come le formiche, pazienza! Aveva cominciato a trattare con qualche presidente delle maestranze locali: ma quelle due mani afferrate, simbolo delle società di mutuo soccorso, mani tagliate, senza sangue, cioè senza colore politico, o mani col santo rosario e la rametta d'olivo di qualche circolo cattolico, stentavano a staccarsi, stentavano a tendersi fraternamente ai lavoratori d'altre arti e d'altri mestieri, come avevano fatto a Catania, a Palermo, per comporre un piú ampio circolo, l'unione di tutte le forze proletarie, il Fascio dei Fasci, in somma. Luca Lizio aveva già scritto a Roma a don Lando Laurentano (ch'era dei loro, vivaddio, principe e socialista!), perché désse lui la spinta a tutti i perplessi e i titubanti: una sola parola di lui, un cenno sarebbe bastato. Si aspettava di giorno in giorno la risposta, la quale forse tardava per il dispiacere che quel buffo matrimonio del padre doveva cagionare al giovine principe. Intanto lui, Nocio Pigna, non perdeva tempo e non s'avviliva tra gli ostacoli. Comprendeva che sarebbe stata ingenuità far troppo assegnamento su quelle maestranze: in un paese morto come Girgenti, privo d'ogni industria, ove da anni non si fabbricavan piú case e tutto deperiva in lento silenzioso abbandono; ove non solo non si cercavano mai svaghi costosi, ma ciascuno si sforzava di restringere i piú modesti bisogni; muratori e fabbriferrai, sarti e calzolai dipendevano troppo dai pochi cosí detti signori; e il segreto malcontento non avrebbe trovato certo in loro il coraggio d'affermarsi apertamente, all'occasione. Domani avrebbero votato tutti per quel farabutto di Capolino, a un cenno di don Flaminio Salvo. Ma pure, entrando, iscrivendosi al Partito, gli operai potevano servire d'esempio ai contadini; tirarseli dietro, ecco. Come le pecore – questi – poveretti! Pecore però, che sapevan la crudeltà delle mani rapaci che le tosavano e le mungevano; pecore che, se riuscivano ad acquistar coscienza dei loro diritti, a compenetrarsi minimamente di quella famosa «virtú della loro forza», sarebbero diventate lupi in un punto. Parte di essi, intanto, dimorava sparsa nelle campagne e non saliva alla città, alta sul colle, se non le domeniche e le feste. Quelli tra loro che si chiamavano garzoni, i meno imbecilliti dalla miseria, perché riscotevano tutto l'anno un meschino salario, temevan troppo i castaldi, o curátoli, o soprastanti, feroci aguzzini a servizio dei padroni. Restavano i braccianti a giornata, quelli che, dopo sedici ore di fatica (quando avevan la fortuna di trovar lavoro), si riducevano la sera in città con la zappa in collo, la schiena rotta e quindici soldi in tasca, sí e no. A questi mirava Nocio Pigna; erano i piú; ma creta, creta, creta, su cui Dio non aveva soffiato, o la miseria aveva da tempo spento quel soffio; creta indurita, che destava pena e stupore se, guardando, moveva gli occhi e, parlando, le labbra. |
49 | | Egli aveva già preso in affitto il vasto magazzino del pastificio abbandonato al Piano di Gamez, accanto alla sua casa: capace di cinquecento e piú socii. un po' umido, sì, un po' troppo bujo, ma con due o tre candele accese, di giorno ci si vedeva; discretamente, vah! Lo aveva addobbato alla meglio, tutto quanto con le sue mani; dieci tabelle alle pareti, cinque di qua e cinque di là, coi motti sacramentali del partito, che spiccavano su certi vecchi paramenti di finto damasco i quali, se avessero potuto parlare, chi sa quanti paternostri e avemarie si sarebbero messi a recitar sottovoce'un giorno, infatti avevano adornato, nelle feste solenni, la chiesa di S Pietro ove Nocio Pigna era stato sagrestano; Il vecchio beneficiale glien aveva fatto dono 'allora, Li aveva cavati dalla cassapanca, dove da tanti anni stavano riposti con la canfora e col pepe , tesoro screditato. ed eccoli là, , Luca Lizio poteva pure dir di no, ma facevano una magnifica figura. Del resto, per attirare i contadini, non vedeva male Nocio Pigna che il Fascio avesse una cert'aria di chiesa; e là su la tavola della presidenza aveva posto anche un Crocefìsso. Dietro la tavola troneggiava lo stendardo rosso ricamato da sua figlia Rita, la compagna di Luca. E Luca stava lí, dalla mattina alla sera, a studiare Marx ( Màrchis, diceva il Pigna), a scrivere, a corrispondere coi presidenti degli altri Fasci della provincia e con quelli di tutta l'isola e con Milano e con Roma. Qualcuno, passando innanzi al portone e vedendolo, talvolta lo poteva credere intento a cavarsi qualche caccoletta dal naso; e ad abballottarla poi a lungo con, le dita ma si poteva scommettere che; in quei momenti Luca pensava: quando pensava, rimaneva talmente astratto e assorto, che non avvertiva neppure le strombettate dei cinque fratelli addetti alla fanfara, i quali, per dir la verità, erano un'ira di Dio. Ma non bisognava raffreddare l'entusiasmo giovanile. Cinque tra gli studenti dell'Istituto Tecnico accorsi tra i primi a iscriversi al partito: Rocco Ventura, che aveva preso quell'anno il diploma di ragioniere, Mondino Miccichè, Bernardo Raddusa, Totò Licalsi ed Emanuele Garofalo ajutavano Luca nella corrispondenza. Avevan trovato un galoppino che s'era assunto l'ufficio della polizia segreta, un certo Píspisa, che bazzicava tutto il giorno con quelli de la questura. I quaranta socii, che presto sarebbero diventati quattrocento, avevan, già eletto i loro decurioni, ciascuno con la sua brava fascia