| | 1909 Rassegna contemporanea I.3 | | | | 1913 Treves I.3 | | | | 1931 Mondadori I.3 |
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1 | | CAPITOLO TERZO | | 1 | | CAPITOLO TERZO | | 1 | | CAPITOLO TERZO |
2 | | I – Di qua, di qua, mi segua, – disse al signore che gli veniva dietro inappuntabilmente abbigliato il vecchio cameriere sbarbato e calvo dalle piote sbieche in fuori, che lo facevano andare in qua e in là con le gambe piegate su i ginocchi, quasi cempennante | | 2 | | Neanche polvere, niente – Di qua, di qua, mi segua, – disse al signore che gli veniva dietro il vecchio cameriere dalle piote sbieche in fuori, che lo facevano andare in qua e in là con le gambe piegate e quasi cempennante | | 2 | | – Di qua, di qua, mi segua, – disse al signore che gli veniva dietro il vecchio cameriere dalle piote sbieche in fuori, che lo facevano andare in qua e in là con le gambe piegate. |
3 | | Attraversarono su i soffici tappeti tre stanze in fila, in ognuna delle quali il cameriere, passando, apriva gli scuri delle finestre . Le stanze tuttavia rimanevano in penombra, sia per la pesantezza dei drappi che coprivano le finestre sia per la bassezza della casa sovrastata dagli edifìzii dicontro che paravano. Aperti gli scuri, il cameriere guardava la stanza e sospirava, come per dire: "Vede com'è arredata bene? E intanto non figura L'ho fatto sempre notare al mio padrone" | | 3 | | Attraversarono su i soffici tappeti tre stanze in fila, in ognuna delle quali il cameriere, passando, apriva gli scuri dei finestroni . Le stanze tuttavia rimanevano in penombra, sia per la pesantezza dei drappi, sia per la bassezza della casa sovrastata dagli edifizii di contro che paravano. Aperti gli scuri, il cameriere guardava la stanza e sospirava, come per dire: "Vede com'è arredata bene? Intanto non figura!" | | 3 | | Attraversarono su i soffici tappeti polverosi tre stanze morte in fila, in ognuna delle quali il cameriere, passando, apriva gli scuri dei vecchi finestroni tinti di verde. Le stanze tuttavia rimanevano in un'angustiosa penombra, sia per la pesantezza dei drappi, sia per la bassezza della casa sovrastata dagli edifizii di contro che paravano. Aperti gli scuri, il cameriere guardava la stanza e sospirava, come per dire: "Vede com'è arredata bene? E intanto non figura!" |
4 | | Pervennero così al salone in fondo, , dal palco scompartito, in rilievo, ornato di dorature. | | 4 | | Pervennero così al salone in fondo, , dal palco scompartito, in rilievo, ornato di dorature. | | 4 | | Pervennero così al salone in fondo, lugubre e solenne, dal palco scompartito, in rilievo, ornato di dorature. |
5 | | e riccamente addobbato, ma di mobilia d'antica foggia. | | 5 | | Il | | 5 | | Il |
6 | | – S'accomodi, – disse al signore il vecchio compitissimo. – Chi debbo annunziare? | | | | signore | | | | signore |
7 | | Quegli trasse da un elegante portafogli un biglietto da visita stemmato, ne piegò un lembo e lo porse al cameriere domandando: | | | | trasse da un elegante portafogli un biglietto da visita stemmato, ne piegò un lembo e lo porse al cameriere, | | | | trasse da un elegante portafogli un biglietto da visita stemmato, ne piegò un lembo e lo porse al cameriere, |
8 | | – È libero il signor Canonico? | | | | il quale, indicando un uscio nel salone, disse: | | | | il quale, indicando un uscio nel salone, disse: |
9 | | – Monsignore, dice? Sì, tra poco. C'è di là e il cameriere indicò un uscio nel salotto) il cavalier Préola Sta per andarsene. | | 6 | | – Un momentino. C'è di là il cavalier Préola. | | 6 | | – Un momentino. C'è di là il cavalier Préola. |
10 | | A quel nome il signore arricciò il naso | | | | | | | | |
11 | | – Prèola padre? | | 7 | | – Prèola padre? | | 7 | | – Prèola padre? |
12 | | – Prèola figlio. | | 8 | | – Figlio. | | 8 | | – Figlio. |
13 | | – E cavaliere per giunta? | | 9 | | – E cavaliere per giunta? | | 9 | | – E cavaliere per giunta? |
14 | | – Per me, – protestò il vecchio inchinandosi profondamente con una mano sul petto, – tutti i padroni miei, cavalieri! – | | 10 | | – Per me, – protestò il vecchio inchinandosi profondamente con la mano al petto, – tutti i padroni miei, cavalieri! – | | 10 | | – Per me, – protestò il vecchio inchinandosi profondamente con la mano al petto, – tutti i padroni miei, cavalieri! – |
15 | | E, andandosene su i piedi sbiechi, lesse sottecchi, sul biglietto da visita: Il cav. Gian Battista Mattina. | | 11 | | E, andandosene su i piedi sbiechi, lesse sottecchi, sul biglietto da visita: Cav. Gian Battista Mattina. | | 11 | | E, andandosene su i piedi sbiechi, lesse sottecchi, sul biglietto da visita: Cav. Gian Battista Mattina. |
16 | | – (Costui, – dunque, – cavaliere autentico, pare). | | 12 | | – (Costui, – dunque, – cavaliere autentico, pare). | | 12 | | – (Costui, – dunque, – cavaliere autentico, pare). |
17 | | Il Mattina rimase in piedi, cogitabondo in mezzo al salone; poi scrollò le spalle, seccato; volse uno sguardo distratto intorno; vide uno specchio alla parete di fronte e vi s'appressò. In quel vasto specchio, dalla luce squallida, quasi tetra, la propria immagine gli apparve come uno spettro; ed egli ne provò un momentaneo turbamento indefinito. | | 13 | | Il Mattina rimase in piedi, cogitabondo in mezzo al salone; poi scrollò le spalle, seccato; volse uno sguardo distratto in giro; vide uno specchio alla parete di fronte e vi s'appressò. In quel vasto specchio, dalla luce tetra, la propria immagine gli apparve come uno spettro; e ne provò un momentaneo turbamento indefinito. | | 13 | | Il Mattina rimase in piedi, cogitabondo in mezzo al salone; poi scrollò le spalle, seccato; volse uno sguardo distratto in giro; vide uno specchio alla parete di fronte e vi s'appressò. In quel vasto specchio, dalla luce tetra, la propria immagine gli apparve come uno spettro; e ne provò un momentaneo turbamento indefinito. |
18 | | Spirava da tutti i mobili, dal tappeto, dalle tende, quel tanfo speciale delle cose antiche, appassite nell'abbandono. quasi il respiro d'un altro tempo. Il Mattina si guardò di nuovo attorno con una strana costernazione per la immobilità silenziosa di quei vecchi oggetti, chi sa da quant anni lì senz'uso, senza vita. Si accostò di più allo specchio per scrutarsi davvicino, movendo pian piano la testa, stirandosi fin sotto gli occhi stanchi profondamente cerchiati le punte dei folti baffi conservati neri da una mistura, in contrasto coi capelli precocemente grigi che conferivano cotal serietà al suo volto bruno. A un tratto, un lunghissimo sbadiglio gli fece spalancare e storcere la bocca, e all'emissione del fiato egli contrasse il volto in un'espressione di nausea e di tedio. Stava per scostarsi dallo specchio, quando sul piano della mensola, chinando gli occhi, scorse qua e là tanti bei mucchietti di tarlatura disposti quasi con arte, e si chinò a mirarli con curiosità. Come avevan lavorato bene quelle tarme, E pareva che nessuno tenesse in debito conto la loro fatica... Eppure, il frutto, eccolo là, bene in vista, che diceva: "Questo è fatto. Portate via!". Stese una mano a uno di quei mucchietti, ne prese un pizzico e strofinò le dita. Niente! Neanche polvere... E, guardandosi i polpastrelli dell'indice e del pollice, andò a sedere su una comoda poltrona accanto al canapè. Seduto, la scosse un po', come per accertarsi della solidità. | | 14 | | Spirava da tutti i mobili, dal tappeto, dalle tende, quel tanfo speciale delle cose antiche, appassite nell'abbandono. quasi il respiro d'un altro tempo. Il Mattina si guardò di nuovo attorno con una strana costernazione per la immobilità silenziosa di quei vecchi oggetti, chi sa da quanti anni lì senz'uso, senza vita. Si accostò di più allo specchio per scrutarsi davvicino, movendo pian piano la testa, stirandosi fin sotto gli occhi stanchi profondamente cerchiati le punte dei folti baffi conservati neri da una mistura, in contrasto coi capelli precocemente grigi che conferivano cotal serietà al suo volto bruno. A un tratto, un lunghissimo sbadiglio gli fece spalancare e storcere la bocca, e all'emissione del fiato contrasse il volto in un'espressione di nausea e di tedio. Stava per scostarsi dallo specchio, allorché sul piano della mensola, chinando gli occhi, scorse qua e là tanti bei mucchietti di tarlatura disposti quasi con arte, e si chinò a mirarli con curiosità. Avevano lavorato bene quelle tarme, E nessuno intanto pareva tenesse in debito conto la lor fatica... Eppure, il frutto, eccolo là, bene in vista, che diceva: "Questo è fatto. Portate via!". Stese una mano a uno di quei mucchietti, ne prese un pizzico e strofinò le dita. Niente! Neanche polvere... E, guardandosi i polpastrelli dell'indice e del pollice, andò a sedere su una comoda poltrona accanto al canapè. Seduto, la scosse un po', come per accertarsi della solidità. | | 14 | | Spirava da tutti i mobili, dal tappeto, dalle tende, quel tanfo speciale delle case antiche, d'una vita appassita nell'abbandono. Quasi il respiro d'un altro tempo. Il Mattina si guardò di nuovo attorno con una strana costernazione per la immobilità silenziosa di quei vecchi oggetti, chi sa da quanti anni lì senz'uso, e si accostò di più allo specchio per scrutarsi davvicino, movendo pian piano la testa, stirandosi fin sotto gli occhi stanchi le punte dei folti baffi conservati neri da una mistura, in contrasto coi capelli precocemente grigi che conferivano cotal serietà al suo volto bruno. A un tratto, un lunghissimo sbadiglio gli fece spalancare e storcere la bocca, e all'emissione del fiato fradicio contrasse il volto in un'espressione di nausea e di tedio. Stava per scostarsi dallo specchio, allorché sul piano della mensola, chinando gli occhi, scorse qua e là tanti bei mucchietti di tarlatura disposti quasi con arte, e si chinò a mirarli con curiosità. Avevano lavorato bene quelle tarme, e nessuno intanto pareva tenesse in debito conto la lor fatica... Eppure, il frutto, eccolo là, bene in vista, che diceva: "Questo è fatto. Portate via!". Stese una mano a uno di quei mucchietti, ne prese un pizzico e strofinò le dita. Niente! Neanche polvere... E, guardandosi i polpastrelli dell'indice e del pollice, andò a sedere su una comoda poltrona accanto al canapè. Seduto, la scosse un po', come per accertarsi della solidità. |
19 | | – Neanche polvere... Niente! – | | 15 | | – Neanche polvere... Niente! – | | 15 | | – Neanche polvere... Niente! – |
20 | | Con una smorfia, trasse dal tavolinetto tondo innanzi al canapè un album, in capo al quale era il ritratto del canonico Agrò. | | 16 | | Con una smorfia, trasse dal tavolinetto tondo innanzi al canapè un album, in capo al quale era il ritratto del padrone di casa, il canonico Agrò. | | 16 | | Con una smorfia, trasse dal tavolinetto tondo innanzi al canapè un album, in capo al quale era il ritratto del padrone di casa, il canonico Agrò. |
21 | | Era sempre parso al Mattina che Pompeo Agrò avesse una strana somiglianza con un uccellaccio, di cui non rammentava il nome. Certo il naso, largo alla base, acuminato in punta, s'allungava in quel volto come un becco. Era però negli occhietti grigi, vivi, sotto la fronte alta e angusta, tutta la malizia astuta, sottile e tenace, di cui l'Agrò godeva fama. | | 17 | | Era sempre parso al Mattina che il canonico Pompeo Agrò avesse una strana somiglianza con un uccellaccio, di cui non rammentava il nome. Certo il naso, largo alla base, acuminato in punta, s'allungava in quel volto come un becco. Era però negli occhietti grigi, vivi, sotto la fronte alta e angusta, tutta la malizia astuta, sottile e tenace, di cui l'Agrò godeva fama. | | 17 | | Era sempre parso al Mattina che il canonico Pompeo Agrò avesse una strana somiglianza con un uccellaccio, di cui non rammentava il nome. Certo il naso, largo alla base, acuminato in punta, s'allungava in quel volto come un becco. Era però negli occhietti grigi, vivi, sotto la fronte alta e angusta, tutta la malizia astuta, sottile e tenace, di cui l'Agrò godeva fama. |
22 | | Il Mattina esaminò quella fisonomìa, come se nei tratti di essa volesse scorgere il motivo dell'invito ricevuto la sera avanti. Che diamine poteva voler da lui l'Agrò? Il dissidio di questo canonico gran signore col partito clericale, dissidio che suscitava tanto scandalo in paese, era proprio proprio vero, o non piuttosto una finzione un atteggiamento , insidioso, per tradir la buona fede dell'Auriti, penetrar nel campo avversario e sorprenderne le mosse? Eh, a fidarsi d'una volpe... Quel colloquio segreto col Prèola... Fosse tutto un tranello? | | 18 | | Il Mattina esaminò quel viso, come se nei tratti di esso volesse scorgere la cagione dell'invito ricevuto la sera avanti. Che diamine poteva voler da lui l'Agrò? Il dissidio di questo canonico gran signore col partito clericale, dissidio che suscitava tanto scandalo in paese, era proprio proprio vero, o non piuttosto un atteggiamento concertato, insidioso, per tradir la buona fede dell'Auriti, penetrar nel campo avversario e sorprenderne le mosse? Eh, a fidarsi d'una volpe... Quel colloquio segreto col Prèola... Fosse tutto un tranello? | | 18 | | Il Mattina esaminò quel viso, come se nei tratti di esso volesse scorgere la ragione dell'invito ricevuto la sera avanti. Che diamine poteva voler da lui l'Agrò? Il dissidio di questo canonico gran signore col partito clericale, dissidio che suscitava tanto scandalo in paese, era proprio proprio vero, o non piuttosto un atteggiamento concertato, insidioso, per tradir la buona fede dell'Auriti, penetrar nel campo avversario e sorprenderne le mosse? Eh, a fidarsi d'una volpe... Quel colloquio segreto col Prèola... Fosse tutto un tranello? |
23 | | Alzò gli occhi, volse ancora una volta lo sguardo attorno e di nuovo dall'immobilità silenziosa di quei vecchi oggetti senz'uso e senza vita si sentì turbato, quasi che essi, per averne egli scoperto le magagne, lo spiassero ora più ostili. | | 19 | | Alzò gli occhi, volse di nuovo lo sguardo attorno e di nuovo dall'immobilità silenziosa di quei vecchi oggetti senz'uso e senza vita si sentì turbato, quasi che essi, per averne egli scoperto le magagne, lo spiassero ora più ostili. | | 19 | | Alzò gli occhi, volse di nuovo lo sguardo attorno e di nuovo dall'immobilità silenziosa di quei vecchi oggetti senz'uso e senza vita si sentì turbato, quasi che essi, per averne egli scoperto le magagne, lo spiassero ora più ostili. |
24 | | Udì per le tre stanze in fila la voce del vecchio cameriere, che ripeteva: | | 20 | | Udì per le tre stanze in fila la voce del vecchio cameriere, che ripeteva: | | 20 | | Udì per le tre stanze in fila la voce del vecchio cameriere, che ripeteva: |
25 | | – Di qua, di qua, mi segua. – | | 21 | | – Di qua, di qua, mi segua. – | | 21 | | – Di qua, di qua, mi segua. – |
26 | | Posò l'album e guardò in direzione dell'uscio. | | 22 | | Posò l'album e guardò in direzione dell'uscio. | | 22 | | Posò l'album e guardò in direzione dell'uscio. |
27 | | – Oh! Verònica... | | 23 | | – Oh! Verònica... | | 23 | | – Oh! Verònica... |