rossa a tracolla. In previsione di qualche arresto del presidente, cioè di Luca Lizio, era stato eletto dal consiglio presidente segreto Rocco Ventura. Perché già, tanto lui, Pigna, quanto il Lizio erano stati chiamati insieme ad audiendum verbum dal cavalier Franco, ispettore di polizia. Uh, garbatissimo, biondo roseo sorridente, strizzando i begli occhi cerulei appassionati o carezzandosi con le bianche mani di dama l'aurea barba spartita sul mento, il cavalier Franco aveva tenuto loro un discorsetto che Pigna non si stancava di ripetere a tutti, imitando i gesti e la voce. Il rosso, il rosso del gonfalone e delle fasce aveva urtato sopratutto l'ispettore Franco. Eh già, come i tori, la sbirraglia davanti al rosso perdeva il lume degli occhi. Ma non s'era mica infuriato il cavalier Franco: polizia polita, almeno nelle apparenze, la sua. Voleva soltanto sapere perché rosso, , quando c'erano tant'altri bei colori ecco E un'altra cosa aveva voluto sapere: perché proprio loro due, Lizio e Pigna, s'erano messi a quell'impresa. Che se n'aspettavano? che ne speravano? un seggio al Consiglio comunale, o anche piú su, al Parlamento? Niente di tutto questo? E allora perché? per disinteressata carità di prossimo? per giustizia sociale? Belle parole. Sì, bontà sua, riconosceva anche lui ch'era veramente iniqua la condizione dei lavoratori della terra! Ma si era certi poi di render loro un servizio rialzandoli da quella condizione? Chi sta al bujo non spende per il lume; e il lume costa, e fa veder certe cose che prima non si vedevano; e piú se ne vedono e piú se ne vogliono signori miei Ora, in che consiste la vera ricchezza, la vera felicità? Nell'aver pochi bisogni. E dunque... e dunque... – In somma, uno squarcio di filosofia e questa conclusione: | | 45 | | Aveva preso in affitto il vasto magazzino d'un pastificio abbandonato al Piano di Gamez, accanto alla sua casa: capace di cinquecento e piú socii. un po' umido, sì, un po' troppo bujo, ma, via, con due o tre candele accese, di giorno ci si vedeva; discretamente. Lo aveva addobbato alla meglio, tutto quanto con le sue mani. Dieci tabelle alle pareti, cinque di qua e cinque di là, coi motti sacramentali del Partito, che spiccavano su certi vecchi paramenti di finto damasco i quali, se avessero potuto parlare, chi sa quanti paternostri e avemarie si sarebbero messi a recitar sottovoce'un giorno, infatti avevano adornato, nelle feste solenni, la chiesa di San Pietro ove Nocio Pigna era stato sagrestano; Il vecchio beneficiale glien aveva fatto dono 'allora, Li aveva cavati dalla cassapanca, dove da tant'anni stavano riposti con la canfora e col pepe , tesoro screditato. ed eccoli là, , Luca Lizio poteva pur dire di no, ma facevano una magnifica figura. Del resto, per attirare i contadini, non vedeva male Nocio Pigna che il Fascio avesse una cert'aria di chiesa; e là su la tavola della presidenza aveva posto anche un Crocefisso. Dietro la tavola troneggiava lo stendardo rosso ricamato da sua figlia Rita, la compagna di Luca. E Luca stava lí, dalla mattina alla sera, a studiare Marx ( Marchis, diceva il Pigna), a scrivere, a corrispondere coi presidenti degli altri Fasci della provincia e con quelli di tutta l'isola o con Milano e con Roma. Qualcuno, passando innanzi al portone del Fascio, talvolta lo poteva credere magari intento a cavarsi qualche caccoletta dal naso; e ad abballottarla poi, a lungo con le dita; ma che! che caccoletta; in quei momenti Luca pensava: quel dito nel naso, pensava: quando pensava, Luca rimaneva talmente astratto e assorto, che non avvertiva neppur le strombettate dei cinque fratelli addetti alla fanfara, i quali, per dir la verità, erano un'ira di Dio. Ma non bisognava raffreddare l'entusiasmo giovanile. Cinque tra gli studenti dell'Istituto Tecnico accorsi tra i primi a iscriversi al Partito: Rocco Ventura, che aveva preso quell'anno il diploma di ragioniere, Mondino Miccichè, Bernardo Raddusa, Totò Licalsi ed Emanuele Garofalo ajutavano Luca nella corrispondenza. Avevan trovato un galoppino che s'era assunto l'ufficio della polizia segreta, un certo Píspisa, che bazzicava tutto il giorno con quelli de la questura. I quaranta socii, che presto sarebbero diventati quattrocento, quattromila, avevan già eletto i loro decurioni, ciascuno con la sua brava fascia rossa a tracolla. In previsione di qualche arresto del presidente, cioè di Luca Lizio, era stato eletto dal consiglio presidente segreto Rocco Ventura. Perché già, tanto lui, Pigna, quanto il Lizio erano stati chiamati insieme ad audiendum verbum dal cavalier Franco, commissario di polizia. Uh, garbatissimo, biondo roseo sorridente, strizzando i begli occhi languidi cerulei o carezzandosi con le bianche mani di dama l'aurea barbetta spartita sul mento, il cavalier Franco aveva tenuto loro un discorsetto che Pigna non si stancava di ripetere a tutti, imitando i gesti e la voce. Il rosso, il rosso del gonfalone e delle fasce aveva urtato sopratutto il signor commissario. Eh già, come i tori, la sbirraglia davanti al rosso perdeva il lume degli occhi. Ma non s'era mica infuriato il cavalier Franco: polizia polita, almeno nelle apparenze, la sua. Voleva soltanto sapere perché rosso, ecco, quando c'erano tant'altri bei colori arancione, color pisello E un'altra cosa aveva voluto sapere: perché proprio loro due, Lizio e Pigna, s'erano messi a quell'impresa. Che se n'aspettavano? Che ne