28 | | – Caro Titta, – rispose Guido Verònica, arrestandosi in mezzo al salone. | | 24 | | – Caro Titta, – rispose Guido Verònica, arrestandosi in mezzo al salone. | | 24 | | – Caro Titta, – rispose Guido Verònica, fermandosi in mezzo al salone. |
29 | | Si tolse le lenti per pulirle col fazzoletto pronto nell'altra mano; strizzò gli occhi ovati fortemente miopi, e con l'indice e il pollice della mano tozza carnuta si stropicciò il naso maltrattato dal continuo pinzar delle lenti; poi si appressò per sedere su la poltrona di fronte al Mattina; ma questi, alzandosi, lo prese sotto il braccio e gli disse piano: | | 25 | | Si tolse le lenti per pulirle col fazzoletto pronto nell'altra mano; strizzò gli occhi ovati fortemente miopi, e con l'indice e il pollice della mano tozza si stropicciò il naso maltrattato dal continuo pinzar delle lenti; poi si appressò per sedere su la poltrona di fronte al Mattina; ma questi, alzandosi, lo prese sotto il braccio e gli disse piano: | | 25 | | Si tolse le lenti per pulirle col fazzoletto pronto nell'altra mano; strizzò gli occhi fortemente miopi, e con l'indice e il pollice della mano tozza si stropicciò il naso maltrattato dal continuo pinzar delle lenti; poi si appressò per sedere su la poltrona di fronte al Mattina; ma questi, alzandosi, lo prese sotto il braccio e gli disse piano: |
30 | | – Aspetta, ti voglio far vedere... – | | 26 | | – Aspetta, ti voglio far vedere... – | | 26 | | – Aspetta, ti voglio far vedere... – |
31 | | Lo condusse innanzi alla mensola per mostrargli tutti quei mucchietti di polviglio. | | 27 | | E lo condusse innanzi alla mensola per mostrargli tutti quei mucchietti di polviglio. | | 27 | | E lo condusse innanzi alla mensola per mostrargli tutti quei mucchietti di polviglio. |
32 | | Il Verònica, non comprendendo che cosa dovesse guardare, miope com'era, si chinò fin quasi a toccar col naso il piano della mensola. | | 28 | | Il Verònica, non comprendendo che cosa dovesse guardare, miope com'era, si chinò sin quasi a toccar col naso il piano della mensola. | | 28 | | Il Verònica, non comprendendo che cosa dovesse guardare, miope com'era, si chinò fin quasi a toccar col naso il piano della mensola. |
33 | | – Tarli? – disse poi, ma senza farci caso, anzi guardando freddamente il Mattina, come per domandargli perché glieli avesse mostrati: e andò a sedere su la poltrona. | | 29 | | – Tarli? – disse poi, ma senza farci caso, anzi guardando freddamente il Mattina, come per domandargli perché glieli avesse mostrati: e andò a seder su la poltrona. | | 29 | | – Tarli? – disse poi, ma senza farci caso, anzi guardando freddamente il Mattina, come per domandargli perché glieli avesse mostrati: e andò a sedere su la poltrona. |
34 | | – Tu quoque? – domandò allora il Mattina, rimasto male e volendo dissimular la stizza Come va | | 30 | | – Tu quoque? – domandò allora il Mattina, rimasto male e volendo dissimular la stizza Come va | | 30 | | – Tu quoque? – domandò allora il Mattina, rimasto male e volendo dissimular la stizza. |
35 | | – Non so di che si tratti, – gli rispose il Verònica con l'aria di chi voglia nascondere un segreto. | | 31 | | – Non so di che si tratti, – gli rispose il Verònica con l'aria di chi voglia nascondere un segreto. | | 31 | | – Non so di che si tratti, – gli rispose il Verònica con l'aria di chi voglia nascondere un segreto. |
36 | | – Oh, neanch'io, – s'affrettò a soggiungere il Mattina con indifferenza. – ... – | | 32 | | – Oh, neanch'io, – s'affrettò a soggiungere il Mattina con indifferenza. – ... – | | 32 | | – Neanch'io, – s'affrettò a soggiungere il Mattina con indifferenza. – Ho ricevuto un invito... – |
37 | | E posò gli occhi senza sguardo su la fronte del Verònica sconciata da tre lunghi raffrigni in vario senso: ferite riportate in duello. | | 33 | | E posò gli occhi senza sguardo su la fronte del Verònica sconciata da tre lunghi raffrigni in vario senso: ferite riportate in duello. | | 33 | | E posò gli occhi senza sguardo su la fronte del Verònica sconciata da tre lunghi raffrigni in vario senso: ferite riportate in duello. |
38 | | – Torni da Roma? | | 34 | | – Torni da Roma? | | 34 | | – Torni da Roma? |
39 | | – No. Da Palermo. | | 35 | | – No. Da Palermo. | | 35 | | – No. Da Palermo. |
40 | | – E ti tratterrai molto? | | 36 | | – E ti tratterrai molto? | | 36 | | – E ti trattieni molto? |
41 | | – Non so. – | | 37 | | – Non so. – | | 37 | | – Non so. – |
42 | | Dimostrava chiaramente il Verònica con quelle secche risposte che voleva restar chiuso in sé, per non darsi importanza con ciò che – volendo – avrebbe potuto dire. Difatti il suo còmpito, adesso, era questo: mostrarsi seccato, anzi stanco e sfiduciato. Per sua disgrazia, egli – e tutti lo sapevano – aveva un ideale: la Patria, rappresentata, anzi incarnata tutta quanta nella persona d un vecchio glorioso statista, , battuto alcuni anni addietro in una tumultuosa seduta parlamentare, dopo una lotta piccina e sleale. Per questo ministro si'era cimentato in tanti e tanti duelli, riportandone quasi sempre la peggio; aveva respinto su i giornali con inaudita violenza di linguaggio le ingiurie degli oppositori. Ma ormai, caduto quel ministro, anche la patria era caduta la canaglia pigmea trionfava ; non era noja, la sua; era schifo di vivere ormai Non credeva minimamente che Roberto Auriti potesse riuscir vincitore, quantunque appoggiato dal Governo; ma il suo Vecchio venerato – che ancora intorno all'avvenire della patria s'illudeva come un fanciullo – gli aveva imposto di recarsi a Girgenti a sostenere nella lotta l'Auriti; sapeva che questi, più che per le pressioni del Governo, s'era piegato ad accettar la candidatura per la spinta del vecchio statista; ed eccolo a Girgenti. Tanto per non venir meno al dovere, rispondeva ora all'invito dell'Agrò, d'un canonico, lui che amava i preti quanto il fumo negli occhi. C'era; bisognava che s'adattasse. Però, non ostante la noncuranza e la poca fiducia con cui s'era lasciato andare a quella impresa elettorale, si sentiva alquanto stizzito ora nel vedersi messo alla pari con un Mattina qualunque, appajato con costui nella piccola congiura che il canonico pareva volesse ordire. | | 38 | | Dimostrava chiaramente il Verònica con quelle secche risposte che voleva restar chiuso in sé, per non darsi importanza con ciò che – volendo – avrebbe potuto dire. Difatti il suo compito, adesso, era questo: mostrarsi seccato, anzi stanco e sfiduciato. Per sua disgrazia, egli – e tutti lo sapevano – aveva un ideale: la Patria, rappresentata, anzi incarnata tutta quanta nella persona d un vecchio glorioso statista, , battuto alcuni anni addietro in una tumultuosa seduta parlamentare, dopo una lotta piccina e sleale. Per questo ministro si'era cimentato in tanti e tanti duelli, riportandone quasi sempre la peggio; aveva respinto su i giornali con inaudita violenza di linguaggio le ingiurie degli oppositori. Ma ormai, caduto quel ministro, anche la patria era caduta la canaglia pigmea trionfava ; non era noja, la sua; era schifo di vivere ormai Non credeva minimamente che Roberto Auriti potesse vincere, quantunque sostenuto dal Governo; ma il suo Vecchio venerato – che ancora intorno all'avvenire della patria s'illudeva come un fanciullo – gli aveva imposto di recarsi a Girgenti a combattere per l'Auriti; sapeva che questi, più che per le premure del Governo, s'era piegato ad accettare la lotta per la spinta del vecchio statista; ed eccolo a Girgenti. Tanto per non venir meno al dovere, rispondeva ora all'invito dell'Agrò, d'un canonico, lui che amava i preti quanto il fumo negli occhi. C'era; bisognava che s'adattasse. Non ostante però la sfiducia con cui s'era lasciato andare a quella impresa elettorale, si sentiva alquanto stizzito ora nel vedersi messo alla pari con un Mattina qualunque, appajato con costui nella piccola congiura che il canonico Agrò pareva volesse ordire. | | 38 | | Dimostrava chiaramente il Verònica con quelle secche risposte che voleva restar chiuso in sé, per non darsi importanza con ciò che – volendo – avrebbe potuto dire. Difatti il suo còmpito, adesso, era questo: mostrarsi seccato, anzi stanco e sfiduciato. Per sua disgrazia, egli – e tutti lo sapevano – aveva un ideale: la Patria, rappresentata, anzi incarnata tutta quanta nella persona di un vecchio glorioso statista, il Crispi, battuto alcuni anni addietro in una tumultuosa seduta parlamentare, dopo una lotta piccina e sleale. Per questo vecchio glorioso s'era cimentato in tanti e tanti duelli, riportandone quasi sempre la peggio; aveva respinto su i giornali con inaudita violenza di linguaggio le ingiurie degli oppositori. Ma ormai, caduto quel Vecchio, anche la patria per lui era caduta: trionfava la marmaglia; non era noja, la sua; era propriamente schifo di vivere. Non credeva affatto che Roberto Auriti potesse vincere, quantunque sostenuto dal Governo; ma quel suo Vecchio venerato – che ancora intorno all'avvenire della patria s'illudeva come un fanciullo – gli aveva imposto di recarsi a Girgenti a combattere per l'Auriti; sapeva che questi, più che per le premure del governo, s'era piegato ad accettare la lotta per la spinta del vecchio statista; ed eccolo a Girgenti. Tanto per non venir meno al dovere, rispondeva ora all'invito dell'Agrò, d'un canonico, lui che amava i preti quanto il fumo negli occhi. C'era; bisognava che s'adattasse. Non ostante però la sfiducia con cui s'era lasciato andare a quella impresa elettorale, si sentiva alquanto stizzito nel vedersi messo ora alla pari con un Mattina qualunque, appajato con costui nella piccola congiura che il canonico Agrò pareva volesse ordire. |
43 | | Il Mattina si mosse su la poltrona, sbuffando e prendendo un'altra positura. | | 39 | | Il Mattina si mosse su la poltrona, sbuffando e prendendo un'altra positura. | | 39 | | Il Mattina si mosse su la poltrona, sbuffando e prendendo un'altra positura. |
44 | | – Si fa aspettare disse.. | | 40 | | – Si fa aspettare disse.. | | 40 | | – Si fa aspettare... |
45 | | – Chi c'è di là? – domandò Guido Verònica, senz ombra d'impazienza. | | 41 | | – Chi c'è di là? – domandò Guido Verònica, senz ombra d'impazienza. | | 41 | | – Chi c'è di là? – domandò Guido Verònica, senza ombra d'impazienza. |
46 | | Il Mattina si protese e disse sottovoce: | | 42 | | Il Mattina si protese e disse sottovoce: | | 42 | | Il Mattina si protese e disse sottovoce: |
47 | | – Préola figlio, la lancia spezzata d'Ignazio Capolino. L'ho saputo dal cameriere. Che te ne pare? Domando e dico, che cosa stiamo a fare qua noi due? | | 43 | | – Préola figlio, la lancia spezzata d'Ignazio Capolino. L'ho saputo dal cameriere. Che te ne pare? Domando e dico, che cosa stiamo a fare qua noi due? | | 43 | | – Préola figlio, la lancia spezzata d'Ignazio Capolino. L'ho saputo dal cameriere. Che te ne pare? Domando e dico, che cosa ci stiamo a fare qua noi due? |
48 | | – Sentiremo... – sospirò il Verònica. | | 44 | | – Sentiremo... – sospirò il Verònica. | | 44 | | – Sentiremo... – sospirò il Verònica. |
49 | | – Non vorrei che... – | | 45 | | – Non vorrei che... – | | 45 | | – Non vorrei che... – |
50 | | Il Mattina s'interruppe, vedendo aprir l'uscio del salotto ed entrar, lungo e curvo su la sua magrezza, il canonico Agrò. | | 46 | | Il Mattina s'interruppe, vedendo aprir l'uscio ed entrare, lungo e curvo su la sua magrezza, il canonico Pompeo Agrò Io porto il gamellino | | 46 | | Il Mattina s'interruppe, vedendo aprir l'uscio ed entrare, lungo e curvo su la sua magrezza, il canonico Pompeo Agrò. |
51 | | il quale, facendo cenno ai due visitatori di rimaner seduti, disse con vocetta arguta e stridente: | | 47 | | Facendo cenno con ambo le mani ai due ospiti di rimaner seduti Pompeo Agrò disse con vocetta arguta e stridente: | | 47 | | Facendo cenno con ambo le mani ai due ospiti di rimaner seduti, disse con vocetta stridente: |
52 | | – Domando scusa... Stieno, stieno , prego. Caro Verònica; cavaliere carissimo. Qua, cavaliere, segga qua, accanto a me io, lo sa bene non ho paura de' suoi peccatacci di gioventù. | | 48 | | – Chiedo vènia... Stieno, stieno , prego. Caro Verònica; cavaliere esimio. Qua, cavaliere, segga qua, accanto a me io, sa bene non ho paura de' suoi peccatacci di gioventù. | | 48 | | – Chiedo vènia... Stieno, stieno seduti, prego. Caro Verònica; cavaliere esimio. Qua, cavaliere, segga qua, accanto a me; non ho paura de' suoi peccatacci di gioventù. |
53 | | – Sì, gioventù! – sorrise il Mattina, mostrando il capo tutto grigio. | | 49 | | – Sì, gioventù! – sorrise il Mattina, mostrando il capo grigio. | | 49 | | – Sì, gioventù! – sorrise il Mattina, mostrando il capo grigio. |
54 | | Il canonico trasse dal petto un vecchio orologino d'argento. | | 50 | | Il canonico trasse dal petto un vecchio orologino d'argento. | | 50 | | Il Canonico trasse dal petto un vecchio orologino d'argento. |
55 | | – Il pelo, eh, si cangia il pelo, Lei m'insegna, e non il vizio. Già le dieci, perbacco! Ho perduto molto tempo... Mah! – | | 51 | | – Il pelo, eh si cangia il pelo lei m'insegna, e non il vizio. Già le dieci, perbacco! Ho perduto molto tempo... Mah! – | | 51 | | – Il pelo, eh, lei m'insegna, e non il vizio. Già le dieci, perbacco! Ho perduto molto tempo... Mah! – |
56 | | Si turbò in volto; restò un momento perplesso, se dire o non dire; poi gli scappò come una coda al sospiro rimasto sospeso: | | 52 | | Si turbò in volto; restò un momento perplesso, se dire o non dire; poi, come attaccando una coda al sospiro rimasto in tronco: | | 52 | | S'alterò in volto; restò un momento perplesso, se dire o non dire; poi, come attaccando una coda al sospiro rimasto in tronco: |
57 | | – La gratitudine, un mito! – | | 53 | | – La gratitudine, un mito! – | | 53 | | – La gratitudine, un mito! – |
58 | | E riprese: | | 54 | | Tentennò il capo, e riprese: | | 54 | | Tentennò il capo, e riprese: |
59 | | – Sarebbero comodi lor signori di venire un momentino con me? | | 55 | | – Sarebbero comodi lor signori di venire un momentino con me? | | 55 | | – Sarebbero disposti lor signori a venire un momentino con me? |
60 | | – Dove? – domandò il Mattina. | | 56 | | – Dove? – domandò il Mattina. | | 56 | | – Dove? – domandò il Mattina. |
61 | | – In casa di Roberto Auriti... tanto amico mio, tanto tanto fin dall'infanzia, lo sanno. E i nostri padri Amicissimi; oh più che fratelli, Compagni d'armi; eh? Il padre di Roberto, a Milazzo, mio padre cadde al Volturno. Storia, questa. Se ne dovrebbe tener conto in paese, invece di menar tanto scalpore per la mia... come la chiamano? diserzione... eh? diserzione, . La veste! Sissignori. Ma sotto la veste c'è pure un cuore; e ce l'ho anch'io per la santa amicizia, e anche... e anche... – | | 57 | | – In casa di Roberto Auriti... tanto amico mio, tanto … fin dall'infanzia, lo sanno. E i nostri padri Amicissimi; oh più che fratelli, Compagni d'arme; eh? Il padre di Roberto, a Milazzo, mio padre cadde al Volturno. Storia, questa. Se ne dovrebbe tener conto in paese, invece di menare tanto scalpore per la mia... come la chiamano? diserzione... eh? diserzione, . La veste! Sissignori. Ma sotto la veste c'è pure un cuore; e ce l'ho anch'io per la santa amicizia, e anche... e anche... – | | 57 | | – In casa di Roberto Auriti... tanto amico mio, tanto … fin dall'infanzia, lo sanno. I nostri padri, più che fratelli, compagni d'arme; quello di Roberto, a Milazzo, e il mio cadde al Volturno. Storia, questa. Se ne dovrebbe tener conto in paese, invece di menare tanto scalpore per la mia... come la chiamano? diserzione... eh? diserzione, già. La veste! Sissignori. Ma sotto la veste c'è pure un cuore; e ce l'ho anch'io per la santa amicizia, e anche... e anche... – |