speravano? un seggio al Consiglio comunale, o anche piú su, al Parlamento? Niente di tutto questo? E allora perché? per disinteressata carità di prossimo? per giustizia sociale? Belle parole. Sì, bontà sua, riconosceva anche lui ch'era veramente iniqua la condizione dei lavoratori della terra! Ma si era poi certi di render loro un servizio rialzandoli da quella condizione? Chi sta al bujo non spende per il lume; e il lume costa, e fa veder certe cose che prima non si vedevano; e piú se ne vedono e piú se ne vogliono signori miei Ora, in che consiste la vera ricchezza, la vera felicità? Nell'aver pochi bisogni. E dunque... e dunque... – In somma, uno squarcio di filosofia e questa conclusione: | | 45 | | Aveva preso in affitto il vasto magazzino d'un pastificio abbandonato al Piano di Gamez, accanto alla sua casa: capace di cinquecento e piú socii. Umido e bujo, di giorno, senza l'ajuto di due o tre candele non ci si vedeva; ma con quelle candele accese e certi vecchi paramenti sacri di finto damasco appesi alle pareti, aveva l'aria d'un funerale. Quei paramenti avevano ornato, un tempo, nelle feste solenni, la chiesa di San Pietro di cui Nocio Pigna era stato sagrestano; li aveva avuti in dono dal padre beneficiale d'allora, quando s'erano fatti i nuovi; e li aveva conservati con la canfora e col pepe in una vecchia cassapanca, tesoro ormai screditato. Ora, con le dieci tabelle sopra, cinque di qua e cinque di là, coi motti sacramentali del Partito, Luca Lizio poteva pur dire di no, ma agli occhi di Pigna facevano una magnifica figura. Del resto, per attirare i contadini, non vedeva male che il Fascio avesse quell'aria di chiesa; e su la tavola della presidenza aveva posto anche un Crocefisso. Dietro la tavola troneggiava lo stendardo rosso ricamato da sua figlia Rita, la compagna di Luca. E Luca stava lí, dalla mattina alla sera, a studiare Marx ( Marchis, diceva il Pigna), a prendere appunti, a corrispondere coi presidenti degli altri Fasci della provincia e con quelli di tutta l'isola e con Milano e con Roma. Qualcuno, passando davanti al portone del Fascio, talvolta lo poteva credere magari intento a cavarsi qualche caccoletta dal naso; quand'uno è assorto e perduto nei suoi pensieri, un dito nel naso è niente, le maleducazioni a cui, senza saperlo, può lasciarsi andare, sono senza fine e imprevedibili; in quei momenti Luca non avvertiva neppur le strombettate dei cinque fratelli addetti alla fanfara, i quali, per dire la verità, erano un'ira di Dio. Ma non conveniva raffreddare l'entusiasmo giovanile. Cinque tra gli studenti dell'Istituto Tecnico accorsi tra i primi a iscriversi al Partito: Rocco Ventura, che aveva preso quell'anno il diploma di ragioniere, Mondino Miccichè, Bernardo Raddusa, Totò Licasi ed Emanuele Garofalo ajutavano Luca nella corrispondenza. Avevan trovato un galoppino che s'era assunto l'ufficio della polizia segreta, un certo Píspisa, che bazzicava tutto il giorno con quelli della questura. I quaranta socii, che presto sarebbero diventati quattrocento, quattromila, avevano già eletto i loro decurioni, ciascuno con la sua brava fascia rossa a tracolla. In previsione di qualche arresto del presidente, cioè di Luca Lizio, era stato eletto dal Consiglio presidente segreto Rocco Ventura. Perché già, tanto lui, Pigna, quanto il Lizio erano stati chiamati insieme ad audiendum verbum dal cavalier Franco, commissario di polizia. Uh, garbatissimo, biondo e sorridente, strizzando i begli occhi languidi o carezzandosi con le bianche mani di dama l'aurea barbetta spartita sul mento, il cavalier Franco aveva tenuto loro un discorsetto che Pigna non si stancava di ripetere a tutti, imitando i gesti e la voce. Il rosso, il rosso del gonfalone e delle fasce aveva urtato sopratutto il signor commissario. Eh già, come i tori, la sbirraglia davanti al rosso perdeva il lume degli occhi. Ma non s'era mica infuriato il cavalier Franco: tutt'altro; aveva voluto sapere perché rosso, ecco, quando c'erano tant'altri bei colori. E un'altra cosa aveva voluto sapere: perché proprio loro due, Lizio e Pigna, s'erano messi a quell'impresa. Che speravano? che se n'aspettavano? Un seggio al Consiglio comunale, o anche piú su, al Parlamento? Niente di tutto questo? E allora perché? Per disinteressata carità di prossimo? Oh guarda! Ma erano poi certi di rendere al popolo un servizio rialzandolo dalle condizioni in cui si trovava? Chi sta al bujo non spende per il lume; e il lume costa, e fa veder certe cose che prima non si vedevano; e piú se ne vedono e piú se ne vogliono. Ora, in che consiste la vera ricchezza, la vera felicità? Nell'aver pochi bisogni. E dunque... e dunque... – In somma, uno squarcio di filosofia e questa conclusione: |
50 | | – Cari signori, io non vi faccio arrestare, neanche se voi voleste. Voi dite che l'urto avverrà per forza, se non migliora la sorte dei vostri protetti? Bene. Io vi prego di ricordarvi della brocca che tanto andò al pozzo... E non aggiungo altro! – | | 46 | | – Cari signori, io non vi faccio arrestare, neanche se voi voleste. Voi dite che l'urto avverrà per forza, se non migliora la sorte dei vostri protetti? Bene. Io vi prego di ricordarvi della brocca che tanto andò al pozzo... E non aggiungo altro! – | | 46 | | – Cari signori, io non vi faccio arrestare, neanche se voi voleste. Voi dite che l'urto avverrà per forza, se non migliora la sorte dei vostri protetti? Bene. Io vi prego di ricordarvi della brocca che tanto andò al pozzo... E non aggiungo altro! – |