62 | | Il canonico voleva dire"per la patria"; lo lasciò intendere col gesto e pose un freno alla foga del sentimento generoso. , . ', , . | | 58 | | Il Canonico voleva aggiungere"per la patria"; lo lasciò intendere col gesto e pose un freno alla foga del sentimento generoso. Egli si sforzava di parlar dipinto, con un risolino arguto su le labbra, strofinandosi di continuo le mani secche, ossute sotto il mento , come se le lavasse alla fontanella delle sue frasi polite, sì, non però fluenti limpide e continue, ma quasi a sbruffi, esitanti spesso e con curiosi arresti. Di tratto in tratto, nel sollevar le pàlpebre stanche, lasciava intravvedere qualche obliquo sguardo fuggevole, così diverso dell'ordinario, che subito ciascuno immaginava dovesse quell'uomo , nell'intimità solo con sé stesso, non esser quale appariva, aver più d'una afflizione profondamente segreta che lo rendeva astuto e cattivo, e travagli d'animo oscuri. | | 58 | | Il canonico forse voleva aggiungere"per la patria"; lo lasciò intendere col gesto e pose un freno alla foga del sentimento generoso. Si sforzava di parlar dipinto, con un risolino arguto su le labbra, strofinandosi di continuo sotto il mento le mani ossute, come se le lavasse alla fontanella delle sue frasi polite, sì, non però fluenti limpide e continue, ma quasi a sbruffi, esitanti spesso e con curiosi ingorghi esclamativi. Di tratto in tratto, nel sollevar le pàlpebre stanche, lasciava intravvedere qualche obliquo sguardo fuggevole, così diverso dall'ordinario, che subito ciascuno immaginava quell'uomo dovesse, nell'intimità , non esser quale appariva, aver più d'una afflizione profondamente segreta che lo rendeva astuto e cattivo, e travagli d'animo oscuri. |
63 | | – Prima d'andare, – riprese cangiando tono, – due paroline per intenderci. Avrei meditato... messo su, o mi sembra, un piccolo piano di battaglia. Non la pretendo a generale, veh! Lor signori combatteranno; io porterò il gamellino. Ecco. Ben ponderato tutto, il nostro più temibile avversario chi è? Capolino? No; ma chi l'appoggia: il Salvo, già suo cognato, potentissimo. Ora io da fonte sicura so che il Salvo fino a pochi giorni fa non voleva permettere in verun modo questa... comparsa indegna del Capolino. | | 59 | | – Prima d'andare, – riprese cangiando tono, – due paroline per intenderci. Avrei meditato... messo su, o mi sembra, un piccolo piano di battaglia. Non la pretendo a generale, veh! Lor signori combatteranno; io porterò il gamellino. Ecco. Ben ponderato tutto, il nostro più temibile avversario chi è? Il Capolino? No; ma chi gli fa spalla: il Salvo, già suo cognato, potentissimo. Ora io da buona fonte so che il Salvo fino a pochi giorni fa non voleva permettere in verun modo questa... questa comparsa del Capolino. | | 59 | | – Prima d'andare, – riprese cangiando tono, – due paroline per intenderci. Avrei meditato... messo su, o mi sembra, un piccolo piano di battaglia. Non la pretendo a generale, veh! Lor signori combatteranno; io porterò il gamellino. Ecco. Ben ponderato tutto, il nostro più temibile avversario chi è? Il Capolino? No; ma chi gli fa spalla: il Salvo, già suo cognato, potentissimo. Ora io da buona fonte so che il Salvo fino a pochi giorni fa non voleva permettere in verun modo questa... questa comparsa del Capolino. |
64 | | – Sì, sì, – confermò il Mattina. – A causa delle trattative di matrimonio tra la sorella e il principe di Laurentano. | | 60 | | – Sì, sì, – confermò il Mattina. – A causa delle trattative di matrimonio tra la sorella e il principe di Laurentano. | | 60 | | – Sì, sì, – confermò il Mattina. – A causa delle trattative di matrimonio tra la sorella e il principe di Laurentano. |
65 | | – Oh! Benissimo, – approvò il Canonico. – Ma il Salvo concesse la grazia dell'appoggio appena seppe che il principe non intendeva d'avere alcun riguardo per la parentela con l'Auriti e ordinava che non ne avesse parimenti il partito. Stando così le cose, le sorti del nostro Roberto son quasi disperate. non c'illudiamo. | | 61 | | – Oh! Benissimo, – approvò il Canonico. – Ma il Salvo concesse la grazia di fargli spalla appena seppe che il principe non intendeva d'aver riguardo alla parentela dell'Auriti e ordinava non ne avesse parimenti il partito. Stando così le cose, le sorti del nostro Roberto sono quasi disperate. Non c'illudiamo. | | 61 | | – Oh! Benissimo, – approvò il canonico. – Ma il Salvo concesse la grazia di fargli spalla appena seppe che il principe non intendeva d'aver riguardo alla parentela dell'Auriti e ordinava non ne avesse parimenti il partito. Stando così le cose, le sorti del nostro Roberto sono quasi disperate. Non c'illudiamo. |
66 | | – Eh, lo so! – fece il Verònica. | | 62 | | – Eh, lo so! – sbuffò il Verònica. | | 62 | | – Eh, lo so! – sbuffò il Verònica. |
67 | | Subito il canonico lo arrestò con una mano, seguitando: | | 63 | | Subito il Canonico lo arrestò con un gesto della mano, seguitando: | | 63 | | Subito il canonico lo fermò con un gesto della mano, seguitando: |
68 | | – Ma se noi, ecco, pognamo che noi, signori miei, a dispetto della libertà concessa dal principe, riuscissimo a legar mani e piedi al colosso, al Salvo... eh? Come? Ecco: sarebbe questo il mio piano. – | | 64 | | – Ma se noi, ecco, pognamo che noi, signori miei, a dispetto della libertà concessa dal principe, riuscissimo a legar mani e piedi al colosso, al Salvo... eh? Come? Ecco: sarebbe questo il mio piano. – | | 64 | | – Ma se noi, ecco, pognamo che noi, signori miei, a dispetto della libertà concessa dal principe, riuscissimo a legar mani e piedi al colosso, al Salvo... eh? Come? Ecco: sarebbe questo il mio piano. – |
69 | | Pompeo Agrò, data così l'esca alla curiosità, stette un pezzo con le mani spalmate, sospese sotto il mento; poi le ritrasse, richiudendole; chiuse anche gli occhi per raccogliersi meglio; lasciò andar fuori un altro: "Ecco!", come un gancio per sostener l'attenzione de due ascoltatori, e rimase ancora un po' in silenzio. | | 65 | | Pompeo Agrò, data così l'esca alla curiosità, stette un pezzo con le mani spalmate, sospese sotto il mento; poi le ritrasse, richiudendole; chiuse anche gli occhi per raccogliersi meglio; lasciò andar fuori un altro: "Ecco!", come un gancio per sostener l'attenzione dei due ascoltatori, e rimase ancora un po' in silenzio. | | 65 | | Pompeo Agrò, data così l'esca alla curiosità, stette un pezzo con le mani spalmate, sospese sotto il mento; poi le ritrasse, richiudendole; chiuse anche gli occhi per raccogliersi meglio; lasciò andar fuori un altro: "Ecco!", come un gancio per sostener l'attenzione dei due ascoltatori, e rimase ancora un po' in silenzio. |
70 | | – Lor signori sanno le condizioni con cui si effettuerà il matrimonio per espressa volontà del Laurentano. Ora queste condizioni, secondo che io ho disegnato, dovrebbero diventare il punto… come diremo? vulnerabile del Salvo. | | 66 | | – Lor signori sanno le condizioni con cui si effettuerà il matrimonio per espressa volontà del Laurentano. Ora queste condizioni, secondo che io ho disegnato, dovrebbero diventare il punto… come diremo? vulnerabile del Salvo. | | 66 | | – Lor signori sanno le condizioni con cui si effettuerà il matrimonio per espressa volontà del Laurentano. Ora queste condizioni, secondo che io ho divisato, dovrebbero diventare il punto… come diremo? vulnerabile del Salvo. |
71 | | – Il tallone d'Achille, – suggerì il Mattina, scotendosi, . | | 67 | | – Il tallone d'Achille, – suggerì il Mattina, scotendosi, . | | 67 | | – Il tallone d'Achille, – suggerì il Mattina, scotendosi, per dire una cosa nuova. |
72 | | – Benissimo! d'Achille! – approvò l'Agrò. – E mi spiego. Preme al Salvo certamente, avendole accettate, che il figlio del principe, residente a Roma (mi par che si chiami Gerlando, eh? come il nonno: Gerlandino, Landino) non sia, o almeno, non si mostri apertamente contrario a questo matrimonio del padre. Anzi so che il Salvo ha posto come patto imprescindibile la presenza del giovine alla cerimonia nuziale, per il riconoscimento del vincolo da parte sua e come impegno da gentiluomo per l'avvenire. Io non conosco codesto Landino, ma so che è di pelo... cioè, , di stampa ben diversa del padre. | | 68 | | – Benissimo! d'Achille! – approvò l'Agrò. – E mi spiego. Preme al Salvo certamente, avendole accettate, che il figlio del principe, residente a Roma (mi par che si chiami Gerlando, eh? come il nonno: Gerlandino, Landino) non sia, o almeno, non si mostri apertamente contrario a questo matrimonio del padre. Anzi so che il Salvo ha posto come patto imprescindibile la presenza del giovine alla cerimonia nuziale, per il riconoscimento del vincolo da parte sua e come impegno da gentiluomo per l'avvenire. Io non conosco codesto Gerlandino, ma so che è di pelo... cioè, diciamo, di stampa ben altra dal padre. | | 68 | | – Benissimo! d'Achille! – approvò l'Agrò. – E mi spiego. Preme al Salvo certamente, avendole accettate, che il figlio del principe, residente a Roma (mi par che si chiami Gerlando, eh? come il nonno: Gerlandino, Landino) non sia, o almeno, non si mostri apertamente contrario a questo matrimonio del padre. Anzi so che il Salvo ha posto come patto la presenza del giovine alla cerimonia nuziale, per il riconoscimento del vincolo da parte sua e come impegno da gentiluomo per l'avvenire. Io non conosco codesto Gerlandino, ma so che è di pelo... cioè, diciamo, di stampa ben altra dal padre. |
73 | | – Opposta! – esclamò il Verònica. – Io lo conosco bene. | | 69 | | – Opposta! – esclamò il Verònica. – Io lo conosco bene. | | 69 | | – Opposta! – esclamò il Veronica. – Io lo conosco bene. |
74 | | – Oh bravo! – soggiunse l'Agrò. – Egli dunque ammesso pure che non abbia neanche le idee di Roberto Auriti, tra i due, cioè tra questo e un Capolino, dovrebbe aver più cara, m'immagino, la vittoria del parente. – | | 70 | | – Oh bravo! – soggiunse l'Agrò. – Egli dunque ammesso pure che non abbia neanche le idee di Roberto Auriti, tra i due, voglio dire tra questo e un Capolino, dovrebbe aver più cara, m'immagino, la vittoria del parente. – | | 70 | | – Oh bravo! – soggiunse l'Agrò. – Ammesso dunque che non abbia neppure le idee di Roberto Auriti, tra i due, voglio dire tra questo e un Capolino, dovrebbe aver più cara, m'immagino, la vittoria del parente. – |
75 | | Guido Verònica, a questo punto, si scosse e sospirò a lungo, come per votarsi dell'illusione accolta per un momento, e disse: | | 71 | | Guido Verònica, a questo punto, si scosse e sospirò a lungo, come per vôtarsi dell'illusione accolta per un momento, e disse: | | 71 | | Guido Verònica, a questo punto, si scosse e sospirò a lungo, come per vôtarsi dell'illusione accolta per un momento, e disse: |
76 | | – Ah, no, non credo, sa! non credo proprio che Lando s'impicci di codeste cose... | | 72 | | – Ah, no, non credo, sa! non credo proprio che Lando s'impicci di codeste cose... | | 72 | | – Ah, no, non credo, sa! non credo proprio che Lando s'impicci di codeste cose... |
77 | | – Mi lasci dire, – rispose il Canonico, . – A me non cale ch'ei se ne impicci: vorrei solamente sapere da Lei che è stato tanto tempo a Roma e conosce il giovine, se l'antagonismo, diciamo così, tra don Ippolito Laurentano e donna Caterina Auriti sussista tra i loro figli Landino e Roberto. | | 73 | | – Mi lasci dire, – riprese il Canonico, con voce agretta. – A me non cale ch'ei se ne impicci: vorrei solamente sapere da Lei che è stato tanto tempo a Roma e conosce il giovine, se l'antagonismo, diciamo così, tra don Ippolito Laurentano e donna Caterina Auriti sussista anche tra i loro figliuoli. | | 73 | | – Mi lasci dire, – riprese il Canonico, con voce agretta. – A me non cale che se ne impicci: vorrei saper solamente da Lei che è stato tanto tempo a Roma e conosce il giovine, se l'antagonismo, diciamo così, tra don Ippolito Laurentano e donna Caterina Auriti sussista anche tra i loro figliuoli. |
78 | | – No, questo no! – rispose subito il Verònica. – Sono anzi amicissimi! | | 74 | | – No, questo no! – rispose subito il Verònica. – Sono anzi amicissimi. | | 74 | | – No, questo no! – rispose subito il Verònica. – Sono anzi in buon accordo, amici. |
79 | | – E mi basta! – esclamò allora il Canonico picchiandosi col dorso d'una mano la palma dell'altra. – Mi strabasta! Se della parentela con l'Auriti non vuole tener conto il padre, può invece, o potrebbe, tener conto il figlio. Ed ecco legato il Salvo, il colosso! – | | 75 | | – E mi basta! – esclamò allora il Canonico picchiandosi col dorso d'una mano la palma dell'altra. – Mi strabasta! Se della parentela con l'Auriti non vuole tener conto il padre, può invece, o potrebbe, tener conto il figlio. Ed ecco legato il Salvo, il colosso! – | | 75 | | – Mi basta! – esclamò il canonico picchiandosi col dorso d'una mano la palma dell'altra. – Mi strabasta! Se della parentela con l'Auriti non vuole tener conto il padre, può invece, o potrebbe, tener conto il figlio. Ed ecco legato il Salvo, il colosso! – |
80 | | Pompeo Agrò volle godere un momento di quella prima vittoria, guardando acutamente, con un sorriso , il Verònica, poi il Mattina, già accampati entrambi nel suo piano, stimato almeno meditabile. Quindi, come un generale che non si contenti di vincere soltanto a tavolino, con le leggi della tattica, scese a osservare le difficoltà materiali dell'impresa. | | 76 | | Pompeo Agrò volle godere un momento di quella prima vittoria, guardando acutamente, con un sorriso un po' smorfioso, il Verònica, poi il Mattina, già accampati entrambi nel suo piano, stimato almeno meditabile. Quindi, come un generale non contento di vincere soltanto a tavolino, con le leggi della tattica, scese a osservare le difficoltà materiali dell'impresa. | | 76 | | Pompeo Agrò volle godere un momento di quella prima vittoria, guardando acutamente, con un sorrisino un po' smorfioso, il Verònica, poi il Mattina, già accampati entrambi nel suo piano, stimato almeno meditabile. Quindi, come un generale non contento di vincere soltanto a tavolino, con le leggi della tattica, scese a osservare le difficoltà materiali dell'impresa. |