51 | | Era rimasto un po' tra indispettito e sconcertato il cavalier Franco dal silenzio di Luca; parlando, s'era rivolto sempre a lui, e a stento aveva nascosto la stizza nel sentirsi invece rispondere dal Pigna. Ma avrebbe potuto dirgli, questi, la ragione di quel silenzio? Povero Luca, che supplizio! Sarebbe stato meno da compiangere, se cieco. Oratore nato, nato per arringar le folle, vero tipo dell'uomo pubblico, tutto per gli altri, niente per sé sissignori – bollato nella lingua dal destino buffone! Scriveva, si sfogava a scrivere, e schizzava fuoco dalla penna, schegge d'inferno; poi s'arrabbiava, poveretto, si mangiava le dita, mugolava, quando sentiva leggere la roba sua senza il giusto tono, il giusto rilievo, la fiamma che ci aveva messo dentro, . Nessuno lo contentava, neanche Celsina, quella tra le figliuole del Pigna, che sola tutta accesa delle nuove idee se n'era fatto un culto, un vero culto Anche Rita, sí, un poco, prima che le nascesse il bambino... Ma che cos'era Rita di fronte a Celsina? Altra spina altra spina questa, che faceva sanguinare il cuore di Nocio Pigna: non poter mandare all'Università questa figliuola, che aveva preso la licenza d'onore all'Istituto tecnico, sbalordendo tutti, preside, professori e condiscepoli. A tanti scemi, figli di ricchi signori, la via aperta e piana; a Celsina, troncata ogni via; condannata Celsina a funghir lí, in quel paese marcio, d'ignoranti. Ecco la giustizia sociale! Intanto, quella sera, vigilia delle elezioni, ella avrebbe fatto la sua prima comparsa in pubblico: avrebbe tenuto una conferenza nella sede del Fascio. Era in giro dalla mattina, Nocio Pigna, per questo solenne avvenimento. | | 47 | | Era rimasto un po' tra indispettito e sconcertato il cavalier Franco dal silenzio di Luca; parlando, s'era rivolto sempre a lui, e a stento aveva nascosto la stizza nel sentirsi invece rispondere dal Pigna. Ma avrebbe potuto dirgli, questi, la ragione di quel silenzio? Povero Luca, che supplizio! sarebbe stato meno da compiangere, se cieco. Oratore nato, nato per arringar le folle, vero tipo dell'uomo pubblico, tutto per gli altri, niente per sé – bollato nella lingua dal destino buffone! Scriveva, si sfogava a scrivere, e schizzava fuoco dalla penna, schegge d'inferno; poi s'arrabbiava, poveretto, si mangiava le dita, mugolava, quando sentiva leggere la roba sua senza il giusto tono, il giusto rilievo, la fiamma ch'egli ci aveva messo dentro, . Nessuno lo contentava, neanche Celsina, quella tra le figliuole del Pigna, che sola tutta accesa delle nuove idee se n'era fatto un culto, un vero culto Anche Rita, sí, un poco, prima che le nascesse il bambino... Ma che cos'era Rita di fronte a Celsina? Altra spina altra spina questa, che faceva sanguinare il cuore di Nocio Pigna: non poter mandare all'Università questa figliuola, che aveva preso la licenza d'onore all'Istituto Tecnico, sbalordendo tutti, preside, professori e condiscepoli. A tanti scemi, figli di ricchi signori, la via aperta e piana; a Celsina, troncata ogni via; condannata Celsina a funghir lí, in quel paese marcio, d'ignoranti. Ecco la giustizia sociale! Intanto, quella sera, vigilia delle elezioni, ella avrebbe fatto la sua prima comparsa in pubblico: avrebbe tenuto una conferenza nella sede del Fascio. Era in giro dalla mattina, Nocio Pigna, per questo solenne avvenimento. | | 47 | | Era rimasto un po' tra indispettito e sconcertato il cavalier Franco dal silenzio di Luca; parlando, s'era rivolto sempre a lui, e a stento aveva nascosto la stizza nel sentirsi invece rispondere dal Pigna. Ma avrebbe potuto dirgli, questi, la ragione di quel silenzio? Povero Luca, che supplizio! Sarebbe stato meno da compiangere, se cieco. Oratore nato, nato per arringar le folle, vero tipo dell'uomo pubblico, tutto per gli altri, niente per sé – bollato nella lingua dal destino buffone! Scriveva, si sfogava a scrivere, e schizzava fuoco dalla penna, schegge d'inferno; poi s'arrabbiava, poveretto, si mangiava le mani, mugolava, quando sentiva leggere la roba sua senza il giusto tono, il giusto rilievo, la fiamma che ci aveva messo lui dentro, nello scriverla. Nessuno lo contentava, neanche Celsina, quella tra le figliuole del Pigna, che sola s'era tutta accesa delle nuove idee. Anche Rita, sí, un poco, prima che le nascesse il bambino... Ma che cos'era Rita a confronto di Celsina? Altra spina, questa, che faceva sanguinare il cuore di Nocio Pigna: non poter mandare all'Università questa figliuola, che aveva preso la licenza d'onore all'Istituto Tecnico, sbalordendo tutti, preside, professori e condiscepoli. A tanti scemi, figli di ricchi signori, la via aperta e piana; a Celsina, troncata ogni via; condannata Celsina a funghir lí, in quel paese marcio, d'ignoranti. Ecco la giustizia sociale! Intanto, quella sera, vigilia delle elezioni, Celsina avrebbe fatto la sua prima comparsa in pubblico: avrebbe tenuto una conferenza nella sede del Fascio. Era in giro dalla mattina, Nocio Pigna, per questo solenne avvenimento. |
52 | | Mancavano le seggiole. | | 48 | | Mancavano lo seggiole. | | 48 | | Mancavano le seggiole. |