81 | | – Il punto, – disse, – sarà persuadere a quel benedetto Roberto di servirsi di questo spediente. Giacché, per lo meno, abbiamo bisogno di una lettera privata di Landino, da far vedere o conoscere in qualche modo al Salvo, ecco! o diretta al Salvo stesso, che sarà difficile, o a Roberto, o a qualche amico: a Lei, per esempio, caro Verònica: insomma, una prova, un documento... – | | 77 | | – Il punto, – disse, – sarà persuadere a quel benedetto Roberto di servirsi di questo spediente. Giacché, per lo meno, abbiamo bisogno di una lettera privata di Gerlandino, da far vedere o conoscere in qualche modo al Salvo, ecco! o diretta al Salvo stesso, che sarà difficile, o a Roberto, o a qualche amico: a Lei, per esempio, caro Verònica: insomma, una prova, un documento... – | | 77 | | – Il punto, – disse, – sarà persuadere a quel benedetto Roberto di servirsi di questo spediente. Giacché, per lo meno, abbiamo bisogno di una lettera privata di Gerlandino, da far vedere o conoscere in qualche modo al Salvo, ecco! o diretta al Salvo stesso, che sarà difficile, o a Roberto, o a qualche amico: a Lei, per esempio, caro Verònica: insomma, una prova, un documento... – |
82 | | Guido Verònica non volle dichiarare ch'egli non poteva attendersi una lettera da Lando, col quale non aveva alcuna dimestichezza; stimò, sì, ingegnoso il piano dell'Agrò, ma forse inattuabile per la troppa alterezza di Roberto, il quale... il quale... sì, benemerenze patriottiche... | | 78 | | Guido Verònica non volle dichiarare ch'egli non poteva attendersi una lettera da Lando, col quale non aveva alcuna intrinsechezza; stimò, sì, ingegnoso il piano dell'Agrò, ma forse inattuabile per la troppa schifiltà di Roberto, il quale... il quale... sì, benemerenze patriottiche... | | 78 | | Guido Verònica non volle dichiarare ch'egli non poteva attendersi una lettera da Lando, col quale non aveva alcuna intimità; stimò, sì, ingegnoso il piano dell'Agrò, ma forse inattuabile per la troppa schifiltà di Roberto, il quale... il quale... sì, benemerenze patriottiche... |
83 | | – "Onestà immacolata!" – aggiunse l'Agrò. | | 79 | | – "Onestà immacolata!" – soggiunse l'Agrò. | | 79 | | – "Onestà immacolata!" – soggiunse l'Agrò. |
84 | | – Sì, – concesse il Verònica, – e anche ingegno, se vogliamo; ma... ma... ma... al dì d'oggi... e gli secca il Prefetto, e par che gli secchino anche gli amici... basta! Sarà un affar serio! Io, per me, mi metterei anche la pelle a la rovescia per ajutarlo; però... – | | 80 | | – Sì, – concesse il Verònica, – e anche ingegno, se vogliamo; ma... ma... ma... al dì d'oggi... e gli secca il Prefetto, e par che gli secchino anche gli amici... basta! Sarà un affar serio! Io, per me, mi metterei anche la pelle alla rovescia per ajutarlo; però... – | | 80 | | – Sì, – concesse il Verònica, – e anche ingegno, se vogliamo; ma... ma... ma... al dì d'oggi... e gli secca il Prefetto, e par che gli secchino anche gli amici... basta! Sarà un affar serio! Io, per me, mi metterei anche la pelle alla rovescia per ajutarlo; però... – |
85 | | S'interruppe a questo punto si batté la fronte con una mano; esclamò: | | 81 | | S'interruppe; si batté la fronte con una mano; esclamò: | | 81 | | S'interruppe; si batté la fronte con una mano; esclamò: |
86 | | – Ho trovato! Giulio... c'è Giulio... il fratello di Roberto, giusto in questo momento nel gabinetto particolare di S. E. il Ministro D'Atri: eh, perbacco! a lui sì posso scrivere... è intimissimo di Lando. Da Giulio si potrebbe ottenere quello che vogliamo, senza farne sapere nulla a Roberto, che s opporrebbe . Ecco fatto! – | | 82 | | – Ho trovato! Giulio... c'è Giulio... il fratello di Roberto, giusto in questo momento nella segreteria particolare di S. E. il ministro D'Atri: eh, perbacco! a lui sì posso scrivere... è intimissimo di Lando. Da Giulio si otterrà facilmente quello che vogliamo, senza farne saper nulla a Roberto, che opporrebbe chi sa quanti ostacoli. Ecco fatto! – | | 82 | | – Ho trovato! Giulio... c'è Giulio... il fratello di Roberto, giusto in questo momento nella segreteria particolare di S. E. il ministro D'Atri: eh, perbacco! a lui sì posso scrivere... è intimissimo di Lando. Da Giulio si otterrà facilmente quello che vogliamo, senza farne saper nulla a Roberto, che opporrebbe chi sa quanti ostacoli. Ecco fatto! – |
87 | | – Bravissimo! bravissimo! – non rifiniva più d'esclamare il Canonico, gongolante. | | 83 | | – Bravissimo! bravissimo! – non rifiniva più d'esclamare il Canonico, gongolante. | | 83 | | – Bravissimo! bravissimo! – non rifiniva più d'esclamare il canonico, gongolante. |
88 | | Solo il Mattina era rimasto come una barca, la cui vela non riuscisse a pigliar vento. Vedendo quell'altre due barche filar così leste senza più curarsi di lui rimasto floscio indietro, si sentì umiliato; volle dir la sua e, non potendo altro, si provò a gettare un po'd'acqua su quell'entusiasmo a cui non poteva partecipare Sì | | 84 | | Solo il Mattina era rimasto come una barca, la cui vela non riuscisse a pigliar vento. Vedendo quell'altre due barche filar così leste senza più curarsi di lui rimasto floscio indietro, si sentì umiliato; volle dir la sua e, non potendo altro, si provò a soffiare un po'di vento contrario e a parar qualche secca e qualche scoglio. | | 84 | | Solo il Mattina era rimasto come una barca, la cui vela non riuscisse a pigliar vento. Vedendo quell'altre due barche filar così leste senza più curarsi di lui rimasto floscio indietro, si sentì umiliato; volle dir la sua e, non potendo altro, si provò a soffiare un po'di vento contrario e a parar qualche secca o qualche scoglio. |
| | , – disse, – ma non sarà troppo tardi, signori miei? Riflettiamo! Prima che la lettera arrivi, anche facendo con la massima sollecitudine, di qui a Roma, chiama e rispondi! Ci vorrà una settimana; dico poco. Il Salvo avrà tutto il tempo di compromettersi così da non potersi più tirare indietro. | | 85 | | – Già, – disse, – ma non sarà troppo tardi, signori miei? Riflettiamo! Prima che la lettera arrivi, anche facendo con la massima sollecitudine, di qui a Roma, chiama e rispondi! Ci vorrà una settimana; dico poco. Il Salvo avrà tutto il tempo di compromettersi così da non potersi più tirare indietro. | | 85 | | – Già, – disse, – ma non sarà troppo tardi, signori miei? Riflettiamo! Prima che la lettera arrivi, anche facendo con la massima sollecitudine, di qui a Roma, chiama e rispondi! Ci vorrà una settimana; dico poco. Il Salvo avrà tutto il tempo di compromettersi e non si potrà più tirare indietro. |
89 | | – Eh, lo vorrò vedere! – esclamò il Canonico con un sogghignetto, . – No, sa! no, sa! ... Vuole che gli stia poi tanto a cuore il Capolino? | | 86 | | – Eh, lo vorrò vedere! – esclamò il Canonico con un sogghignetto, e alzando una mano, come per salutarlo da lontano. – No, sa! no, sa! Mai piùù mai piùù, mai piùù... Vuole che gli stia poi tanto a cuore il Capolino? | | 86 | | – Eh, lo vorrò vedere! – esclamò il canonico con un sogghignetto, e alzando una mano, come per salutarlo da lontano. – No, sa! no, sa! Mai piùù mai piùù, mai piùù... Vuole che gli stia poi tanto a cuore il Capolino? |
90 | | – Ma la propria dignità, scusi! – ribattè il Cavaliere, come se fosse in ballo la sua. – Bella figura farebbe! Ma sa che oggi stesso nella sala di redazione dell'Empedocle si proclamerà ufficialmente la candidatura con l'intervento del Salvo e di tutti i maggiorenti del partito? Che scherziamo! | | 87 | | – Ma la propria dignità, scusi! – ribatté il Cavaliere, come se fosse in ballo la sua. – Bella figura farebbe! Ma sa che oggi stesso nella sala di redazione dell'Empedocle si proclamerà ufficialmente la candidatura con l'intervento del Salvo e di tutti i maggiorenti del partito? Che scherziamo! | | 87 | | – Ma la propria dignità, scusi! – si risentì il cavaliere, come se fosse in ballo la sua. – Bella figura ci farebbe! Ma sa che oggi stesso nella sala di redazione dell'Empedocle si proclamerà ufficialmente la candidatura di Capolino con l'intervento del Salvo e di tutti i maggiorenti del partito? Non scherziamo! |
91 | | – In questo caso, – saltò a dire il Verònica, – per far più presto, si spedirà a Giulio ora stesso, d'urgenza, un telegramma in cifre Bravissimo! – tornò ad approvare il Canonico, debellando il Mattina. | | 88 | | – In questo caso, – saltò a dire il Verònica, – per far più presto, si spedirà a Giulio ora stesso, d'urgenza, un telegramma in cifre Bravissimo! – tornò ad approvare il Canonico, debellando il Mattina. | | 88 | | – In questo caso, – saltò a dire il Verònica, – per far più presto, si spedirà a Giulio ora stesso, d'urgenza, un telegramma in cifre. |
92 | | – Sì, sì, – seguitò il Verònica Roberto ha un cifrario particolare col fratello. Non bisogna perder tempo... Piuttosto... aspetti!... ora che ci penso... il Selmi... perdio! | | 89 | | – Si, sì, – seguitò il Verònica Roberto ha un cifrario particolare col fratello. Non perdiamo più tempo... Piuttosto... aspetti!... ora che ci penso... il Selmi... perdio! | | | | Roberto ha un cifrario particolare col fratello. Non perdiamo più tempo... Piuttosto... aspetti!... ora che ci penso... il Selmi... perdio! |
93 | | – Selmi? – domandò il Canonico, stordito da quel nome e dal gesto di rabbioso dispetto con cui il Verònica lo aveva accompagnato. – Il deputato Selmi? | | 90 | | – Selmi? – domandò il Canonico, stordito da quel nome che cadeva all'improvviso come un ostacolo insormontabile su la via così bene spianata. – Il deputato Selmi? | | 89 | | – Selmi? – domandò il canonico, stordito da quel nome che cadeva all'improvviso come un ostacolo insormontabile su la via così bene spianata. – Il deputato Selmi? |
94 | | – Corrado , sì, – rispose il Verònica. – L'ho visto a Palermo... Ha promesso a Roberto di venire qua, , e che anzi avrebbe tenuto un discorso... | | 91 | | – Corrado Selmi, sì, – rispose il Verònica. – L'ho visto a Palermo... Ha promesso a Roberto di venire qua, per lui, e che anzi avrebbe tenuto un discorso... | | 90 | | – Corrado Selmi, sì, – rispose il Verònica. – L'ho visto a Palermo... Ha promesso a Roberto di venire qua, per lui, e che anzi avrebbe tenuto un discorso... |
95 | | – Ebbene? – fece il Canonico. – Anzi, un parlamentare di tanta autorità... vero patriota... | | 92 | | – Ebbene? – fece l'Agrò. – Anzi, un parlamentare di tanta autorità... vero patriota... | | 91 | | – Ebbene? – fece l'Agrò. – Anzi, un parlamentare di tanta autorità... vero patriota... |
96 | | – Lasci andare! lasci andare!– lo interruppe il Verònica, socchiudendo gli occhi, scotendo una mano. – Patriota... va bene! Bacato, bacato, bacato, caro Canonico... Debiti... compromissioni... storie... e Dio non voglia che il povero Roberto Come fratelli... davvero, lei lo sa, quasi ogni sera Corrado Selmi è a tavola lì, in casa di Roberto a Roma... Questo è per il momento, non sarebbe un gran male per noi... Ma per Lando Laurentano... – | | 93 | | – Lasci andare! lasci andare!– lo interruppe il Verònica, socchiudendo gli occhi, scotendo una mano. – Patriota... va bene! Bacato, bacato, bacato, caro Canonico... Debiti... compromissioni... storie... e Dio non voglia che il povero Roberto per causa di lui... Basta. Non è per questo, adesso... Ma per Lando Laurentano... – | | 92 | | – Lasci andare! lasci andare!– lo interruppe il Verònica, socchiudendo gli occhi, scotendo una mano. – Patriota... va bene! Bacato, bacato, bacato, caro canonico... Debiti... compromissioni... storie... e Dio non voglia che il povero Roberto per causa di lui... Basta. Non è per questo, adesso... Ma per Lando Laurentano... – |
97 | | E Guido Verònica fece più volte schioccar le dita, come per strigarsele dell'impiccio che gli dava il pensiero del Selmi. | | 94 | | E Guido Verònica fece più volte schioccar le dita, come per strigarsele dell'impiccio che gli dava il pensiero del Selmi. | | 93 | | E Guido Verònica fece più volte schioccar le dita, come per strigarsele dell'impiccio che gli dava il pensiero del Selmi. |
98 | | – Non capisco... – osservò il Canonico. – Forse tra il Laurentano e il Selmi?... | | 95 | | – Non capisco... – osservò il Canonico. – Forse tra il Laurentano e il Selmi?... | | 94 | | – Non capisco... – osservò il Canonico. – Forse tra il Laurentano e il Selmi?... |
99 | | – Eh, altro! – esclamò il Verònica. – | | 96 | | – Eh, altro! – esclamò il Verònica. – Nimicizia mortale! | | 95 | | – Eh, altro! – esclamò il Verònica. – Nimicizia mortale! |
| | , | | 97 | | – Affar di donne, – aggiunse il Mattina, serio, socchiudendo gli occhi, soddisfattissimo di quella contrarietà. | | 96 | | – Affar di donne, – aggiunse il Mattina, serio, socchiudendo gli occhi, sodisfattissimo di quella contrarietà. |
| | , | | 98 | | E il Canonico, incuriosito: | | 97 | | E il canonico, incuriosito: |
| | ? | | 99 | | – Ah sì? Di donne? | | 98 | | – Ah sì? Di donne? |
100 | | – Storia vecchia, – finita, a quanto pare; ma, fino a un anno fa, Corrado Selmi – lo dico perché tutta Roma lo sa – fu l'amante di donna Giannetta D'Atri, moglie del Ministro d'oggi Anzi si vuole che la figliuola... – aggiunse il Mattina – | | 100 | | – Storia vecchia, – rispose il Verònica. – Finita, a quanto pare; ma, fino a un anno fa, Corrado Selmi – lo dico perché tutta Roma lo sa – fu l'amante di donna Giannetta d'Atri, moglie del Ministro d'oggi. – | | 99 | | – Storia vecchia, – rispose il Verònica. – Finita, a quanto pare; ma, fino a un anno fa, Corrado Selmi – lo dico perché tutta Roma lo sa – fu l'amante di donna Giannetta d'Atri, moglie del Ministro d'oggi. – |
101 | | Il Canonico chiuse gli occhi e levò una mano: | | 101 | | Il Canonico levò una mano: | | 100 | | Il Canonico levò una mano: |
102 | | – Uh, che cose! Si vuole? Vangelo! – raffermò il Verònica. | | 102 | | – Uh, che cose! E questa... e questa | | 101 | | – Uh, che cose! E questa... e questa |
103 | | – Non vedo però, – osservò il Canonico, – come c'entri Landino, in tutto questo... | | | | | | | | |
104 | | – Ma donna Giannetta | | | | donna Giannetta chi sarebbe? | | | | donna Giannetta chi sarebbe? |
| | una Montalto! – spiegò il Verònica. – Cugina di Lando... . | | 103 | | – Ma una Montalto! – disse Verònica. – Cugina di Lando... Lei sa che la prima moglie del Principe fu una Montalto. | | 102 | | – Ma una Montalto! – disse il Verònica. – Cugina di Lando... Lei sa che la prima moglie del principe fu una Montalto. |
105 | | – Ah, ecco! esclamò l'Agrò, cominciando a comprendere finalmente. – Forse il giovine...? | | 104 | | – Ah, ecco! E forse il giovine...? | | 103 | | – Ah, ecco! E forse il giovine...? |
106 | | – Da ragazzo, tra cugini rispose il Verònica.. Questo non lo so bene Ma allora è giovine anche lei? – tornò a domandare il Canonico. | | 105 | | – Da ragazzo, tra cugini... Questo non lo so bene. | | 104 | | – Da ragazzo, tra cugini... Questo non lo so bene. |
107 | | – Donna Giannetta? giovanissima! – rispose il Mattina. – Le può esser nonno, a momenti, Francesco D'Atri Il fatto concluse il Verònica è che Lando Laurentano provocò due volte il Selmi... Ora, capirà, se questi viene qui a sostener la candidatura di Roberto... – | | | | Il fatto è che Lando Laurentano provocò due volte il Selmi... Ora, capirà, se questi viene qua a sostenere la candidatura di Roberto... – | | | | Il fatto è che Lando Laurentano provocò due volte il Selmi... Ora, capirà, se questi viene qua a sostenere la candidatura di Roberto... – |
108 | | – Già, già, già... ! – esclamò il Canonico. – Se, si potesse impedire! | | 106 | | – Già, già, già... ora comprendo! – esclamò il Canonico. – Si dovrebbe impedire! Ah, si dovrebbe impedire! | | 105 | | – Già, già, già... ora comprendo! – esclamò il Canonico. – Si dovrebbe impedire! Ah, si dovrebbe impedire! |
109 | | – Forse non sarà difficile, – disse il Verònica. – Perché Corrado Selmi avrà da combattere per sé nel suo collegio... Basta, vedremo. Adesso andiamo subito da Roberto. | | 107 | | – Forse non sarà difficile, – concluse il Verònica. – Perché Corrado Selmi avrà da combattere per sé nel suo collegio... Basta, vedremo. Adesso andiamo subito da Roberto. | | 106 | | – Forse non sarà difficile, – concluse il Verònica. – Perché Corrado Selmi avrà da combattere per sé nel suo collegio... Basta, vedremo. Adesso andiamo subito da Roberto. |
110 | | Il Canonico si alzò. | | 108 | | Il Canonico si alzò. | | 107 | | Il canonico si alzò. |
111 | | – Pronti, – disse. – La vettura è giù. Un momentino, col loro permesso. Prendo il cappello e il tabarro. – | | 109 | | – Pronti, – disse. – La vettura è giù. Un momentino, col loro permesso. Prendo il cappello e il tabarro. – | | 108 | | – Pronti, – disse. – La vettura è giù. Un momentino, col loro permesso. Prendo il cappello e il tabarro. – |
112 | | Poco dopo, il Verònica e il Mattina rividero il vecchio cameriere dai piedi sbiechi, parato da automedonte, e salirono in vettura con l'Agrò. | | 110 | | Poco dopo, il Verònica e il Mattina rividero il vecchio cameriere dai piedi sbiechi, parato da automedonte, e salirono in vettura con l'Agrò. | | 109 | | Poco dopo, il Verònica e il Mattina rividero il vecchio cameriere dai piedi sbiechi, parato da automedonte, e salirono in vettura con l'Agrò. |
113 | | Venendo su dal Ràbato, per Piazza S Domenico notarono subito un movimento insolito per la strada maestra. Quattro, cinque monellacci, correndo e arrestandosi qua e là, strillavano il giornaletto clericale Empedocle, che pareva andasse a ruba. | | 111 | | Venendo su dal Ràbato, per piazza San Domenico notarono subito un movimento insolito lungo la via maestra. Quattro, cinque monellacci, correndo e arrestandosi qua e là, strillavano il giornaletto clericale Empedocle, che pareva andasse a ruba. | | 110 | | Venendo su dal Ràbato, per piazza San Domenico notarono subito un movimento insolito lungo la via maestra. Quattro, cinque monellacci, correndo e fermandosi qua e là, strillavano il giornaletto clericale Empedocle, che pareva andasse a ruba. |
114 | | – Si | | 112 | | – L'Impìducli! L'Impìducli! – | | 111 | | – L'Impìducli! L'Impìducli! – |
| | formavano capannelli, qua a leggere, là a commentar vivacemente qualche articolo, certo violento, stampato in quel foglio. | | 113 | | E per tutto si formavano capannelli, qua a leggere, là a commentar vivamente qualche articolo, certo violento, stampato in quel foglio. | | 112 | | E per tutto si formavano capannelli, qua a leggere, là a commentar vivamente qualche articolo, certo violento, stampato in quel foglio. |
115 | | Il Verònica, vedendo passare presso la vettura uno di quegli strilloni, non seppe resistere alla tentazione, e mentre il Canonico – che per le vie della città, in quei giorni, si sentiva in mezzo a un campo nemico – consigliava: – "Meglio a casa! meglio a casa!" – si fece buttare nella vettura una copia del giornale. La prese il Mattina. | | 114 | | Il Verònica, vedendo passare presso la vettura uno di quegli strilloni, non seppe resistere alla tentazione, e mentre il Canonico – che per le vie della città, in quei giorni, si sentiva in mezzo a un campo nemico – consigliava: – "Meglio a casa! meglio a casa!" – si fece buttare nella vettura una copia del giornale. La prese il Mattina. | | 113 | | Il Verònica, vedendo passare presso la vettura uno di quegli strilloni, non seppe resistere alla tentazione, e mentre il canonico – che per le vie della città, in quei giorni, si sentiva in mezzo a un campo nemico – consigliava: – "Meglio a casa! meglio a casa!" – si fece buttare nella vettura una copia del giornale. La prese il Mattina. |
116 | | – Leggo io? – | | 115 | | – Leggo io? – | | 114 | | – Leggo io? – |
117 | | E cominciò a leggere sottovoce l'articolo di fondo, quello che, evidentemente, suscitava tanto fermento nel pubblico. | | 116 | | E cominciò a leggere sottovoce l'articolo di fondo, quello che, evidentemente, suscitava tanto fermento nel pubblico. | | 115 | | E cominciò a leggere sottovoce l'articolo di fondo, quello che, indubbiamente, suscitava tanto fermento nel pubblico. |
118 | | Era intitolato Patrioti per bisogni di famiglia, e si riferiva – senza far nomi, ma con turpe evidenza – alla memoria di Stefano Auriti, padre di Roberto, alterando con odiosa vilissima calunnia la storia romanzesca del suo amore per Caterina Laurentano: la fuga de due giovani poco prima della rivoluzione del 1848; la parte presa da Stefano Auriti a questa rivoluzione "non già per amore di libertà, ma appunto per bisogni di famiglia per conquistarsi cioè 'una dote insieme con le grazie del suocero per forza, ricco, liberale, sì, ma, ahimé, d'una inflessibilità superiore a ogni previsione". | | 117 | | Era intitolato Patrioti per bisogni di famiglia, e si riferiva – senza far nomi, ma con turpe evidenza – alla memoria di Stefano Auriti, padre di Roberto, alterando con odiosa vilissima calunnia la storia romanzesca del suo amore per Caterina Laurentano: la fuga de due giovani poco prima della rivoluzione del 1848; la parte presa da Stefano Auriti a questa rivoluzione "non già per amor di patria, ma appunto per bisogni di famiglia, cioè per la conquista d'una dote insieme con le grazie del suocero per forza, ricco, liberale, sì, ma, ahimé, d'una inflessibilità superiore a ogni previsione". | | 116 | | Era intitolato Patrioti per bisogni di famiglia, e si riferiva – senza far nomi, ma con turpe evidenza – alla memoria di Stefano Auriti, padre di Roberto, alterando con vilissima calunnia la storia romanzesca del suo amore per Caterina Laurentano: la fuga dei due giovani poco prima della rivoluzione del 1848; la parte presa da Stefano Auriti a questa rivoluzione "non già per amor di patria, ma appunto per bisogni di famiglia, cioè per la conquista d'una dote insieme con le grazie del suocero per forza, ricco, liberale, sì, ma, ahimé, d'una inflessibilità superiore a ogni previsione". |
119 | | Man mano, leggendo, la voce del Mattina si alterava dallo sdegno, acceso maggiormente dall'indignazione dell'Agrò, che prorompeva di tratto in tratto, accennando di turarsi le orecchie e buttandosi indietro: | | 118 | | Man mano, leggendo, la voce del Mattina si alterava dallo sdegno, acceso maggiormente dall'indignazione dell'Agrò, che prorompeva di tratto in tratto, accennando di turarsi le orecchie e buttandosi indietro: | | 117 | | Man mano, leggendo, la voce del Mattina si alterava dallo sdegno, acceso maggiormente dall'indignazione dell'Agrò, che prorompeva di tratto in tratto, accennando di turarsi le orecchie e buttandosi indietro: |
120 | | – Oh vigliacchi! oh vigliacchi! – | | 119 | | – Oh vigliacchi! oh vigliacchi! – | | 118 | | – Oh vigliacchi! oh vigliacchi! – |
121 | | A un certo punto il Mattina si vide strappar di mano il giornale. Guido Verònica, pallidissimo, col volto scontraffatto dall'ira, aprì tutto vibrante lo sportello della vettura, ne balzò fuori e, senza sentire i richiami del Canonico, , si lanciò di furia tra un crocchio di gente, in mezzo al quale stava il Capolino, a cui schiaffò in faccia il giornale, stropicciandoglielo sul muso. L'aggressione fu così fulminea, che tutti restarono per un momento storditi e sgomenti, poi s'avventarono addosso all'aggressore: accorse gente, vociando, da tutte le parti: nel mezzo era la mischia, fìtta: volavano bastonate, tra urli e imprecazioni. Il Mattina non ebbe tempo né modo di cacciarsi in difesa del Verònica; ma, poco dopo, l'abbaruffio, lì nel forte, s allargò: la rissa era partita. Il Canonico chiamava , smaniando, dalla vettura il Mattina Questi udì alla fine e si volse; ma vide in quella il Verònica, senza cappello, senza lenti, strappato terreo ansimante tra una frotta di giovani che evidentemente lo difendevano, e accorse. Ritornò, poco dopo, alla vettura del Canonico: | | 120 | | A un certo punto il Mattina si vide strappar di mano il giornale. Guido Verònica, pallidissimo, col volto scontraffatto dall'ira, aprì tutto vibrante lo sportello della vettura, ne balzò fuori e, senza sentire i richiami del Canonico, tanto per cominciare, si lanciò di furia tra un crocchio di gente, in mezzo al quale stava il Capolino, a cui schiaffò in faccia il giornale, stropicciandoglielo sul muso. L'aggressione fu così fulminea, che tutti restarono per un momento storditi e sgomenti, poi s'avventarono addosso all'aggressore: accorse gente, vociando, da tutte le parti: nel mezzo era la mischia, fitta: volavano bastonate, tra urli e imprecazioni. Il Mattina non ebbe tempo né modo di cacciarsi in difesa del Verònica; ma, poco dopo, l'abbaruffìo, lì nel forte, s allargò: la rissa era partita. Il Canonico chiamava , smaniando, dalla vettura il Mattina Questi udì alla fine e si volse; ma vide in quella il Verònica, senza cappello, senza lenti, strappato terreo ansimante tra una frotta di giovani che evidentemente lo difendevano, e accorse. Ritornò, poco dopo, alla vettura del Canonico: | | 119 | | A un certo punto il Mattina si vide strappar di mano il giornale. Guido Verònica, pallidissimo, col volto scontraffatto dall'ira, aprì lo sportello della vettura, ne balzò fuori e, senza sentire i richiami del canonico, tanto per cominciare, si lanciò di furia tra un crocchio di gente, in mezzo al quale stava il Capolino, a cui schiaffò in faccia il giornale, stropicciandoglielo sul muso. L'aggressione fu così fulminea, che tutti restarono per un momento storditi e sgomenti, poi s'avventarono addosso all'aggressore: accorse gente, vociando, da tutte le parti: nel mezzo era la mischia, fitta: volavano bastonate, tra urli e imprecazioni. Il Mattina non ebbe tempo né modo di cacciarsi in difesa del Verònica; ma, poco dopo, l'abbaruffìo, lì nel forte, si allargò: la rissa era partita. Il canonico chiamava il Mattina, smaniando, dalla vettura. Questi udì alla fine e si volse; ma vide in quella il Verònica, senza cappello, senza lenti, strappato, ansimante tra una frotta di giovani che evidentemente lo difendevano, e accorse. Ritornò, poco dopo, alla vettura del canonico: |
122 | | – Niente – dice; – stia tranquillo; andiamo pure; è tra amici; se l'è cavata bene. – | | 121 | | – Niente – dice; – stia tranquillo; andiamo pure; è tra amici; se l'è cavata bene. – | | 120 | | – Niente – dice; – stia tranquillo; andiamo pure; è tra amici; se l'è cavata bene. – |
123 | | Il Canonico tremava tutto. | | 122 | | Il Canonico tremava tutto. | | 121 | | Il canonico tremava tutto. |
124 | | – Signore Iddio, Signore Iddio... che scandalo... Ma perché?... Schifosi... Non conveniva sporcarsi le mani... E ora che avverrà? | | 123 | | – Signore Iddio, Signore Iddio... che scandalo... Ma perché?... Schifosi... Non conveniva sporcarsi le mani... E ora che avverrà? | | 122 | | – Signore Iddio, Signore Iddio... che scandalo... Ma perché?... Schifosi... Non conveniva sporcarsi le mani... E ora che avverrà? |
125 | | – Oh, – fece con una certa sprezzatura il Mattina. – Un duello; è semplicissimo... o una querela, se la santa religione non consentirà a quel manigoldo di dar conto delle turpitudini che pure gli ha permesso di sfognare. | | 124 | | – Oh, – fece con una certa sprezzatura il Mattina. – Un duello; è semplicissimo... o una querela, se la santa religione non consentirà a quel farabutto di dar conto delle turpitudini che pure gli ha permesso di sfognare. | | 123 | | – Oh, – fece con una certa sprezzatura il Mattina. – Un duello; è semplicissimo... o una querela, se la santa religione non consentirà a quel farabutto di dar conto delle turpitudini che pure gli ha permesso di sfognare. |
126 | | – La religione, scusi, lasciamola stare, cavaliere, – disse Pompeo Agrò pacatamente. – Non c'entra e... mi lasci dire! non c'entra neppure il Capolino. | | 125 | | – La religione, scusi, lasciamola stare, cavaliere, – disse Pompeo Agrò pacatamente. – Non c'entra e... mi lasci dire! non c'entra neppure il Capolino. | | 124 | | – La religione, scusi, lasciamola stare, cavaliere, – disse Pompeo Agrò pacatamente. – Non c'entra e... mi lasci dire! non c'entra neppure il Capolino. |
127 | | – Come no? | | 126 | | – Come no? | | 125 | | – Come no? |
128 | | – Mi lasci dire. Io so chi ha scritto l'articolo, quella sozzura. Il Prèola, il Prèola che venuto stamani da me, non so da chi spedito... Brutto ingrato! feccia d'uomo! | | 127 | | – Mi lasci dire. Io so chi ha scritto l'articolo, quella sozzura. Il Prèola, il Prèola venuto stamani da me, non so da chi spedito... Brutto ingrato! feccia d'uomo! | | 126 | | – Mi lasci dire. Io so chi ha scritto l'articolo, quella sozzura. Il Prèola, il Prèola venuto stamani da me, non so da chi spedito... Brutto ingrato! feccia d'uomo! |
129 | | – Ma il Capolino,– obbiettò il Mattina, – è direttore del giornale e ha lasciato passare l'articolo. | | 128 | | – Ma il Capolino,– obbiettò il Mattina, – è direttore del giornale e ha lasciato passar l'articolo. | | 127 | | – Ma il Capolino,– obbiettò il Mattina, – è direttore del giornale e ha lasciato passar l'articolo. |
130 | | – Giurerei, metterei le mani sul fuoco - – rispose il Canonico, – che non lo lesse prima. È mio avversario, veda, eppure lo riconosco incapace d'una siffatta bassezza... E ora, che troveremo in casa di Roberto II – | | 129 | | – Giurerei, metterei le mani sul fuoco, – rispose il Canonico, – che non lo lesse prima. È mio avversario, veda, eppure lo riconosco incapace d'una siffatta bassezza... E ora, che troveremo in casa di Roberto La bocca amara – | | 128 | | – Giurerei, metterei le mani sul fuoco, – rispose il canonico, – che non lo lesse prima. È mio avversario, veda, eppure lo riconosco incapace d'una siffatta bassezza... E ora, che troveremo in casa di Roberto? – |
131 | | | | 130 | | | | 129 | | |
132 | | Donna Caterina Auriti-Laurentano abitava con la figlia Anna, vedova anch'essa, e col nipote, una vecchia e triste casa sotto la Badìa Grande. | | 131 | | Donna Caterina Auriti-Laurentano abitava con la figlia Anna, vedova anch'essa, e col nipote, una vecchia e triste casa sotto la Badìa Grande. | | 130 | | Donna Caterina Auriti-Laurentano abitava con la figlia Anna, vedova anch'essa, e col nipote, una vecchia e triste casa sotto la Badìa Grande. |