53 | | Se ogni socio si fosse portata la sua con sé, e l'avesse poi lasciata lí... Per ora, egli non pretendeva neppure che pagassero con la dovuta puntualità la misera quota settimanale. Ma avessero almeno regalato una seggiola, santo Dio, da servire per loro stessi! Niente. Sí e no, aveva potuto metterne insieme una ventina. Pensava a tutte le seggiole delle chiese; a quelle ch'erano sotto la sua custodia, un tempo, a San Pietro; pensava alle carrettate che ogni domenica sera se ne trasportavano all'emiciclo in fondo al viale della Passeggiata, ove sonava la banda militare. Seggiole d'avanzo, là per le bigotte, qua per le civette! e nel Fascio, niente! Colpa dei soci, però, alla fin fine; e dunque, peggio per loro! Sarebbero rimasti in piedi. | | 49 | | Se ogni socio si fosse portata la sua con sé, e l'avesse poi lasciata lí... Per ora, egli non pretendeva neppure che pagassero con la dovuta puntualità la misera quota settimanale. Ma avessero almeno regalato una seggiola, santo Dio, da servire per loro stessi! Niente. Sí e no, aveva potuto metterne insieme una ventina. Pensava a tutte le seggiole delle chiese; a quelle ch'erano sotto la sua custodia, un tempo, a San Pietro; pensava alle carrettate che ogni domenica sera se ne trasportavano all'emiciclo in fondo al viale della Passeggiata, ove sonava la banda militare. Seggiole d'avanzo, là per le bigotte, qua per le civette! e nel Fascio, niente! Colpa dei soci, però, alla fin fine; e dunque, peggio per loro! Sarebbero rimasti in piedi. | | 49 | | Se ogni socio si fosse portata la sua con sé, e l'avesse poi lasciata lí... Per ora, egli non pretendeva neppure che pagassero con la dovuta puntualità la misera quota settimanale. Ma avessero almeno regalato una seggiola, santo Dio, da servire per loro stessi! Niente. Sí e no, aveva potuto metterne insieme una ventina. Pensava a tutte le seggiole delle chiese; a quelle ch'erano sotto la sua custodia, un tempo, a San Pietro; pensava alle carrettate che ogni domenica sera se ne trasportavano all'emiciclo in fondo al viale della Passeggiata, ove sonava la banda militare. Seggiole d'avanzo, là per le bigotte, qua per le civette! e nel Fascio, niente! Colpa dei socii, però, alla fin fine; e dunque, peggio per loro! Sarebbero rimasti in piedi. |
54 | | Stava per rincasare, quando da un vicoletto che sboccava nella piazza sentí chiamarsi piano da qualcuno in agguato lí ad aspettarlo, incappucciato. | | 50 | | Stava per rincasare, quando da un vicoletto che sboccava nella piazza sentí chiamarsi piano da qualcuno in agguato lí ad aspettarlo, incappucciato. | | 50 | | Stava per rincasare, quando da un vicoletto che sboccava nella piazza sentí chiamarsi piano da qualcuno in agguato lí ad aspettarlo, incappucciato. |
55 | | – Ps, ps... – | | 51 | | – Ps, ps... – | | 51 | | – Ps, ps... – |
56 | | Un contadino! Il cuore gli diede un balzo in petto. Gli s'accostò premuroso. | | 52 | | Un contadino! Il cuore gli diede un balzo in petto. Gli s'accostò premuroso. | | 52 | | Un contadino! Il cuore gli diede un balzo in petto. Gli s'accostò premuroso. |
57 | | – Serv'a Voscenza. Posso dirle una parolina? | | 53 | | – Serv'a Voscenza. Posso dirle una parolina? | | 53 | | – Serv'a Voscenza. Posso dirle una parolina? |
58 | | – Come dici? – gli domandò Nocio Pigna, facendoglisi piú presso, costernato dall'aria di sospetto e di mistero con cui quell'uomo gli stava dinanzi, parlando dentro il cappuccio che gli lasciava scoperti appena appena gli occhi soltanto. – Vuoi parlare con me? | | 54 | | – Come dici? – gli domandò Nocio Pigna, facendoglisi piú presso, costernato dall'aria di sospetto e di mistero con cui quell'uomo gli stava dinanzi, parlando dentro il cappuccio che gli lasciava scoperti appena appena gli occhi soltanto. – Vuoi parlare con me? | | 54 | | – Come dici? – gli domandò Nocio Pigna, facendoglisi piú presso, costernato dall'aria di sospetto e di mistero con cui quell'uomo gli stava davanti, parlando dentro il cappuccio che gli lasciava scoperti appena gli occhi soltanto. – Vuoi parlare con me? |
59 | | – Sissignore, – rispose quegli piú col cenno che con la voce. | | 55 | | – Sissignore, – rispose quegli piú col cenno che con la voce. | | 55 | | – Sissignore, – rispose quegli piú col cenno che con la voce. |
60 | | – Eccomi, figlio mio, – s'affrettò a dir Pigna. – Vieni qua... entriamo qua... – | | 56 | | – Eccomi, figlio mio, – s'affrettò a dir Pigna. – Vieni qua... entriamo qua... – | | 56 | | – Eccomi, figlio mio, – s'affrettò a dir Pigna. – Vieni qua... entriamo qua... – |
61 | | E gl'indicò il portone del Fascio. | | 57 | | E gl'indicò il portone del Fascio. | | 57 | | E gl'indicò il portone del Fascio. |
62 | | Ma quegli negò col capo e subito si trasse piú indietro nel vicoletto. Pigna lo seguí. | | 58 | | Ma quegli negò col capo e subito si trasse piú indietro nel vicoletto. Pigna lo seguí. | | 58 | | Ma quegli negò col capo e subito si trasse piú indietro nel vicoletto. Pigna lo seguí. |
63 | | – Non aver paura. Non c'è nessuno. Che vuoi dirmi? | | 59 | | – Non aver paura. Non c'è nessuno. Che vuoi dirmi? | | 59 | | – Non aver paura. Non c'è nessuno. Che vuoi dirmi? |
64 | | L'uomo incappucciato esitò ancora un po', prima di rispondere; volse intorno gli occhi acuti e sospettosi, poi mormorò, sempre dentro il cappuccio: | | 60 | | L'uomo incappucciato esitò ancora un po', prima di rispondere; volse intorno gli occhi acuti e sospettosi, poi mormorò, sempre dentro il cappuccio: | | 60 | | L'uomo incappucciato esitò ancora un po', prima di rispondere; volse intorno gli occhi sospettosi, poi mormorò, sempre dentro il cappuccio: |