133 | | La casa era appartenuta a Michele Del Re, marito di Anna, che null'altro aveva potuto lasciare in eredità alla vedova giovanissima, all'unico figliuolo, Antonio, che ora aveva circa diciannove'anni. | | 132 | | La casa era appartenuta a Michele Del Re, marito di Anna, che null'altro aveva potuto lasciare in eredità alla vedova giovanissima, all'unico figliuolo, Antonio, che ora aveva circa diciott'anni. | | 131 | | La casa era appartenuta a Michele Del Re, marito di Anna, che null'altro aveva potuto lasciare in eredità alla vedova giovanissima, all'unico figliuolo, Antonio, che ora aveva circa diciott'anni. |
134 | | Vi si saliva per angusti vicoli sdruccioli, a scalini, malamente acciottolati, sudici spesso, intanfati dai cattivi odori misti che uscivano dalle botteghe buje come antri, botteghe per lo più di fabbricatori di pasta al tornio, stesa lì su canne e cavalletti ad asciugare, e dalle catapecchie delle povere donne, che passavano le giornate a seder su l'uscio, le giornate eguali tutte, vedendo la stessa gente alla stess'ora, udendo le solite liti che s'accendevano da un uscio all'altro tra due o più comari linguacciute per i loro monelli che, giocando, s'erano strappati i capelli o rotto la testa. Unica novità, di tanto in tanto, il Viatico; il prete sotto il baldacchino, il campanello, il coro delle divote: | | 133 | | Vi si saliva per angusti vicoli sdruccioli, a scalini, malamente acciottolati, sudici spesso, intanfati dai cattivi odori misti esalanti dalle botteghe buje come antri, botteghe per lo più di fabbricatori di pasta al tornio, stesa lì su canne e cavalletti ad asciugare, e dalle catapecchie delle povere donne, che passavano le giornate a seder su l'uscio, le giornate eguali tutte, vedendo la stessa gente alla stess'ora, udendo le solite liti che s'accendevano da un uscio all'altro tra due o più comari linguacciute per i loro monelli che, giocando, s'erano strappati i capelli o rotto la testa. Unica novità, di tanto in tanto, il Viatico; il prete sotto il baldacchino, il campanello, il coro delle divote: | | 132 | | Vi si saliva per angusti vicoli sdruccioli, a scalini, malamente acciottolati, sudici spesso, intanfati dai cattivi odori misti esalanti dalle botteghe buje come antri, botteghe per lo più di fabbricatori di pasta al tornio, stesa lì su canne e cavalletti ad asciugare, e dalle catapecchie delle povere donne, che passavano le giornate a seder su l'uscio, le giornate eguali tutte, vedendo la stessa gente alla stess'ora, udendo le solite liti che s'accendevano da un uscio all'altro tra due o più comari linguacciute per i loro monelli che, giocando, s'erano strappati i capelli o rotta la testa. Unica novità, di tanto in tanto, il Viatico; il prete sotto il baldacchino, il campanello, il coro delle divote: |
135 | | | | 134 | | | | 133 | | |
136 | | Oggi e sempre sia lodato | | 135 | | Oggi e sempre sia lodato | | 134 | | Oggi e sempre sia lodato |
137 | | nostro Dio sacramentato... | | 136 | | nostro Dio sacramentato... | | 135 | | Nostro Dio sacramentato... |
138 | | | | 137 | | | | 136 | | |
139 | | Morto , dopo appena tre anni di matrimonio il marito Anna Auriti era quasi morta anch'essa per il mondo. Fin dal giorno della sciagura non era uscita infatti mai più di casa, neanche per andare a messa le domeniche; né s'era mai più mostrata, nemmeno attraverso i vetri delle finestre sempre socchiuse. Soltanto le monache della Badìa Grande, affacciandosi alle grate a gabbia, avevano potuto vederla dall'alto, quand'ella veniva a prendere, , un po' d'aria nell'angusto giardinetto pensile della casa, ch'era addossata alla tetra, altissima fabbrica di quella Badìa, già antico castello baronale dei Chiaramonte. Né certo quelle monache avevano potuto sentire alcuna invidia di lei, reclusa come loro. Come loro, se non più semplicemente ella vestiva di nero, sempre; come loro nascondeva, sotto un fazzoletto di seta nera annodato al mento, i capelli, se non recisi, non più curati affatto, appena ravviati in due bande e attorti alla lesta dietro la nuca; quei' bei capelli castani, voluminosi, che tanta grazia un giorno, acconciati con arte, avevano dato al suo pallido, mite, dolcissimo volto. | | 138 | | Morto , dopo appena tre anni di matrimonio il marito Anna Auriti era quasi morta anch'essa per il mondo. Fin dal giorno della sciagura non era uscita infatti mai più di casa, neanche per andare a messa le domeniche; né s'era mai più mostrata, nemmeno attraverso i vetri delle finestre sempre socchiuse. Soltanto le monache della Badìa Grande, affacciandosi alle grate a gabbia, avevano potuto vederla dall'alto, quand'ella veniva a prendere, sul vespro, un po' d'aria nell'angusto giardinetto pensile della casa, ch'era addossata alla tetra, altissima fabbrica di quella badìa, già antico castello baronale dei Chiaramonte. Né certo quelle monache avevano potuto sentire alcuna invidia di lei, reclusa come loro. Come loro, se non più semplicemente ella vestiva di nero, sempre; come loro nascondeva, sotto un fazzoletto di seta nera annodato al mento, i capelli, se non recisi, non più curati affatto, appena ravviati in due bande e attorti alla lesta dietro la nuca; que' bei capelli castani, voluminosi, che tanta grazia un giorno, acconciati con arte, avevano dato al suo pallido, mite, dolcissimo volto. | | 137 | | Morto il marito, dopo appena tre anni di matrimonio, Anna Auriti era quasi morta anch'essa per il mondo. Fin dal giorno della sciagura non era uscita mai più di casa, neanche per andare a messa le domeniche; né s'era mai più mostrata, nemmeno attraverso i vetri delle finestre sempre socchiuse. Soltanto le monache della Badìa Grande, affacciandosi alle grate a gabbia, avevano potuto vederla dall'alto, quand'ella veniva a prendere, sul vespro, un po' d'aria nell'angusto giardinetto pensile della casa, ch'era addossata alla tetra, altissima fabbrica di quella badìa, già antico castello baronale dei Chiaramonte. Né certo quelle monache avevano potuto sentire alcuna invidia di lei, reclusa come loro. Come loro, se non più semplicemente, vestiva di nero, sempre; come loro nascondeva, sotto un fazzoletto nero di seta annodato al mento, i capelli, se non recisi, non più curati affatto, appena ravviati in due bande e attorti alla lesta dietro la nuca; que' bei capelli castani, voluminosi, che tanta grazia un giorno, acconciati con arte, avevano dato al suo pallido, mite, soavissimo volto. |
140 | | Donna Caterina aveva condiviso strettamente questa clausura della figlia, vestita anch'essa di nero sempre fin dal 1860, data della morte eroica del marito, a Milazzo. Alta di statura, rigida, magra ella non aveva però l'aria di mesta e calma rassegnazione della figlia. I continui, atroci dolori sofferti, la macerazione cupa dell'orgoglio, la fierezza del carattere che, a costo d'incredibili sacrifici, non s'era mai smentita di fronte alle più crudeli avversità della sorte, le avevano alterato così i lineamenti del volto, che nessuna traccia esso serbava più ormai dell'antica bellezza. Il naso le si era allungato, affilato e teso su la bocca vizza, qua e là rientrante per la perdita di alcuni denti; le gote le si erano affossate; aguzzato il mento. Ma soprattutto gli occhi, sotto le folte sopracciglia nere, mostravano la rovina di quel volto: le palpebre s'eran rilassate, una più, una meno; e quell'occhio più dell'altro socchiuso, dallo sguardo lento, velato d'intensa angoscia, conferiva a quella faccia spenta cerea l'aspetto d'una maschera , orribilmente dolorosa. I capelli, intanto, le erano rimasti nerissimi e lucidi, quasi per dileggio, per far risaltare meglio lo scempio desolato di quelle fattezze e smentir la credenza che i dolori facciano incanutire. Tutto, tutto aveva sofferto donna Caterina Laurentano, anche la fame, lei nata nel fasto, allevata e cresciuta fra gli splendori e le ricchezze d'una casa principesca: la fame, quando, domata la rivoluzione del 1848, a diciotto anni, col primo figliuolo neonato, Roberto, aveva dovuto seguire nell'esilio, in Piemonte, il marito, escluso con altri quarantatré dall'amnistia, e condannato alla confisca dei pochi beni. Il padre, don Gerlando Laurentano, anch'esso fra quei quarantatré esclusi, l aveva allora invitata ad andare con lui a Malta, suo luogo d'esilio, a patto però che avesse abbandonato per sempre Stefano Auriti. Lei? Aveva rifiutato sdegnosamente; e con più sdegno aveva poi rifiutato la limosina del fratello Ippolito, il quale con altri pochi indegni della nobiltà siciliana era andato ad ossequiare Satriano a Palermo, e ne aveva ottenuto la restituzione dei beni confiscati al padre. Ed era andata a Torino col marito, tutti e due sperduti e come ciechi, a mendicare per quel figlioletto la vita. Nessuno degli esuli, dei fuorusciti siciliani colà, aveva voluto credere dapprima ch ella, di così cospicui natali, unica figliuola femmina del Principe di Laurentano, non avesse portato nulla proprio nulla con sé, né ricevesse soccorsi dalla famiglia; e Stefano Auriti era stato perciò in tutti i modi ostacolato dagli stessi compagni di sventura nella ricerca affannosa d'un posticino che gli avesse dato pane, solo pane per la moglie e per sé. E allora ella s'era gravemente ammalata e per cinque mesi era stata in un ospedale, ricoverata per carità dopo infiniti stenti, e per carità il piccolo Roberto era stato allevato in un altro ospizio. S'eran ravveduti finalmente e commossi i compagni d'esilio e avevano ajutato a gara Stefano Auriti. Uscita dall'ospedale, ella aveva ricevuto la notizia che il padre, don Gerlando Laurentano, era morto volontariamente a Burmula, di veleno. Dei dodici anni passati a Torino, fino al 1860, donna Caterina serbava ormai una memoria vaga, confusa, come d'una vita non vissuta propriamente da lei, ma piuttosto immaginata in un sogno strano e violento, in cui tuttavia sprazzavano visioni liete, qualche momento felice e ardente, d'entusiasmo . Incancellabilmente impressa nel cuore aveva invece l'ora del risveglio da questo sogno: quando le era pervenuta la notizia che Stefano Auriti, partito col figliuolo appena dodicenne da Quarto con Garibaldi per la liberazione della Sicilia, era caduto nella battaglia campale di Milazzo. Neanche la grazia di farla impazzire aveva voluto concederle Iddio in quel momento! Ed aveva dovuto sentire, vedere quasi, il suo cuore di moglie straziato, colpito a morte, là in Sicilia, trascinarsi sanguinando dietro al figliuolo giovinetto, rimasto ora senza il presidio del padre a seguitare la guerra. Le avevano fatto a Torino una colletta, e coi due orfanelli, Giulio e Anna, nati colà, era ritornata in Sicilia, nella patria già liberata; ma da vedova, in gramaglie, e più misera di come n'era partita: tra l'esultanza di tutti, lei, con quei due altri piccini, vestiti anch'essi di nero. Roberto era già entrato a Napoli con Garibaldi, ed ora combatteva sotto Gaeta, accanto a Mauro Mortara. Era stata accolta in casa degli Alàimo, parenti poveri di Stefano Auriti. Novamente il fratello Ippolito, ora riparato a Colimbetra, le aveva profferto ajuto; e novamente, con pari sdegno, ella lo aveva rifiutato, meravigliando e gettando nella costernazione gli Alàimo, che l ospitavano. Povera gente, anche d'intelletto povera e di cuore, quante amarezze non le aveva cagionate! S'era dovuta guardare da loro, come da nemici acerrimi della sua dignità, ch'essi non intendevano; capacissimi com'erano di chiedere e d'accettare di nascosto quell'ajuto che ella aveva rifiutato, non contenti del lavoro ch'ella faceva in casa e che si procurava da fuori per cavarne un giusto compenso al poco dispendio che dava loro. S'era rialzata per poco da quell'orribile avvilimento al ritorno di Roberto, accolto da tutto il paese con entusiasmo delirante. Ancora, ricordando quel giorno, , le sue misere carni eran corse da brividi quasi da rivi d'elettrica gioja Ah con quale esultanza, con che spasimo d'amore e di dolore s'era serrato al seno il figliuolo, che ritornava solo, senza il padre, l'eroe giovinetto dalla camicia rossa, che il popolo le aveva recato su le braccia in trionfo! Il Governo provvisorio le aveva accordato un sussidio mensile, ed a Roberto – non potendo altro, per l'età – aveva accordato una borsa di studio in Palermo. L'aveva perduta pochi anni dopo, questa borsa, Roberto, per seguire Garibaldi alla conquista di Roma. Ma al torrente di sangue giovanile, che avrebbe ristorato le vene esauste di Roma, la vile ragion di Stato aveva opposto, ad Aspromonte, un argine di petti fraterni; e Roberto, con gli altri, era stato preso ed imprigionato, prima alla Spezia, poi al forte Monteratti a Genova. Liberato, aveva ripreso gli studii, per poco. Nel 66, dietro a Garibaldi, di nuovo. Solo nel 1871 gli era venuto fatto di laurearsi in legge; e subito era andato a Roma per provvedere, dopo tante vicende tumultuose, alla propria esistenza ed a quella de suoi. Qualche anno dopo, lo aveva seguito il fratello Giulio. Anna, , aveva già trovato marito, e donna Caterina – aspettando che Roberto a Roma con la fiamma dell'anima eroica, con le benemerenze sue non comuni e il non comune ingegno si facesse largo e si preparasse un avvenire splendido degno del suo passato e che la consolasse infine di tutte le amarezze patite e dell'avvilimento per cui maggiormente aveva sofferto – era andata a vivere in casa del genero Michele Del Re. La morte di questo, tre anni dopo, la sciagura della figlia, la miseria sopravvenuta di nuovo, quasi non avevano avuto potere di scuoterla da un dolore più cupo e profondo, in cui era caduta. Il figlio, il figlio da cui tanto s aspettava, il suo Roberto là fra il trambusto violento della nuova vita nella terza Capitale, tra la baraonda oscena dei nani che avevano preso d'assalto la città eterna e vi s'abbaruffavano reclamando compensi, carpendo onori e favori, il suo Roberto s'era perduto! Egli aveva certo stimato semplicemente come sacro dovere quanto aveva fatto per la patria e non aveva voluto né saputo accampare alcun diritto a compensi; aveva forse sperato ed atteso che gli amici, i compagni, si fossero ricordati di lui dignitoso e modesto. Poi forse lo schifo lo aveva vinto e tratto in disparte. E qual rovinìo era sopravvenuto in Sicilia di tutte le illusioni, di tutta la fede, entusiastica, onde s'era accesa alla rivolta! Povera isola, trattata come terra di conquista! Poveri isolani, trattati come barbari che bisognava incivilire! Ed erano calati i Continentali a incivilirli: calate le soldatesche nuove, quella colonna infame comandata da un rinnegato, dall'ungherese colonnello Eberhardt, venuto per la prima volta in Sicilia con Garibaldi e poi tra i fucilatori di Lui ad Aspromonte, e quell'altro tenentino savojardo Dupuy, l'incendiatore; calati tutti gli scarti della burocrazia; e liti e duelli e scene selvagge; e la Prefettura del Medici, ed i tribunali militari, e i furti, gli assassinii, le grassazioni, orditi ed eseguiti dalla nuova polizia in nome del Real Governo; e falsità e truffe e sottrazioni di documenti e processi politici inventati di sana pianta: tutto il primo Governo della Destra parlamentare! E poi era venuta la Sinistra al potere, ed aveva cominciato anch'essa coi provvedimenti eccezionali per la Sicilia; e usurpazioni e concussioni e favori scandalosi e scandaloso sperpero del pubblico denaro ; prefetti, delegati, magistrati messi a disposizione dei deputati ministeriali, e clientele sfacciate e brogli elettorali ripartizione iniqua delle imposte spese pazze, cortigianerie degradanti; l'oppressione dei vinti e dei lavoratori, anzi l'oppressione legalizzata e assicurata l'impunità agli oppressori... | | 139 | | Donna Caterina aveva condiviso strettamente questa clausura della figlia, vestita anch'essa di nero sempre fin dal 1860, data della morte eroica del marito, a Milazzo. Alta di statura, rigida, magra ella non aveva però l'aria di mesta e calma rassegnazione della figlia. I continui, atroci dolori sofferti, la macerazione cupa dell'orgoglio, la fierezza del carattere che, a costo d'incredibili sacrifizii, non s'era mai smentita di fronte alle più crudeli avversità della sorte, le avevano alterato così i lineamenti del volto, che nessuna traccia esso serbava più ormai dell'antica bellezza. Il naso le si era allungato, affilato e teso sulla bocca vizza, qua e là rientrante per la perdita di alcuni denti; le gote le si erano affossate; aguzzato il mento. Ma soprattutto gli occhi, sotto le folte sopracciglia nere, mostravano la rovina di quel volto: le pàlpebre s'eran rilassate, una più, una meno; e quell'occhio più dell'altro socchiuso, dallo sguardo lento, velato d'intensa angoscia, conferiva a quella faccia spenta cèrea l'aspetto d'una maschera , orribilmente dolorosa. I capelli, intanto, le erano rimasti nerissimi e lucidi, quasi per dileggio, per far risaltare meglio lo scempio di quelle fattezze e smentir la credenza che i dolori facciano incanutire. Tutto, tutto aveva sofferto donna Caterina Laurentano, anche la fame, lei nata nel fasto, allevata e cresciuta fra gli splendori d'una casa principesca: la fame, quando, domata la rivoluzione del 1848, a diciotto anni, col primo figliuolo neonato, Roberto, aveva dovuto seguire nell'esilio, in Piemonte, il marito, escluso con altri quarantatré dall'amnistia, e condannato alla confisca dei pochi beni. Il padre, don Gerlando Laurentano, anch'egli tra quei quarantatré esclusi, la aveva allora invitata ad andare con lui a Malta, suo luogo d'esilio, a patto però che avesse abbandonato per sempre Stefano Auriti. Lei? Aveva rifiutato sdegnosamente; e con più sdegno aveva poi rifiutato la limosina del fratello Ippolito, il quale con altri pochi indegni della nobiltà siciliana era andato a ossequiar Satriano a Palermo, e ne aveva ottenuto la restituzione dei beni confiscati al padre. Ed era andata a Torino col marito, tutti e due sperduti e come ciechi, a mendicare per quel figlioletto la vita. Nessuno degli esuli, dei fuorusciti siciliani colà, aveva voluto credere dapprima che ella, di così cospicui natali, unica figliuola femmina del Principe di Laurentano, non avesse portato nulla con sé, né ricevesse soccorsi dalla famiglia; e Stefano Auriti era stato perciò in tutti i modi ostacolato dagli stessi compagni di sventura nella ricerca affannosa d'un posticino che gli avesse dato pane, solo pane per la moglie e per sé. E allora ella s'era gravemente ammalata e per cinque mesi era stata in un ospedale, ricoverata per carità dopo infiniti stenti, e per carità il piccolo Roberto era stato allevato in un altro ospizio. S'eran ravveduti finalmente e commossi i compagni d'esilio e avevano ajutato a gara Stefano Auriti. Uscita dall'ospedale, ella aveva ricevuto la notizia che il padre, don Gerlando Laurentano, era morto volontariamente a Bùrmula, di veleno. Dei dodici anni passati a Torino, fino al 1860, donna Caterina serbava ormai una memoria vaga, confusa, come d'una vita non vissuta propriamente da lei, ma piuttosto immaginata in un sogno strano e violento, in cui tuttavia sprazzavano visioni liete, qualche momento felice e ardente, d'entusiasmo patriottico. Incancellabilmente impressa nel cuore aveva invece l'ora del risveglio da questo sogno: allorché le era pervenuta la notizia che Stefano Auriti, partito col figliuolo appena dodicenne da Quarto con Garibaldi per la liberazione della Sicilia, era caduto nella battaglia campale di Milazzo. Neanche la grazia di farla impazzire aveva voluto concederle Iddio in quel momento! E aveva dovuto sentire, vedere quasi, il suo cuore di moglie straziato, colpito a morte, là in Sicilia, trascinarsi sanguinando dietro al figliuolo giovinetto, rimasto ora senza il presidio del padre a seguitare la guerra. Le avevano fatto a Torino una colletta, e coi due orfanelli, Giulio e Anna, nati colà, era ritornata in Sicilia, nella patria già liberata; ma da vedova, in gramaglie, e più misera di come n'era partita: tra l'esultanza di tutti, lei, con quei due piccini, vestiti anch'essi di nero. Roberto era già entrato a Napoli con Garibaldi, e ora combatteva sotto Caserta, accanto a Mauro Mortara. Era stata accolta in casa degli Alàimo, parenti poveri di Stefano Auriti. Novamente il fratello Ippolito, ora riparato a Colimbètra, le aveva profferto ajuto; e novamente, con pari sdegno, ella lo aveva rifiutato, meravigliando e gettando nella costernazione gli Alàimo, che la ospitavano. Povera gente, anche d'intelletto povera e di cuore, quante amarezze non le aveva cagionate! S'era dovuta guardare da loro, come da nemici acerrimi della sua dignità, ch'essi non intendevano; capacissimi com'erano di chiedere e d'accettare di nascosto quell'ajuto che ella aveva rifiutato, non contenti del lavoro che faceva in casa e che si procacciava da fuori per cavarne un giusto compenso al poco dispendio che dava loro. S'era rialzata per poco da quell'orribile avvilimento al ritorno di Roberto, accolto da tutto il paese quasi in delirio. Ancora, ricordando quel giorno, quel momento, le sue misere carni eran corse da brividi. Ah con quale esultanza, con che spasimo d'amore e di dolore s'era serrato al seno il figliuolo, che ritornava solo, senza il padre, l'eroe giovinetto dalla camicia rossa, che il popolo le aveva recato su le braccia in trionfo! Il Governo provvisorio le aveva accordato un sussidio mensile, e a Roberto – non potendo altro, per l'età – aveva accordato una borsa di studio in Palermo. L'aveva perduta pochi anni dopo, questa borsa, Roberto, per seguire Garibaldi alla conquista di Roma. Ma al torrente di sangue giovanile, che avrebbe ristorato le vene esauste di Roma, la ragion di Stato aveva opposto, ad Aspromonte, un argine di petti fraterni; e Roberto, con gli altri, era stato preso e imprigionato, prima alla Spezia, poi al forte Monteratti a Genova. Liberato, aveva ripreso gli studii, per poco. Nel 1866, dietro a Garibaldi, di nuovo. Solo nel 1871 gli era venuto fatto di laurearsi in legge; e subito era andato a Roma per provvedere, dopo tante vicende tumultuose, alla propria esistenza e a quella de suoi. Qualche anno dopo, lo aveva raggiunto il fratello Giulio. Anna, a Girgenti, aveva già trovato marito, e donna Caterina – aspettando che Roberto a Roma con la fiamma dell'anima eroica, con le benemerenze sue non comuni e il non comune ingegno si facesse largo e si preparasse un avvenire splendido degno del suo passato e la consolasse in fine di tutte le amarezze patite e dell'avvilimento per cui maggiormente aveva sofferto – era andata a vivere in casa del genero Michele Del Re. La morte di questo, tre anni dopo, la sciagura della figlia, la miseria sopravvenuta di nuovo, quasi non avevano avuto potere di scuoterla da un dolore più cupo e profondo, in cui era caduta. Il figlio, il figlio da cui tanto s aspettava, il suo Roberto là fra il trambusto violento della nuova vita nella terza Capitale, tra la baraonda oscena dei tanti che vi s'abbaruffavano reclamando compensi, carpendo onori e favori, il suo Roberto s'era perduto! Stimando semplicemente dovere sacro quanto aveva fatto per la patria, non aveva voluto né saputo accampare alcun diritto a compensi; aveva forse sperato e atteso che gli amici, i compagni, si fossero ricordati di lui dignitoso e modesto. Poi forse lo schifo lo aveva vinto e tratto in disparte. E qual rovinìo era sopravvenuto in Sicilia di tutte le illusioni, di tutta la fervida fede, onde s'era accesa alla rivolta! Povera isola, trattata come terra di conquista! Poveri isolani, trattati come barbari che bisognava incivilire! Ed eran calati i Continentali ad incivilirli: calate le soldatesche nuove, quella colonna infame comandata da un rinnegato, dall'ungherese colonnello Eberhardt, venuto per la prima volta in Sicilia con Garibaldi e poi tra i fucilatori di Lui ad Aspromonte, e quell'altro tenentino savojardo Dupuy, l'incendiatore; calati tutti gli scarti della burocrazia; e liti e duelli e scene selvagge; e la Prefettura del Medici, e i tribunali militari, e i furti, gli assassinii, le grassazioni, orditi ed eseguiti dalla nuova polizia in nome del Real Governo; e falsificazioni e sottrazioni di documenti e processi politici ignominiosi: tutto il primo governo della Destra parlamentare! E poi era venuta la Sinistra al potere, e aveva cominciato anch'essa con provvedimenti eccezionali per la Sicilia; e usurpazioni e truffe e concussioni e favori scandalosi e scandaloso sperpero del denaro pubblico; prefetti, delegati, magistrati messi a servizio dei deputati ministeriali, e clientele spudorate e brogli elettorali ripartizione iniqua delle imposte spese pazze, cortigianerie degradanti; l'oppressione dei vinti e dei lavoratori, assistita e protetta dalla legge e assicurata l'impunità agli oppressori... | | 138 | | Donna Caterina aveva condiviso strettamente questa clausura della figlia, vestita anch'essa di nero, fin dal 1860, data della morte eroica del marito, a Milazzo. Rigida, magra, non aveva l'aria di mesta rassegnazione della figlia. La macerazione cupa dell'orgoglio, la fierezza del carattere che, a costo d'incredibili sacrifizii, non s'era mai smentita di fronte alle più crudeli avversità della sorte, le avevano alterato così i lineamenti del volto, che nessuna traccia esso ormai serbava più dell'antica bellezza. Il naso le si era allungato, affilato e teso sulla bocca vizza, qua e là rientrante per la perdita di alcuni denti; le gote le si erano affossate; aguzzato il mento. Ma soprattutto gli occhi, sotto le folte sopracciglia nere, mostravano la rovina di quel volto: le pàlpebre s'eran rilassate, una più, l'altra meno; e quell'occhio più dell'altro socchiuso, dallo sguardo lento, velato d'intensa angoscia, conferiva a quella faccia spenta l'aspetto d'una maschera di cera, orribilmente dolorosa. I capelli, intanto, le erano rimasti nerissimi e lucidi, quasi per dileggio, per far risaltare meglio lo scempio di quelle fattezze e smentir la credenza che i dolori facciano incanutire. Aveva sofferto tutto donna Caterina Laurentano, anche la fame, lei nata nel fasto, allevata e cresciuta fra gli splendori d'una casa principesca: la fame, quando, domata la rivoluzione del 1848, a diciotto anni, col primo figliuolo neonato, Roberto, aveva dovuto seguire nell'esilio, in Piemonte, il marito, escluso con altri quarantatré dall'amnistia, e condannato alla confisca dei pochi beni. Il padre, don Gerlando Laurentano, anch'egli tra quei quarantatré esclusi, la aveva allora invitata ad andare con lui a Malta, suo luogo d'esilio, a patto però che avesse abbandonato per sempre Stefano Auriti. Lei? Aveva rifiutato sdegnosamente; e con più sdegno aveva poi rifiutato l'elemosina del fratello Ippolito, il quale con altri pochi indegni della nobiltà siciliana era andato a ossequiar Satriano a Palermo, e ne aveva ottenuto la restituzione dei beni confiscati al padre. Ed era andata a Torino col marito, tutti e due sperduti e come ciechi, a mendicare per quel figlioletto la vita. Nessuno degli esuli, dei fuorusciti siciliani colà, aveva voluto credere dapprima che ella, di così cospicui natali, unica figliuola femmina del principe di Laurentano, non avesse portato nulla con sé, né ricevesse soccorsi dalla famiglia; e Stefano Auriti era stato perciò in tutti i modi ostacolato dagli stessi compagni di sventura nella ricerca affannosa d'un posticino che gli avesse dato pane, solo pane per la moglie e per sé. E allora ella s'era gravemente ammalata e per cinque mesi era stata in un ospedale, ricoverata per carità dopo infiniti stenti, e per carità il piccolo Roberto era stato allevato in un altro ospizio. S'erano ravveduti finalmente e commossi i compagni d'esilio e avevano ajutato a gara Stefano Auriti. Uscita dall'ospedale, ella aveva ricevuto la notizia che il padre, don Gerlando Laurentano, era morto volontariamente a Bùrmula, di veleno. Dei dodici anni passati a Torino, fino al 1860, donna Caterina serbava ormai una memoria vaga, confusa, come d'una vita non vissuta propriamente da lei, ma piuttosto immaginata in un sogno strano e violento, in cui tuttavia sprazzavano visioni liete, qualche momento felice e ardente, d'entusiasmo patriottico. Incancellabilmente impressa nel cuore aveva invece l'ora del risveglio da questo sogno: allorché le era pervenuta la notizia che Stefano Auriti, partito col figliuolo appena dodicenne da Quarto con Garibaldi per la liberazione della Sicilia, era caduto nella battaglia campale di Milazzo. Neanche la grazia di farla impazzire aveva voluto concederle Iddio in quel momento! E aveva dovuto sentire, vedere quasi, il suo cuore di moglie straziato, colpito a morte, là in Sicilia, trascinarsi sanguinando dietro al figliuolo giovinetto, rimasto ora senza il presidio del padre a seguitare la guerra. Le avevano fatto a Torino una colletta, e coi due orfanelli, Giulio e Anna, nati colà, era ritornata in Sicilia, nella patria già liberata; ma da vedova, in gramaglie, e più misera di come n'era partita: tra l'esultanza di tutti, lei, con quei due piccini, vestiti anch'essi di nero. Roberto era già entrato a Napoli con Garibaldi, e ora combatteva sotto Caserta, accanto a Mauro Mortara. Era stata accolta in casa degli Alàimo, parenti poveri di Stefano Auriti. Novamente il fratello Ippolito, ora riparato a Colimbètra, le aveva profferto ajuto; e novamente, con pari sdegno, ella lo aveva rifiutato, meravigliando e gettando nella costernazione gli Alàimo, che la ospitavano. Povera gente, anche d'intelletto povera e di cuore, quante amarezze non le aveva cagionate! S'era dovuta guardare da loro, come da nemici acerrimi della sua dignità, ch'essi non intendevano; capacissimi com'erano di chiedere e d'accettare di nascosto quell'ajuto che ella aveva rifiutato, ma contenti del lavoro che faceva in casa e che si procacciava da fuori per cavarne un giusto compenso al poco dispendio che dava loro. S'era rialzata per poco da quell'orribile avvilimento al ritorno di Roberto, accolto da tutto il paese quasi in delirio. Ancora, ricordando quel giorno, quel momento, le sue misere carni eran corse da brividi. Ah con quale esultanza, con che spasimo d'amore e di dolore s'era serrato al seno il figliuolo, che ritornava solo, senza il padre, l'eroe giovinetto dalla camicia rossa, che il popolo le aveva recato su le braccia in trionfo! Il Governo provvisorio le aveva accordato un sussidio mensile, e a Roberto – non potendo altro, per l'età – aveva accordato una borsa di