65 | | – M'hanno parlato a quattr'occhi... Persona fidata... Dice che... – | | 61 | | – M'hanno parlato a quattr'occhi... Persona fidata... Dice che... – | | 61 | | – M'hanno parlato a quattr'occhi... Persona fidata... Dice che... – |
66 | | E s'interruppe di nuovo. | | 62 | | E s'interruppe di nuovo. | | 62 | | E s'interruppe di nuovo. |
67 | | – Parla, , figlio mio, – lo esortò il Pigna. – Siamo qua soli... Che t'hanno detto? – | | 63 | | – Parla, , figlio mio, – lo esortò il Pigna. – Siamo qua soli... Che t'hanno detto? – | | 63 | | – Parla, parla, figlio mio, – lo esortò il Pigna. – Siamo qua soli... Che t'hanno detto? – |
68 | | Gli occhi acuti e sospettosi sotto il cappuccio espressero lo sforzo penoso che colui faceva su sé stesso per vincere il ritegno di parlare. Alla fine, stringendosi piú al muro e stendendo appena fuor del cappotto una mano sul braccio del Pigna, domandò a bassissima voce: | | 64 | | Gli occhi acuti e sospettosi sotto il cappuccio espressero lo sforzo penoso che colui faceva su sé stesso per vincere il ritegno di parlare. Alla fine, stringendosi piú al muro e stendendo appena fuor del cappotto una mano sul braccio del Pigna, domandò a bassissima voce: | | 64 | | Gli occhi sospettosi sotto il cappuccio espressero lo sforzo penoso che colui faceva su se stesso per vincere il ritegno di parlare. Alla fine, stringendosi piú al muro e stendendo appena fuor del cappotto una mano sul braccio del Pigna, domandò a bassissima voce: |
69 | | – È qua che si spartiscono le terre? – | | 65 | | – È qua che si spartiscono le terre? – | | 65 | | – È qua che si spartiscono le terre? – |
70 | | Nocio Pigna, mezzo imbalordito per tutto quel mistero, restò a guardarlo un pezzo di traverso, a bocca aperta. | | 66 | | Nocio Pigna, mezzo imbalordito per tutto quel mistero, restò a guardarlo un pezzo di traverso, a bocca aperta. | | 66 | | Nocio Pigna, mezzo imbalordito per tutto quel mistero, restò a guardarlo un pezzo di traverso, a bocca aperta. |
71 | | – Le terre? – disse. – Le terre, no, figlio mio. – | | 67 | | – Le terre? – disse. – Le terre, no, figlio mio. – | | 67 | | – Le terre? – disse. – Le terre, no, figlio mio. – |
72 | | Quegli allora alzò il mento e chiuse gli occhi, per un cenno d'intesa. Sospirò: | | 68 | | Quegli allora alzò il mento e chiuse gli occhi, per un cenno d'intesa. Sospirò: | | 68 | | Quegli allora alzò il mento e chiuse gli occhi, per un cenno d'intesa. Sospirò: |
73 | | – Ho inteso. Mi pareva assai! Mi hanno burlato. – | | 69 | | – Ho capito. Mi pareva assai! Mi hanno burlato. – | | 69 | | – Ho capito. Mi pareva assai! Mi hanno burlato. – |
74 | | E si mosse per andar via. Nocio Pigna lo trattenne. | | 70 | | E si mosse per andar via. Nocio Pigna lo trattenne. | | 70 | | E si mosse per andar via. Nocio Pigna lo trattenne. |
75 | | – Perché burlato? No, figlio mio... Senti... | | 71 | | – Perché burlato? No, figlio mio... Senti... | | 71 | | – Perché burlato? No, figlio mio... Senti... |
76 | | – Mi scusi Voscenza, – disse quegli, fermandosi per farsi dar passo. – È inutile. Ho capito. Mi lasci andare... | | 72 | | – Mi scusi Voscenza, – disse quegli, fermandosi per farsi dar passo. – È inutile. Ho capito. Mi lasci andare... | | 72 | | – Mi scusi Voscenza, – disse quegli, fermandosi per farsi dar passo. – È inutile. Ho capito. Mi lasci andare... |
77 | | – E aspetta, caro mio, se non mi dài tempo di spiegarmi... – s'affrettò a soggiungere il Pigna. – Le terre, sissignore, verranno pure quelle... Basta volere! Se noi vogliamo... Sta tutto qui! – | | 73 | | – E aspetta, caro mio, se non mi dai tempo di spiegarmi... – s'affrettò a soggiungere il Pigna. – Le terre, sissignore, verranno pure quelle... Basta volere! Se noi vogliamo... Sta tutto qui! – | | 73 | | – E aspetta, caro mio, se non mi dài il tempo di spiegarmi... – s'affrettò a soggiungere il Pigna. – Le terre, sissignore, verranno anche quelle... Basta volere! Se noi vogliamo... Sta tutto qui! – |
78 | | Quegli seguitò a scuotere il capo con amara e cupa incredulità; poi disse: | | 74 | | Quegli seguitò a scuotere il capo con amara e cupa incredulità; poi disse: | | 74 | | Quegli seguitò a scuotere il capo con amara e cupa incredulità; poi disse: |
79 | | – Ma che dobbiamo volere, noi poveretti? che possiamo volere? – | | 75 | | – Ma che dobbiamo volere, noi poveretti? che possiamo volere? – | | 75 | | – Ma che dobbiamo volere, noi poveretti? che possiamo volere? – |
80 | | Pigna si scrollò, urtato: | | 76 | | Pigna si scrollò, urtato: | | 76 | | Pigna si scrollò, urtato: |
81 | | – E allora, scusa, tie', ti do le terre, è vero? Prima di tutto dev'esserci la volontà, in te e in tutti, senza paura, capisci? Non c'è bisogno di guerra, mettiti bene in mente questo! Noi vogliamo anzi cantare inni di pace, caro mio. Il Fascio è come una chiesa! E chi entra nel Fascio... | | 77 | | – E allora, scusa, tie', ti do le terre, è vero? Prima di tutto dev'esserci la volontà, in te e in tutti, senza paura, capisci? Non c'è bisogno di guerra, mettiti bene in mente questo! Noi vogliamo anzi cantare inni di pace, caro mio. Il Fascio è come una chiesa! E chi entra nel Fascio... | | 77 | | – E allora, scusa, tie', ti do le terre, è vero? Prima di tutto dev'esserci la volontà, in te e in tutti, senza paura, capisci? Non c'è bisogno di guerra, mettiti bene in mente questo! Noi vogliamo anzi cantare inni di pace, caro mio. Il Fascio è come una chiesa! E chi entra nel Fascio... |