studio in Palermo. L'aveva perduta pochi anni dopo, questa borsa, Roberto, per seguir Garibaldi alla conquista di Roma. Ma al torrente di sangue giovanile, che avrebbe ristorato le vene esauste di Roma, la ragion di Stato aveva opposto, ad Aspromonte, un argine di petti fraterni; e Roberto, con gli altri, era stato preso e imprigionato, prima alla Spezia, poi al forte Monteratti a Genova. Liberato, aveva ripreso gli studii, per poco. Nel 1866, dietro a Garibaldi, di nuovo. Solo nel 1871 gli era venuto fatto di laurearsi in legge; e subito era andato a Roma per provvedere, dopo tante vicende tumultuose, alla propria esistenza e a quella dei suoi. Qualche anno dopo, lo aveva raggiunto il fratello Giulio. Anna, a Girgenti, aveva già trovato marito, e donna Caterina – aspettando che Roberto a Roma si facesse largo e si preparasse un avvenire degno del suo passato e la consolasse in fine di tutte le amarezze patite e dell'avvilimento per cui maggiormente aveva sofferto – era andata a vivere in casa del genero Michele Del Re. La morte di questo, tre anni dopo, la sciagura della figlia, la miseria sopravvenuta di nuovo, quasi non avevano avuto potere di scuoterla da un dolore più cupo e profondo, in cui era caduta. Il figlio, il figlio da cui tanto si aspettava, il suo Roberto, fra il trambusto violento della nuova vita nella terza Capitale, tra la baraonda oscena dei tanti che vi s'abbaruffavano reclamando compensi, carpendo onori e favori, il suo Roberto s'era perduto! Stimando semplicemente come suo dovere quanto aveva fatto per la patria, non aveva voluto né saputo accampare alcun diritto a compensi; aveva forse sperato e atteso che gli amici, i compagni, si fossero ricordati di lui dignitoso e modesto. Poi forse lo schifo lo aveva vinto e tratto in disparte. E qual rovinìo era sopravvenuto in Sicilia di tutte le illusioni, di tutta la fervida fede, con cui s'era accesa alla rivolta! Povera isola, trattata come terra di conquista! Poveri isolani, trattati come barbari che bisognava incivilire! Ed eran calati i Continentali a incivilirli: calate le soldatesche nuove, quella colonna infame comandata da un rinnegato, l'ungherese colonnello Eberhardt, venuto per la prima volta in Sicilia con Garibaldi e poi tra i fucilatori di Lui ad Aspromonte, e quell'altro tenentino savojardo Dupuy, l'incendiatore; calati tutti gli scarti della burocrazia; e liti e duelli e scene selvagge; e la prefettura del Medici, e i tribunali militari, e i furti, gli assassinii, le grassazioni, orditi ed eseguiti dalla nuova polizia in nome del Real Governo; e falsificazioni e sottrazioni di documenti e processi politici ignominiosi: tutto il primo governo della Destra parlamentare! E poi era venuta la Sinistra al potere, e aveva cominciato anch'essa con provvedimenti eccezionali per la Sicilia; e usurpazioni e truffe e concussioni e favori scandalosi e scandaloso sperpero del denaro pubblico; prefetti, delegati, magistrati messi a servizio dei deputati ministeriali, e clientele spudorate e brogli elettorali; spese pazze, cortigianerie degradanti; l'oppressione dei vinti e dei lavoratori, assistita e protetta dalla legge e assicurata l'impunità agli oppressori... |
141 | | Da due giorni – dacché Roberto era arrivato a Girgenti – usciva dalla bocca amara di donna Caterina Auriti questo fiotto veemente di crudeli ricordi, d'acerbe rampogne, di fiere accuse. Guardando il figlio, attraverso le pàlpebre rilassate, con quell'occhio quasi spento ella si votava il cuore di tutte le amarezze accumulate in tanti anni e rattenute di tutto il dolore, di cui l'anima sua s'era nutrita e attossicata. | | 140 | | Da due giorni – dacché Roberto era arrivato a Girgenti – usciva dalla bocca amara di donna Caterina Auriti questo fiotto veemente di crudeli ricordi, d'acerbe rampogne, di fiere accuse. Guardando il figlio, a traverso le pàlpebre rilassate, con quell'occhio quasi spento ella si votava il cuore di tutte le amarezze accumulate in tanti anni e rattenute di tutto il dolore, di cui l'anima sua s'era nutrita e attossicata. | | 139 | | Da due giorni – dacché Roberto era arrivato a Girgenti – usciva dalla bocca amara di donna Caterina Auriti questo fiotto veemente di crudeli ricordi, d'acerbe rampogne, di fiere accuse. Guardando il figlio, a traverso le pàlpebre rilassate, con quell'occhio quasi spento, si vôtava il cuore di tutte le amarezze accumulate in tanti anni, di tutto il dolore, di cui l'anima sua s'era nutrita e attossicata. |
142 | | – Che speri? che vuoi? – gli domandava. – Che sei venuto a far qui? – | | 141 | | – Che speri? che vuoi? – gli domandava. – Che sei venuto a far qui? – | | 140 | | – Che speri? che vuoi? – gli domandava. – Che sei venuto a far qui? – |
143 | | E Roberto Auriti, investito dalla furia della madre, taceva aggrondato, col capo basso, con gli occhi chiusi. | | 142 | | E Roberto Auriti, investito dalla furia della madre, taceva aggrondato, a capo chino, con gli occhi chiusi. | | 141 | | E Roberto Auriti, investito dalla furia della madre, taceva aggrondato, a capo chino, con gli occhi chiusi. |
144 | | Egli aveva ormai quarantatré anni: già calvo, ma vigorosissimo dal torace erculeo, bello di maschia bellezza, col volto fortemente inquadrato dalle folte sopracciglia nere, quasi giunte, e dalla corta barba pur nera, se ne stava profondamente avvilito e addogliato, come un fanciullo debole al cospetto di quella madre che, pur così debellata dai dolori e dagli anni, serbava tanta energia di carattere e così fieri spiriti. Tuttoché forte, s'era veramente avvilito Roberto Auriti; e lo sentiva . L'animo, troppo teso negli sforzi eroici della prima giovinezza, gli era venuto meno a un tratto, di fronte alla nuova, laida guerra, guerra di lucro, guerra per la conquista indegna dei posti. E ne aveva chiesto uno anche lui, non per sé, per il fratello Giulio, e lo aveva ottenuto al Ministero del Tesoro. Egli s'era affidato a gli scarsi, incerti proventi della professione di'avvocato: proventi che tuttavia, talvolta, non gli lasciavano al tutto tranquilla la coscienza, non già perché non li credesse meritato compenso al proprio lavoro, allo studio, allo zelo; ma perché la maggior parte delle liti gli venivano per il tramite dei deputati siciliani suoi amici, di Corrado Selmi specialmente, e per parecchie aveva il sospetto ch'egli le avesse vinte, non tanto per la sua bravura, quanto per l'indebita e forse non gratuita ingerenza di quelli. Ma, egli, dopo la morte del cognato Del Re, aveva la madre e la sorella e il nipote da mantenere in Girgenti; oltre che a Roma, da parecchi anni ormai non era più solo. Certo la madre non ignorava la relazione contratta da lui con una donna, di cui per antichi pregiudizii e per la puritana rigidezza dei costumi ella non poteva avere alcuna stima; non glien'aveva mai fatto parola; ma egli sentiva l'aspra condanna nel cuore materno, un'altra amarezza – secondo lui ingiusta – che la madre non gli rivelava per non avvilirlo, per non ferirlo vieppiù. Ma forse donna Caterina Auriti in quei momenti, non vi pensava punto, tutt'intesa com'era a porre innanzi al figliuolo, con foga inesausta, insieme coi ricordi luttuosi della famiglia, le condizioni tristissime del paese. E durante questa fervida, nera descrizione, la sorpresero il canonico Pompeo Agrò e il Mattina III | | 143 | | Aveva ormai quarantatré anni: già calvo, ma vigoroso dal torace erculeo, bello di maschia bellezza, col volto fortemente inquadrato dalle folte sopracciglia nere, quasi giunte, e dalla corta barba pur nera, se ne stava profondamente avvilito e addogliato, come un fanciullo debole al cospetto di quella madre che, pur così debellata dai dolori e dagli anni, serbava tanta energia di carattere e così fieri spiriti. Si sentiva veramente sconfitto Roberto Auriti. L'animo, troppo teso negli sforzi eroici della prima gioventù, gli era venuto meno a poco a poco, di fronte alla nuova, laida guerra, guerra di lucro, guerra per la conquista indegna dei posti. E ne aveva chiesto uno anche lui, non per sé, per il fratello Giulio, e lo aveva ottenuto al Ministero del tesoro. Egli s'era affidato agli scarsi, incerti proventi della professione d'avvocato: proventi che tuttavia, talvolta, non gli lasciavano al tutto tranquilla la coscienza, non già perché non li credesse meritato compenso al proprio lavoro, allo zelo; ma perché la maggior parte delle liti gli venivano per il tramite dei deputati siciliani suoi amici, di Corrado Selmi specialmente, e per parecchie aveva il dubbio che le avesse vinte, non tanto per la sua bravura, quanto per l'indebita e non gratuita ingerenza di quelli. Ma egli morto il cognato Michele Del Re, aveva la madre e la sorella vedova e il nipote da mantenere a Girgenti; oltre che a Roma, da parecchi anni ormai non era più solo. Certo la madre non ignorava la convivenza di lui a Roma con una donna, di cui per antichi pregiudizii e per la puritana rigidezza dei costumi ella non poteva avere alcuna stima; non glien'aveva mai fatto parola; ma egli sentiva l'aspra condanna nel cuore materno, un'altra amarezza – secondo lui ingiusta – che la madre non gli mostrava per non avvilirlo, per non ferirlo vie più. Ma forse donna Caterina, in quei momenti, non vi pensava punto, tutt'intesa com'era a porre innanzi al figliuolo, con foga inesausta, insieme coi ricordi luttuosi della famiglia, le condizioni tristissime del paese. E durante questa fervida, nera descrizione, la sorpresero il canonico Pompeo Agrò e il Mattina Meglio prima! Meglio prima | | 142 | | Aveva ormai quarantatré anni: già calvo, ma vigoroso , col volto fortemente inquadrato dalle folte sopracciglia nere, quasi giunte, e dalla corta barba pur nera, se ne stava avvilito e addogliato, come un fanciullo debole al cospetto di quella madre che, pur così debellata dai dolori e dagli anni, serbava tanta energia e così fieri spiriti. Si sentiva veramente sconfitto . L'animo, troppo teso negli sforzi della prima gioventù, gli era venuto meno a poco a poco, di fronte alla nuova, laida guerra, guerra di lucro, guerra per la conquista indegna dei posti. E ne aveva chiesto uno anche lui, non per sé, per il fratello Giulio, e lo aveva ottenuto al ministero del tesoro. Egli s'era affidato agli scarsi, incerti proventi della professione d'avvocato: proventi che tuttavia, tal volta, non gli lasciavano al tutto tranquilla la coscienza, non già perché non li credesse meritato compenso al proprio lavoro, allo zelo; ma perché la maggior parte delle liti gli venivano per il tramite dei deputati siciliani suoi amici, di Corrado Selmi specialmente, e per parecchie aveva il dubbio che le avesse vinte, non tanto per la sua bravura, quanto per l'indebita e non gratuita ingerenza di quelli. Ma, morto il cognato Michele Del Re, aveva la madre e la sorella vedova e il nipote da mantenere a Girgenti; oltre che a Roma, da parecchi anni non era più solo. Certo la madre non ignorava la convivenza di lui a Roma con una donna, di cui per antichi pregiudizii e per la puritana rigidezza dei costumi non poteva avere alcuna stima; non glien'aveva mai fatto parola; ma egli sentiva l'aspra condanna nel cuore materno, un'altra amarezza – secondo lui ingiusta – che la madre non gli mostrava per non avvilirlo, per non ferirlo vie più. Ma forse donna Caterina, in quel momento, non ci pensava nemmeno, tutt'intesa com'era a mettere innanzi al figlio, con foga inesausta, insieme coi ricordi luttuosi della famiglia, le condizioni tristissime del paese. E durante quest'esposizione, la sorpresero il canonico Pompeo Agrò e il Mattina. |
145 | | Dalla viva cordialità , con cui Roberto Auriti lo accolse, l'Agrò comprese subito ch'egli ignorava ancora la pubblicazione di quel turpe articolo. Presentò il Mattina, ossequiò la signora. | | 144 | | Dalla cordialità vivace, con cui Roberto Auriti lo accolse, l'Agrò comprese subito ch'egli ignorava ancora la pubblicazione di quel turpe articolo. Presentò il Mattina, ossequiò la signora. | | 143 | | Dalla cordialità vivace, con cui Roberto Auriti lo accolse, l'Agrò comprese subito ch'egli ignorava ancora la pubblicazione di quel turpe articolo. Presentò il Mattina, ossequiò la signora. |
146 | | Donna Caterina aspettò che i primi convenevoli fossero scambiati e che i due amici esprimessero la gioja di rivedersi dopo tanti anni; e riprese, rivolta all'Agrò: | | 145 | | Donna Caterina aspettò che i primi convenevoli fossero scambiati e che i due amici esprimessero la gioja di rivedersi dopo tanti anni; e riprese, rivolta all'Agrò: | | 144 | | Donna Caterina aspettò che i primi convenevoli fossero scambiati e che i due amici esprimessero la gioja di rivedersi dopo tanti anni; e riprese, rivolta all'Agrò: |
147 | | – Per carità, Monsignore, glielo dica anche Lei, che è amico disinteressato. Qua siamo fra noi. Anche questo signore, se l'ha condotto Lei, sarà certamente un amico. Io voglio persuadere mio figlio a non accettare questa lotta. | | 146 | | – Per carità, monsignore, glielo dica anche Lei, che è amico sincero. Qua siamo tra noi. Anche questo signore, se l'ha condotto Lei, sarà amico. Io voglio persuadere mio figlio a non accettare questa lotta. | | 145 | | – Per carità, monsignore, glielo faccia intendere anche Lei, che è amico sincero. Qua siamo tra noi. Anche questo signore, se l'ha condotto Lei, sarà un amico. Io voglio persuadere mio figlio a non accettare questa lotta. |
148 | | – Mamma... – pregò Roberto, con un sorriso afflitto. | | 147 | | – Mamma... – pregò Roberto, con un sorriso afflitto. | | 146 | | – Mamma... – pregò Roberto, con un sorriso afflitto. |
149 | | – Sì, sì, – incalzò la madre. – Lo dicano Loro. Che ha fatto egli, e perché, in nome di che cosa viene oggi a chiedere il suffragio del suo paese? Forse in nome di tutto ciò che fece da giovinetto, in nome del padre morto in nome dei sacrifizii e degli ideali santi per cui quei sacrifizii furono fatti e quello strazio sofferto? Ma farà ridere! | | 148 | | – Sì, sì, – incalzò la madre. – Lo dicano Loro. Che ha fatto egli, e perché, in nome di che cosa viene oggi a chiedere il suffragio del suo paese? Forse in nome di tutto ciò che fece da giovinetto, in nome del padre morto in nome dei sacrifizii e degli ideali santi per cui quei sacrifizii furono fatti e quello strazio sofferto? Ma farà ridere! | | 147 | | – Sì, sì, – incalzò la madre. – Lo dicano loro. Che ha fatto Roberto, e perché, in nome di che cosa viene oggi a chiedere il suffragio del suo paese? Forse in nome di tutto ciò che fece da giovinetto, in nome del padre morto, dei sacrifizii e degli ideali per cui quei sacrifizii furono fatti e quello strazio sofferto? Farà ridere! |
150 | | – Oh, no, perché, donna Caterina? – si provò a interromperla il canonico Agrò, ponendosi una mano sul petto, quasi ferito. – Non dica così. | | 149 | | – Oh, no, perché, donna Caterina? – si provò a interrompere il canonico Agrò, ponendosi una mano al petto, quasi ferito. – Non dica così. | | 148 | | – Oh, no, perché, donna Caterina? – si provò a interrompere il canonico Agrò, portandosi una mano |