82 | | – Voscenza mi lasci andare... | | 78 | | – Voscenza mi lasci andare... | | 78 | | – Voscenza mi lasci andare... |
83 | | – Aspetta, ti voglio dir questo soltanto: chi entra nel Fascio, entra a far parte d'una corporazione che abbraccia, puoi calcolare, i quattro quinti dell'umanità, capisci? i quattro quinti, non ti dico altro. – | | 79 | | – Aspetta, ti voglio dir questo soltanto: chi entra nel Fascio, entra a far parte d'una corporazione che abbraccia, puoi calcolare, i quattro quinti dell'umanità, capisci? i quattro quinti, non ti dico altro. – | | 79 | | – Aspetta, ti voglio dir questo soltanto: chi entra nel Fascio, entra a far parte d'una corporazione che abbraccia, puoi calcolare, i quattro quinti dell'umanità, capisci? i quattro quinti, non ti dico altro. – |
84 | | E agitò innanzi a quegli occhi le quattro dita d'una mano: poi riprese: | | 80 | | E agitò innanzi a quegli occhi le quattro dita d'una mano: poi riprese: | | 80 | | E agitò innanzi a quegli occhi le quattro dita d'una mano: poi riprese: |
85 | | – Unione, corpo di Dio, e siamo tutto, possiamo tutto! La legge la detteremo noi: debbono per forza venire a patti con noi. Chi lavora? chi zappa? chi semina? chi miete? O date tanto, o niente! Questo per il momento. Il nostro programma... Vieni, ti spiego tutto… | | 81 | | – Unione, corpo di Dio, e siamo tutto, possiamo tutto! La legge la detteremo noi: debbono per forza venire a patti con noi. Chi lavora? chi zappa? chi semina? chi miete? O date tanto, o niente! Questo per il momento. Il nostro programma... Vieni, ti spiego tutto… | | 81 | | – Unione, corpo di Dio, e siamo tutto, possiamo tutto! La legge la detteremo noi: debbono per forza venire a patti con noi. Chi lavora? chi zappa? chi semina? chi miete? O date tanto, o niente! Questo per il momento. Il nostro programma... Vieni, ti spiego tutto… |
86 | | – Voscenza mi lasci andare... Non è per me... | | 82 | | – Voscenza mi lasci andare... Non è per me... | | 82 | | – Voscenza mi lasci andare... Non è per me... |
87 | | – Come non è per te, ? se si tratta proprio di te, della tua vita, del tuo diritto? Pensaci, figlio! Guarda: il Fascio è qui. Mi trovi sempre. | | 83 | | – Come non è per te, pezzo d'asino? se si tratta proprio di te, della tua vita, del tuo diritto? Pensaci, figlio! Guarda: il Fascio è qua. Mi trovi sempre. | | 83 | | – Come non è per te, pezzo d'asino? se si tratta proprio di te, della tua vita, del tuo diritto? Pensaci, figlio! Guarda: il Fascio è qua. Mi trovi sempre. |
88 | | – Sissignore, bacio le mani... Per carità, come se non le avessi detto niente... – | | 84 | | – Sissignore, bacio le mani... Per carità, come se non le avessi detto niente... – | | 84 | | – Sissignore, bacio le mani... Per carità, come se non le avessi detto niente... – |
89 | | E, voltate le spalle, se n'andò randa randa, guardingo. Nocio Pigna lo seguí un pezzo con gli occhi, scrollando il capo III | | 85 | | E, voltate le spalle, se n'andò randa randa, guardingo. Nocio Pigna lo seguí un pezzo con gli occhi, scrollando il capo La bambola baffuta | | 85 | | E, voltate le spalle, se n'andò randa randa, guardingo. Nocio Pigna lo seguí per un pezzo con gli occhi, scrollando il capo. |
90 | | | | 86 | | | | 86 | | |
91 | | Trambusto, a casa, piú del solito. Si progrediva notevolmente, di giorno in giorno, verso la rivoluzione . C'erano – e s'indovinava subito fin dalla strada – i cinque studenti, già condiscepoli di Celsina. c'era anche, ma ingrugnato e tutto aggruppato in un angolo, Antonio Del Re, il nipote di donna Caterina Laurentano e di Roberto Auriti. parlavano tutti insieme a voce alta. il gigante, cioè Emanuele Garofalo, e quel piccolo Micciché che friggeva in ogni membro e scattava e schizzava come un saltamartino, e il racalmutese atticciato e violento Bernardo Raddusa gridavano, non si capiva bene che cosa, attorno a sua figlia Mita, la maggiore delle sei rimaste in casa, quella che lavorava più di tutte insieme con Annicchia, ch'era la terza. e attorno a questa strillavano le sorelle Tina e Lilla con Totò Licalsi e Rocco Ventura; Rita cercava di quietare il bimbo che piangeva, spaventato; Celsina, accesa di stizza, litigava con Antonio Del Re; e, come se tutto quel badanai fosse poco, 'Nzulu, il vecchio barbone nero baffuto e mezzo cieco, acculato su una seggiola, levando alto il muso, si esercitava in lunghi e modulati guaiti di protesta. | | 87 | | Trambusto, a casa, piú del solito. Si progrediva notevolmente, di giorno in giorno, verso la rivoluzione sociale. C'erano – e s'indovinava subito fin dalla strada – i cinque studenti, già condiscepoli di Celsina. C'era anche, ma ingrugnato e tutto aggruppato in un angolo, Antonio Del Re, il nipote di donna Caterina Laurentano e di Roberto Auriti. Parlavano tutti insieme a voce alta. Il gigante, cioè Emanuele Garofalo, e quel piccolo Micciché che friggeva in ogni membro e scattava e schizzava come un saltamartino, e il racalmutese atticciato e violento Bernardo Raddusa gridavano, non si capiva bene che cosa, attorno a sua figlia Mita, la maggiore delle sei rimaste in casa, quella che lavorava tutto il giorno e talvolta anche la notte insieme con Annicchia, ch'era la terza. Attorno a questa strillavano le sorelle Titta e Lilla con Totò Licalsi e Rocco Ventura; Rita cercava di quietare il bimbo che piangeva, spaventato; Celsina, accesa di stizza, litigava con Antonio Del Re; e, come se tutto quel badanai fosse poco, 'Nzulu, il vecchio barbone nero baffuto e mezzo cieco, acculato su una seggiola, levando alto il muso, si esercitava in lunghi e modulati guaiti di protesta. | | 87 | | Trambusto, a casa, piú del solito. Si progrediva notevolmente, di giorno in giorno, verso la rivoluzione sociale. C'erano – e s'indovinava subito fin dalla strada – i cinque studenti, già condiscepoli di Celsina. C'era anche, ma ingrugnato e tutto aggruppato in un angolo, Antonio Del Re, il nipote di donna Caterina Laurentano e di Roberto Auriti. Parlavano tutti insieme a voce alta. Il gigante, cioè Emanuele Garofalo, e quel piccolo Micciché che friggeva in ogni membro e scattava e schizzava come un saltamartino, e il recalmutese atticciato e violento Bernardo Raddusa gridavano, non si capiva bene che cosa, attorno a sua figlia Mita, la maggiore delle sei rimaste in casa, quella che lavorava tutto il giorno e talvolta anche la notte insieme con Annicchia, ch'era la terza. Attorno a questa strillavano le sorelle Tina e Lilla con Totò Licasi e Rocco Ventura; Rita cercava di quietare il bimbo che piangeva, spaventato; Celsina, accesa di stizza, litigava con Antonio Del Re; e, come se tutto quel badanai fosse poco, 'Nzulu, il vecchio barbone nero baffuto e mezzo cieco, acculato su una seggiola, levando alto il muso, si esercitava in lunghi e modulati guaiti di protesta. |
92 | | Luca Lizio, appartato, si teneva il capo con tutt'e due le mani, quasi per paura che quegli strilli glielo portassero via. | | 88 | | Luca Lizio, appartato, si teneva il capo con tutt'e due le mani, quasi per paura che quegli strilli glielo portassero via. | | 88 | | Luca Lizio, appartato, si teneva il capo con tutt'e due le mani, quasi per paura che quegli strilli glielo portassero via. |
93 | | – Signori miei, che cos'è? dove siamo? – gridò Nocio Pigna, entrando. | | 89 | | – Signori miei, che cos'è? dove siamo? – gridò Nocio Pigna, entrando. | | 89 | | – Signori miei, che cos'è? dove siamo? – gridò Nocio Pigna, entrando. |
94 | | Tutti si voltarono, gli corsero incontro e, accalorati, presero a rispondergli a coro. Nocio Pigna si turò gli orecchi. | | 90 | | Tutti si voltarono, gli corsero incontro e, accalorati, presero a rispondergli a coro. Nocio Pigna si turò gli orecchi. | | 90 | | Tutti si voltarono, gli corsero incontro e, accalorati, presero a rispondergli a coro. Nocio Pigna si turò gli orecchi. |
95 | | – Piano! Mi stordite! Parli uno! | | 91 | | – Piano! Mi stordite! Parli uno! | | 91 | | – Piano! Mi stordite! Parli uno! |
96 | | – Mita e Annicchia, al solito! – strillò Tina. | | 92 | | – Mita e Annicchia, al solito! – strillò Tina. | | 92 | | – Mita e Annicchia, al solito! – strillò Tina. |
97 | | – Smorfie! – aggiunse Lilla. | | 93 | | – Smorfie! – aggiunse Lilla. | | 93 | | – Smorfie! – aggiunse Lilla. |
98 | | Ed Emanuele Garofalo, il gigante, scotendo le braccia levate, con voce da cannone: | | 94 | | Ed Emanuele Garofalo, il gigante, scotendo le braccia levate, con voce da cannone: | | 94 | | Ed Emanuele Garofalo, il gigante, scotendo le braccia levate, con voce da cannone: |
99 | | – Tutti giù! tutti giù! | | 95 | | – Tutti giù! tutti giù! | | 95 | | – Tutti giù! tutti giù! |
100 | | – S'imponga l'autorità paterna! – saltò a dire Mondino Micciché, facendo il mulinello in aria col bastoncino. | | 96 | | – S'imponga l'autorità paterna! – saltò a dire Mondino Micciché, facendo il mulinello in aria col bastoncino. | | 96 | | – S'imponga l'autorità paterna! – saltò a dire Mondino Micciché, facendo il mulinello in aria col bastoncino. |
101 | | – Non capisco nulla! Zitti! – urlò Nocio Pigna. | | 97 | | – Non capisco nulla! Zitti! – urlò Nocio Pigna. | | 97 | | – Non capisco nulla! Zitti! – urlò Nocio Pigna. |
102 | | Tacquero tutti; ma subito, nel silenzio sopravvenuto, sonò un: «Mammalucco!» rivolto da Celsina ad Antonio Del Re con tale espressione di rabbia concentrata, che le risa si levarono fragorose. | | 98 | | Tacquero tutti; ma subito, nel silenzio sopravvenuto, sonò un: «Mammalucco!» rivolto da Celsina ad Antonio Del Re con tale espressione di rabbia concentrata, che le risa si levarono fragorose. | | 98 | | Tacquero tutti; ma subito, nel silenzio sopravvenuto, sonò un: «Mammalucco!» rivolto da Celsina ad Antonio Del Re con tale espressione di rabbia concentrata, che le risa si levarono fragorose. |
103 | | Celsina si fece innanzi, snella su i fianchi procaci, col seno colmo in sussulto, il bruno volto in fiamme e gli occhi sfavillanti. In mezzo a tutte quelle risa, l'espressione di fierissima stizza accennò in un baleno di scomporsi, le labbra di fuoco le si atteggiarono per un momento a un riso involontario, ma subito ella si riprese e gridò imperiosamente e con sprezzo: | | 99 | | Celsina si fece innanzi, snella su i fianchi procaci, col seno colmo in sussulto, il bruno volto in fiamme e gli occhi sfavillanti. In mezzo a tutte quelle risa, l'espressione di fierissima stizza accennò in un baleno di scomporsi, le labbra di fuoco le si atteggiarono per un momento a un riso involontario, ma subito ella si riprese e gridò imperiosamente e con sprezzo: | | 99 | | Celsina si fece avanti, snella su i fianchi procaci, col seno colmo in sussulto, il bruno volto in fiamme e gli occhi sfavillanti. In mezzo a tutte quelle risa, l'espressione di fierissima st |